rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024

Strangola la moglie malata, i giudici negano l'attenuante: "Non è eutanasia"

La prima sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna a 7 anni e 8 mesi di carcere ad un 87enne che nel 2014 uccise la moglie gravemente malata

Nessuna attenuante per "morte pietosa" va riconosciuta a un 87enne che, nel 2014 a Firenze, uccise la moglie gravemente malata strangolandola mentre dormiva.

La prima sezione penale della Cassazione ha così confermato la condanna a 7 anni e 8 mesi di carcere, inflitta con rito abbreviato, all'imputato, il quale chiedeva gli fosse riconosciuta anche l'attenuante per "motivi di particolare valore morale o sociale".

L'uomo, anche lui molto malato, aveva confessato di aver voluto porre fine alle sofferenze della moglie - come da lei stessa, a suo dire, desiderato - e di voler preservare la figlia e i nipoti dall'incombenza di doversi occupare dell'inferma, nel caso in cui lui fosse venuto a mancare.

Nel suo ricorso in Cassazione, con il quale aveva impugnato la sentenza emessa dalla Corte d'assise d'appello di Firenze, l'imputato aveva sottolineato che "fosse da considerare un valore condiviso dalla collettività porre fine alle sofferenze di una persona, conformemente ai suoi desideri espressi in vita". Inoltre, nel ricorso veniva ricordato che "alcuni paesi europei hanno legalizzato l'eutanasia e il suicidio assistito, o hanno intenzione di farlo a breve" e che le sentenze della Corte di Strasburgo hanno "più volte ritenuto compreso nell'articolo 8 il diritto di ogni individuo a decidere il modo e il momento in cui la sua vita avrebbe dovuto finire": nel caso in esame, sosteneva il ricorrente, "non si trattava di conferire legalità alla scelta di porre fine ad una vita, ma solo di considerare socialmente apprezzato il fine perseguito" e a sostegno di tale tesi veniva citato un sondaggio Eurispes "da cui emergeva che la maggioranza degli italiani era favorevole all'eutanasia".

I giudici della Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, hanno rilevato che per riconoscere "tale attenuante" avrebbe dovuto risultare che "il motivo che aveva determinato" l'imputato "all'azione fosse da considerarsi espressione del comune sentire sociale, e ciò non poteva dirsi essere in concreto sussistente, afferendo la questione a tematiche, quali l'eutanasia ed i trattamenti di fine vita, ancora oggetto di ampi dibattiti".

Il fatto, secondo i giudici della suprema corte "era da ascriversi allo stato d'animo dell'imputato, che lo rendeva ormai incapace di sopportare le sofferenze e l'inarrestabile decadimento fisico e cognitivo della moglie. In questa condizione psicologica, si era probabilmente radicato il suo convicimento di esaudire un desiderio della stessa".

Fonte: Corriere della Sera →
Si parla di
Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Strangola la moglie malata, i giudici negano l'attenuante: "Non è eutanasia"

Today è in caricamento