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Venerdì, 19 Aprile 2024

"Sono gay: ecco i miei sei anni di umiliazioni a scuola"

Paolo Berizzi, giornalista de La Repubblica, intervista Francesco (nome di fantasia), un giovane ragazzo gay che racconta la storia delle umiliazioni subite durante gli anni della scuola a causa della sua sessualità

Un giorno nell'ora di matematica uno l'ha chiamato "Barbie". Adesso sorride. "Mica è brutta la Barbie, ma io sono un uomo, e sono felice di esserlo". Altri compagni, meno sofisticati, come in una gara di freccette si sfidavano a fare centro infilzando l'obiettivo con gli epiteti più triviali e banali. "Frocio". "Finocchio". "Checca". "Fenóli" (in dialetto friulano). In classe. "Lo scrivevano sulla lavagna, oppure via sms".
Ha 20 anni, bel ragazzo, figlio unico, single, padre dirigente, mamma "artigiana alimentare". Frequenta l'ultimo anno "là dentro", che sarebbe l'istituto tecnico di Udine dove da quando aveva 14 anni lo prendono in giro perché è gay.

Paolo Berizzi, giornalista de La Repubblica, intervista Francesco (nome di fantasia), un giovane ragazzo gay che racconta la storia delle umiliazioni subite durante gli anni della scuola a causa della sua sessualità.
Ecco alcuni passaggi dell'intervista.

I tuoi come si sono comportati? Quando i compagni ti insultavano sono intervenuti?
"Mai. Anzi, qualche insegnante si univa al coro: battutine, allusioni. Se un professore sa che in classe c'è un alunno omosessuale e scherzando con un altro alunno etero gli chiede "non hai la morosa, non sarai mica finocchio?", e tutti ridono, come posso sentirmi io?".

Quando hanno iniziato a insultarti?
"Primo anno, avevo 14 anni. Mi ero accorto di essere gay da due anni. Mi confido con una compagna, la mia migliore amica. Lei lo dice a un altro e si sparge la voce. E la palla di neve inizia a rotolare".

Adesso come va?
"Non è che le battute sono finite, è che io reagisco. Dopo l'outing forzato della mia amica, ho subito per cinque anni. In silenzio. Me ne hanno dette e scritte di tutti i colori, un ragazzo una volta, uno che mi piaceva, mi ha detto "se fossi i tuoi genitori ti ripudierei come figlio". È la frase che mi ha ferito di più. Forse si è accanito per togliersi dall'imbarazzo di piacermi".

Torniamo all'istituto tecnico. Insegnanti e preside che dicono quando i compagni ti prendono di mira?
"Niente. Fanno finta che il problema non esista. Mi sbatto per portare anche nella mia scuola il corso (tra i primi in Italia) organizzato dall'ufficio scolastico regionale e dall'Arci gay per sensibilizzare sul bullissimo omofobico. La preside dice: "Il fenomeno qui non esiste". Quando sa benissimo che non è così. C'è un'omertà diffusa".

Perché hai deciso di raccontare la tua storia (il primo a parlarne è stato il Messaggero Veneto), e perché chiedi che non si faccia il tuo vero nome?
"Voglio che chi sta soffrendo quello che ho sofferto io non si senta solo. Il mio nome non lo faccio perché i miei nonni farebbero fatica a accettarlo".

Saresti pronto a raccontare la tua storia anche al provveditore agli studi?
"Sì".

Fonte: Repubblica.it →
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