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Giovedì, 25 Aprile 2024
Scuola

Prof aggrediti e umiliati, non è solo bullismo: "Pressione dai genitori e social deleteri"

Bullismo? Non solo. Per Piero Bernocchi, leader e portavoce dei Cobas, da tempo i professori sono sottoposti a un vero e proprio "mobbing": delegittimati e impoveriti, culturalmente ed economicamente. Colpa della "scuola azienda" e della "falsa coscienza" della politica

Oggi Lucca e Velletri. Prima Foggia, Parma, Caserta. Ma anche Alessandria, Napoli. Da Nord a Sud, gli insegnanti sono sempre più spesso vittime di aggressioni fisiche e verbali da parte di genitori e alunni. Fatti ormai non più sporadici, che indignano ma soprattutto preoccupano. Bullismo? Non proprio. Piero Bernocchi, leader e portavoce dei Cobas, parla più di "mobbing" contro una categoria, quella degli insegnanti, da tempo umiliata e delegittimata, dal punto di vista culturale ed economico.

"Queste aggressioni fisiche, che sono sì in numero preoccupante, sono un epifenomeno: non sono l'unico aspetto - spiega a Today - Per certi versi le cose più rivelanti, che però si vedono meno, sono assai più ampie perché riguardano un'attività di 'mobbing' o 'stalking' nei confronti degli insegnanti". Sulle spalle dei professori c'è infatti da tempo una "pressione verbale e psicologica molto pesante" da parte dei genitori, organizzati "in maniera pervicacemente sempre più ostile agli insegnanti" ora anche sui social, per esercitare "un lavoro di intervento continuo pretendendo di sapere come si insegna, lamentando il trattamento riservato ai figli". 

Vent'anni di umiliazioni e delegittimazioni

"Questa pressione, sempre più schiacciante e preoccupante, ha però dei motivi, che sono strutturali e generali". Motivi che partono da lontano, da almeno venti anni fa. Secondo Bernocchi, l'origine di tutto è da ricercarsi a partire dalla riforma della scuola di Luigi Berlinguer, che ha aperto la porta alla "scuola azienda". "L'idea è che la scuola è al servizio della clienta, che ordina cosa desidera di più: perciò non si boccia più, tranne casi eccezionali, tutto deve diventare sempre più facile, lezioni e compiti più leggeri, si devono disturbare sempre meno famiglie e studenti". Contemporaneamente a questo, denuncia  Bernocchi, "l'insegnante è stato sempre più umiliato e impoverito, sia dal punto di vista economico sia culturale, negli ultimi vent'anni, con una continuità da parti di tutti i governi".

Il 19 aprile è stato firmato il nuovo contratto per il biennio 2016-2018 del comparto "Istruzione e ricerca", dopo dieci anni di blocco, con aumenti per 45 euro netti in busta paga. "Questo significa che in dieci anni un insegnante ha perso circa tra i 200 e i 250 euro di stipendio mensile netto", dice il sindacalista. "La scuola italiana di venticinque, trenta anni fa investiva più di quella di oggi. C'è stato un impoverimento generale, accompagnato da una dequalificazione totale dell'insegnante, che è diventato una specie di tuttofare intellettuale declassato, che deve fare quello che serve e chiede l'azienda, adeguandosi alle richieste della clientela".

Picchiati, derisi e umiliati dai bulli: i prof si ribellano ai pestaggi in classe 

Una situazione di cui però i docenti sono in parte responsabili: "La subordinazione e l'accettamento di questo da parte dei docenti è evidente. Noi come Cobas abbiamo cercato di lottare contro queste idee folli - ad esempio il bonus assegnato dal preside ai più ruffiani o disponibili agli ordini - però dobbiamo ammettere che la maggioranza dei docenti ha pensato: 'Io speriamo che me la cavo', accettando supinamente tutte le richieste, anche quelle più assurde  che il sistema politico e ministeriale gli faceva". Il risultato è stato un lento sgretolamento dell'autostima, dice Bernocchi, giunta a limiti difficilmente raggiunti da ben poche altre categorie di lavoro dipendente. I professori "di conseguenza sono anche relativamente indifesi di fronte ad attacchi che diventano sempre più pesanti ma che sono anche logorii verbali, come essere sottoposto all'esame continuo di famiglie, studenti, all'invadenza di chi dice: 'Hai messo cinque a mio figlio? Io ieri sera l'ho interrogato e sapeva tutto'". 

"Restituire dignità al lavoro del docente"

Intanto però i professori continuano ad essere vittime di violenze. "Mi auguro che si accenda una grossa luce su questi fenomeni, ovviamente non fermandosi solo agli atti di violenza dichiarata, perché quelli sono atti di delinquenza sanzionabili facilmente, non c'è bisogno di nuove leggi", spiega il leader dei sindacati di base: "Chi picchia un insegnante non dovrebbe essere solo buttato fuori dalla scuola almeno per quell'anno. C'è anche la questura. Si chiamano reati. Solo che in questi casi scatta un meccanismo, direi quasi di omertà, per cui la scuola quasi si vergogna di questi eventi, non si vuole fare una cattiva pubblicità, tende a sminuire, magari colpevolizza pure l'insegnante perché gli viene fatto credere che la responsabilità è sua". 

Non è un caso che molti degli episodi che oggi riempiono le cronache si siano in realtà verificati ad esempio un anno fa. "Escono fuori via via che se ne parla, ma di episodi non così eclatanti eppure grotteschi ce ne sono tanti". La situazione quindi è drammatica, "ma c'è un coacervo di responsabilità ed è molto complicato invertire la tendenza", tuona Bernocchi. Cosa bisognerebbe fare? "Innanzitutto bisogna restituire dignità a questo lavoro ma pare che la cosa non interessi a nessuno. L'idea che tanto dalla scuola debbano uscire soltanto manovali o giù di lì, che abbiano solo una vaga infarinatura di quello che serve, che vengano tutti promossi, va bene a tutti. A genitori e studenti. Ma è chiaro che va bene solo  nell'immediato". 

Come rispondere alle violenze

Nel frattempo, gli strumenti per arginare il fenomeno delle violenze ci sono. "A patto di volerli usare", dice Bernocchi, e "iniziando dalle cose meno gravi, anche secondo me incidono tantissimo". Per dire no alla pressione continua dei genitori, è sufficiente che la presidenza e gli organi collegiali prendano posizione nette, "a partire da tutta una gamma di interventi, che arrivano fino alla denuncia civile e penale". Lo stesso discorso vale per gli studenti. Chi insulta un insegnante deve sapere che c'è la sospensione e il rischio di perdere l'anno. Quando si arriva poi alla violenza fisica, "quello si chiama reato: che tu lo faccia fuori dalla scuola o dentro, sempre reato resta". 

"La sospensione è il primo provvedimento. Se poi c'è un atto di violenza vera a propria, la scuola ha il dovere di denunciarlo. Proprio come succederebbe, giustamente, se un insegnante picchiasse uno studente"

"Ci sono tutti gli strumenti", ribadisce Bernocchi. "Quello che manca è l'identità della scuola e dei docenti e soprattutto manca il senso della dignità della scuola stessa: è questo il vero vulnus". E la politica? "Il vero recupero di dignità dovrebbe partire proprio dalla politica, ma basta vedere l'ultimo intervento del ministro Fedeli ("Gli studenti devono essere sanzionati fino a non essere ammessi agli scrutini finali", ndr) che però non dice come mai gli insegnanti subiscono tutto questo". Il problema è "la falsa coscienza". Per Bernocchi "chi gestisce la scuola sa benissimo che questo è il risultato di un lungo processo iniziato con la scuola azienda, l'autonomia, gli istituti in gara gli uni contro gli altri per attirare clienti. Questo ha svalutato la didattica e ha logorato e disgregato anche il senso di sé della grande maggiornanza dei docenti". 

Gli smartphone in classe

Molti episodi di violenze commessi contro i professori in classe sono stati ripresi e diffusi sui social. "Gli smartphone vanno lasciati fuori dalla classe", afferma Bernocchi (e questo vale anche per gli insegnianti, chiarisce). "E' evidente che il meccanismo social e la smania di protagonismo che generano hanno ingigantito tutto ciò". 

"Sputare in faccia all'insegnante, mettergli la colla sulla sedia, insultarlo: prima erano episodi che rimanevano in classe e venivano puniti. Lo venivano a sapere venti persone, al massimo lo potevi raccontare agli amici, ma finiva lì. Ora no. Ora si va sui social, c'è l'idea: 'Faccio la bravata e divento protagonista, si parla di me'". Ma si tratta di "un meccanismo egocentrico che ha poco a che fare con la scuola e molto con la società"

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