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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica Italia

Bersani rifiuta l'offerta di Silvio: "E' tempo di discorsi seri"

Mentre il segretario del Pd continua il suo giro di consultazioni, all'interno del partito la temperatura è altissima: Renzi non sarà presente alla direzione, i 'giovani turchi' pensano allo strappo

“Ormai siamo al dunque, bisogna che facciamo discorsi seri”. La riposta di Bersani alla proposta ‘folle’ di Silvio Berlusconi arriva poco prima delle 18, un’oretta prima della direzione nazionale del Pd. “Io sto proponendo una soluzione che dice: qualcuno si carica di un’azione di governo coerente e non paralizzata da veti reciproci. Poi tutti insieme ci si corresponsabilizza delle riforme”. Ecco il nuovo piano A del segretario del Pd, che nel calcolo dei fattori, dei pro e dei contro, ha compreso anche la dimensione della via da attraversare: "Strettissima".

LA PROPOSTA 'FOLLE' DI BERLUSCONI

Chiamatela pure inquietudine, gioco delle parti o sindrome della sconfitta. Sta di fatto che non c’è sinistra e Pd senza brucior di pancia. ‘Mai una gioia’, verrebbe da dire. La sinistra italiana non sa vincere. Un po’ come l’Inter ma senza ‘triplete’. Quarant’anni di ‘sofferenze’, pianti e dolori cocenti per poi prendersi tutto. Quello che non è mai stata in grado di fare la sinistra. Da utopia, al radicamento nelle istituzioni, all’esperienza di governo. Mai tuttavia da sola, mai monocolore. Sempre accompagnata da cattive frequentazioni e quindi costretta a cadere o reinventarsi alleati lungo la via. Così sempre, così negli ultimi mesi.

Per pillole, partendo dalle primarie. Doveva essere una festa, si è trasformata in una guerra senza quartiere. Con accuse al veleno, le asprezze sulle regole, gli esposti al Garante sulla privacy. Vince Bersani, perde Renzi. Gli onori dello sconfitto al vincitore, il vincitore che chiama alla compattezza. Poco dopo le primarie per aggiudicarsi la seggiola in Parlamento. Quando? A ridosso del Capodanno, tra rigore e martellate sulle ginocchia.

Avanti con il vento in poppa, quello della campagna elettorale. Quello dei sondaggi con il Pd saldamente in testa, quello pronto se necessario a ricorrere e rincorrere Mario Monti per regolare la bagarre al Senato. Grandi sorrisi, un giaguaro da smacchiare, un Grillo da sottovalutare e sottodimensionare. Fino al tonfo delle urne, fino a capire che le piazze piene dello Tsunami Tour firmato Beppe Grillo non erano uno scherzo o un effetto speciale.

IL CAVALIERE: QUIRINALE O BLOCCHIAMO IL SENATO

‘Sembrava una mattina come tutte le altre….e invece’. Quindi i pianti, i rimpianti, la politica del se (mai sconfitta a sinistra), i caminetti, le riunioni, le correnti. I veleni. Dalla sconfitta al piano A, quello di Pierluigi Bersani, quello appoggiato da tutta la direzione nazionale dei democratici, il passo è stato breve. Una piattaforma programmatica (taciuta in campagna elettorale) di cambiamento e di responsabilità. Pochi punti, otto, in gran parte vicini ai grillini. E un no netto a Berlusconi.

Via alle consultazioni del Capo dello Stato. Due giorni di appunti, poi Napolitano fa chiamare Bersani al Quirinale. E’ l’inizio dell’incarico esplorativo. Affidato, preso, il tempo di una birra, e via a Montecitorio per le consultazioni. Prima il terzo settore, le parti sociali, il mondo dell’industria, quello della produzione. Domani i partiti. Ma prima la direzione nazionale. Perché? Semplice: prima di ricevere Berlusconi, Grillo e Monti c’è da fare le consultazioni tra le varie anime interne al partito. Un vero e proprio referendum. Tre strade, una da scegliere per alzata di mano. In mezzo tanti bocconi amari da ingollare.

C’è da dire sì o no alla proposta ‘indecente’ di Silvio Berlusconi: Bersani premier, Alfano vice. E al Quirinale un moderato. Si o no? Renzi e i renziani non hanno mai nascosto la loro voglia di larghe intese, provare ad importare in Italia il modello tedesco. Tanto palese da far infuriare Stefano Fassina, il responsabile delle politiche economiche del Pd. “E’ grave che, in ore decisive per la costruzione di un Governo adeguato alle sfide di fronte all’Italia, una parte del Pd intervenga per indebolire il tentativo del Presidente incaricato Bersani prospettando una possibile maggioranza con il PdL per un Governo del Presidente”. Così ha parlato giusto ieri l’esponente dei Giovani Turchi. Un virgolettato in risposta a Graziano Delrio, presidente dell’Anci, ma indirizzato al sindaco di Firenze. Perché? Delrio è un renziano della prima ora, vicino da sempre alla linea del ‘rottamatore’. La polemica fa rumore e Renzi chiama Bersani per chiarire. “Bersani sta provando a formare un governo e io spero che, per il bene dell'Italia, ce la faccia”, ha sottolineata in mattinata dai microfoni di Radio Toscana proprio Renzi. Che ha ribadito: “La mia serietà e la mia lealtà sono fuori discussione”. La pace è sugellata un paio d’ore dopo dal segretario: “Non ho mai litigato con Renzi”.

TRE SCENARI DI GOVERNO. IL BIVIO DEL PD

Pace fatta ma resta un però. Renzi alle 19 non si presenterà alla direzione del Pd. Forse per evitare polemiche, forse perché è allergico alle liturgie di partito. Forse perché comunque dopo aver rimarcato la fedeltà tiene sempre a sottolineare una certa distanza, un essere altro. Tante ipotesi, una certezza: non ci sarà. “Per un motivo molto semplice: è stata convocata all'ultimo momento, e io sto a Firenze a fare il sindaco”. Che può esser letta in maniera letterale o in quella pragmatica, della serie, ‘scusate ma ho da fare’.

Fassina ammonisce Renzi, scarta l’ipotesi Berlusconi e chiama a gran voce un accordo con la Lega di Maroni. Ma qui il mistero si infittisce. Dall’altro capo dell’ala della corrente turca, c’è Matteo Orfini, che avverte: “Le larghe intese senza Grillo sono impensabili, no a Pd-Pdl”. In mezzo la linea Bersani. Che non ha più un piano A e non ha mai cercato una soluzione B. Prima della salita al Colle. Poi qualcosa nell’aria è cambiata. Il conforto da ricercare in tutte le forze del Parlamento, semmai per trovare l’intesa delle riforme istituzionali. Per quel che riguarda il Pdl. Un’impronta più politica, più a sinistra, che guardi Grillo, per l’azione di governo. Semmai passando per una fiducia a spezzatino con il placido benestare di tutti. E per una certezza: quella via, “strettissima”.

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