rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024

Viaggio nel mondo dei call center: in aumento tic nervosi e uso di psicofarmaci

Un sindacalista della Cgil e una trentina di operatori che operano in provincia di Lecce, la richiesta è corale: "Basta alle pressioni psicologiche di team leader dispotici e basta col concetto di produttività. Non siamo robot"

Il mondo del lavoro “stile arredamento Ikea”: ovvero, come ti trasformo un dipendente in "unità modulare” per piazzarlo nella fascia oraria che mi è comoda. E se sei bravo a vendere, il tuo nome finirà sulla lavagna dei “buoni”, come a scuola, in modo che lo vedano tutti i tuoi colleghi all'interno di un affollato openspace. 

Ci sono call center e call center. Poi, negli scantinati, sono spesso allestiti anche gli “sciacall-center”. Quelli che non rasentano neppure l’ombra della legalità. Allestiti in vere e proprie alcove di fortuna, con norme di sicurezza inesistenti e, soprattutto, nessun rispetto per la dignità del lavoratore. E' LeccePrima, in un'inchiesta realizzata da Valentina Murrieri, a raccontare l'oscuro mondo dei call center.

Sono quasi 5mila i salentini, di ogni fascia d’età e con alto tasso di scolarizzazione, a lavorare come operatori in più punti della provincia. Una cifra che, fortunatamente, fa riferimento anche a diverse società che hanno provveduto a stabilizzare i dipendenti secondo i vincoli imposti dal contratto nazionale.Perchè è bene non fare di tutta l'erba un fascio.

La fascia d’età dei dipendenti salentini si aggira mediamente attorno ai 30 anni: si tratta di operatori in possesso almeno di un diploma di scuola superiore, ma il più delle volte con una laurea. Il 70 per cento dei circa 5mila dipendenti salentini è composto da donne. (...)

Ciò che emerge in maniera uniforme, tra gli oltre trenta tra ragazzi e ragazze intervistate nel Salento, è (...) un clima di lavoro inumano, in cui regna competitività, agonismo, continuo sospetto e, ancora più grave, la perenne minaccia che i coordinatori stagliano all’orizzonte: quella della perdita della commessa. Le figure “intermedie “ dei cosiddetti team leader o supervisor (che già nella loro anglofilia si presentano in tutta la loro freddezza), non sono percepite in maniera positiva. (...)

Sarà per via di queste continue tensioni dovute alla “produttività” se, oltre ai profitti, in alcuni luoghi di lavoro cresce a dismisura anche l’uso di psicofarmaci come tranquillanti e antidepressivi.  “Abbiamo assistito, negli ultimi tempi– aggiunge Moscara della Cgil - a vere e proprie “farmacie” accanto alle postazioni di alcuni call center. E’ stato registrato un aumento esponenziale di farmaci ansiolitici e all’insorgere di diversi tic nervosi dovuti alla pressione psicofisica dei dipendenti”. 

Per non parlare di tutti quei miei colleghi – aggiunge un 29enne, sposato – che pur percependo stipendi bassi, si sono dovuti sobbarcare le spese di consulenze presso psicologi a causa dello stress e di questa continua, velata minaccia di perdere il lavoro se non si è abbastanza produttivi. 

Una donna alla soglia dei 40 anni, sposata e madre, nata all’estero, si dichiara esterrefatta: “Figlia di migranti, per un periodo ho vissuto e studiato in Germania. Ho fatto dei lavori umili e mai avrei pensato di dover sottostare a regole rigidissime come quelle del lavoro di assistenza telefonica, pur stando nel 2017. Una telefonata non deve essere inferiore a tot. minuti, ma non deve neppure superare un altro tot. di minuti. A fine conversazione il cliente ha sempre più spesso un codice e si esprime con valutazioni che possono distruggerci in un attimo”.

“Lavorate, che qui stiamo messi male. Non è escluso che dovremo chiudere”. Questo è l’incentivo con cui siamo spronati a vendere. A dichiararlo è una ragazza che ha lavorato in ben quattro call center diversi della Puglia. Atteggiamento padronale, dovuto spesso a simpatie e antipatie personali, confermato anche in questa intervista.  “Da noi non lavorano soltanto persone di 20 anni o sui trenta come il sottoscritto. Ci sono anche padri di famiglia, in altri call center persino coppie di marito e moglie. Per un uomo di 50 anni, che magari ha perso il lavoro e ora si ritrova in un call center, sarà difficile sentirsi offendere, perché di questo parliamo, da un capogruppo di una ventina di anni. Ma non possiamo neppure prendercela con quest’ultimo: ma con chi l’ha piazzato lì, in quella mansione”.

Fonte: Lecce Prima →
Si parla di
Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Viaggio nel mondo dei call center: in aumento tic nervosi e uso di psicofarmaci

Today è in caricamento