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Giovedì, 18 Aprile 2024
Trattativa Stato - Mafia / Palermo

Trattativa Stato - mafia, rinvio a giudizio Mancino e Dell'Utri

Chiuse le indagini del pool di Antonio Ingroia: a processo dodici persone tra cui i boss Riina e Provenzano, gli ex ufficiali dei Carabinieri Mori e Subranni e il senatore Pdl. L'accusa: "Attentato al corpo politico". L'ex ministro dell'Interno accusato di falsa testimonianza.

Rischia di cambiare il corso della storia del nostro paese l'inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia. Il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, ha deciso per il rinvio a giudizio, e conseguente processo, per dodici persone tra le quali i boss Totò Riina e Bernardo Provenzano, gli ex ufficiali dell'arma dei Carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, i senatori Marcello Dell'Utri e Calogero Mannino e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino.

Tutti gli imputati (tranne Mancino) oggetto delle indagini del pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e composto dai sostituti Nino Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, sono accusati di attentato al corpo politico. Per Francesco Mancino l'accusa è di falsa testimonianza.

LA TRATTATIVA - La famosa "trattativa" sarebbe stata - in questi casi ovviamente il condizionale è d'obbligo - una negoziazione che iniziò dopo l'attentato al giudice Falcone. In cambio della fine delle stragi, lo Stato avrebbe garantito un'attuazione delle misure detentive previste dal 41 bis: il famoso "carcere duro".

Una trattativa che, secondo le motivazioni della sentenza del processo a carico di Francesco Tagliavia, fu "assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia" su input dell'eco ministro Dc Calogero Mannino che avviò un'interlocuzione "personale" per paura di essere ucciso. Quindi, sarebbero stati i vertici del Ros a portare avanti la trattativa tramite l'ex sindaco Vito Ciancimino.

E proprio in quanto contrario a questa "trattativa", venne ucciso il giudice Borsellino.

Quindi, stando alle rivelazioni di alcuni pentiti, tra i quali Spatuzza e Brusca, l'inizio del confronto tra Stato e mafia sarebbe da cercare proprio nei due mesi tra la bomba di Capaci e quella di via D'Amelio.

Culmine della trattativa, riporta il quotidiano Repubblica citando l'avviso di chiusura delle indagini del pool di Ingroia, fu il 1994 quando i capimafia Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca "prospettarono al capo del governo in carica Silvio Berlusconi, per il tramite di Vittorio Mangano e Dell'Utri, una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura". 

MANCINO SI DIFENDE - "Dimostrerò in giudizio la mia innocenza". Lo ha detto l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino, che è tra i 12 indagati nei confronti dei quali i Pm di Palermo hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio nell'ambito dell'indagine sulla presunta trattativa Stato-mafia.

"Dopo la comunicazione della conclusione delle indagini sulla cosiddetta trattativa fra uomini dello Stato ed esponenti della mafia, ho chiesto inutilmente - ha detto Mancino - al pubblico ministero di Palermo di ascoltare i responsabili nazionali dell'ordine e della sicurezza pubblica (capi di gabinetto, direttori della Dia, capi della mia segreteria, professor Arlacchi, ad esempio), i soli in grado di dichiarare se erano mai stati a conoscenza o se mi avessero parlato di contatti fra gli ufficiali dei carabinieri e Vito Ciancimino e, tramite questi, con esponenti di Cosa Nostra".

"A questo punto - ha affermato - ho rinunciato al proposito di farmi di nuovo interrogare e di esibire documenti. Preferisco farmi giudicare da un giudice terzo. Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato".

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