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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Cambiamento climatico e buone pratiche: il Professor Carraro ci spiega la relazione

Sono tante le buone pratiche messe in atto per contrastare i cambiamenti climatici, ma anche tanti i concorsi che li promuovono. Il professor Carraro ci parla di quello promosso dall’International Center for Climate Governance (Iccg)

Il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide che l'umanità dovrà affrontare nei prossimi anni. L’attività dell’uomo sta mettendo in serio pericolo l’ambiente che ci circonda influenzando in primis il clima: il surriscaldamento globale, l’innalzamento dei mari, fenomeni meteo estremi sono sempre più frequenti e nella maggior parte dei casi attribuibili alla mano dell’uomo.  Ma se l’uomo è una delle cause principali, può e deve anche essere la soluzione principale. Le buone pratiche, allora, rappresentano una delle strategie da mettere in atto per contrastare i cambiamenti climatici.


 

 Questa sera all’Aula Baratto dell’Università Cà Foscari di Venezia, in occasione della Notte Europea dei Ricercatori, si premieranno i vincitori del concorso “Climate Change and Urban Resilience. How to prepare our cities to respond to climate changes related challenges” ovvero “Buone idee per preparare le nostre città ai Cambiamenti Climatici” promosso dall’International Center for Climate Governance (Iccg). Abbiamo chiesto al Professor Carlo Carraro, Rettore della Cà Foscari e  Direttore dell'International Center for Climate Governance di illustrarci più nel dettaglio di cosa si tratta.


 

Professore, fortunatamente le buone pratiche messe in atto per contrastare i cambiamenti climatici non mancano. E tanti sono anche i concorsi che le promuovono, come ad esempio il Climate change and Urban Resilience promosso dall’ICCG. Ci può spiegare come è nata l’idea di questo concorso?



 

L’International Center for Climate Governance si occupa di governance del clima a livello nazionale e internazionale e ha tra i suoi scopi quello di identificare istituzioni, prassi, procedure e regole che permettano di affrontare la sfida posta dai cambiamenti climatici. Ma la ricerca dell’ICCG non vuole chiudersi in se stessa: con l’intento di diventare più operativi e concreti, ci siamo posti l’obiettivo di identificare le idee più brillanti per contrastare il fenomeno dei cambiamenti climatici attraverso il coinvolgimento degli utenti dell’osservatorio Best Climate Practices (www.bestclimatepractices.org), che possono contribuire attivamente segnalando e votando le migliori pratiche ideate e realizzate in tutto il mondo.

Lo abbiamo fatto, quest’anno, premiando le migliori idee che possono consentire alle città di ridurre le proprie emissioni da un lato e di adattarsi al meglio ai cambiamenti climatici dall’altro.

Attualmente, oltre la metà della popolazione mondiale vive in aree urbane: entro il 2050, si potrebbe raggiungere l’80 per cento. Data l’alta vulnerabilità delle aree urbane ai cambiamenti climatici, la prima edizione del concorso ha voluto incoraggiare le istituzioni, gli scienziati, i cittadini, le aziende e tutte le parti interessate a riflettere in modo costruttivo sul problema e premiare idee valide anche se provenienti “dal basso”, senza pensare solamente ai grandi accordi internazionali sul clima.


 

Questo concorso è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio ICCG Best Climate Practices che si pone l’obiettivo di diffondere le buone pratiche, quelle soprattutto che meritano una buona attenzione per la loro originalità ed efficacia. L’Italia, in merito proprio alle buone pratiche, si può considerare un Paese virtuoso?



 

In Italia, il riscaldamento globale è più evidente rispetto agli altri Paesi, basti pensare che il 2012 è stato il ventunesimo valore annuale positivo consecutivo e il quarto mai registrato dal 1961. Dal momento che i tempi di azioni a livello globale e internazionale sono, com’è risaputo, più lunghi e farraginosi, in Italia l’azione tende a svolgersi principalmente a livello locale. I progetti attivi sono, nella maggior parte dei casi, promossi da amministrazioni comunali. Molto forte è anche il ruolo delle istituzioni scolastiche e universitarie nelle campagne di sensibilizzazione alle problematiche ambientali  e nella conduzione di progetti di ricerca e sperimentazione.

Attualmente, la maggior parte delle buone pratiche italiane riguarda i settori dell’energia, dell’urbanistica, dell’edilizia e della mobilità. Tra questi, interventi diretti sull’illuminazione pubblica, il retrofitting del patrimonio edilizio locale ed interventi atti a modificare la mobilità urbana.


 

Quanto le buone pratiche possono realmente essere risolutive per le problematiche ambientali? Sono sufficienti?



 

Le buone pratiche sono sicuramente un buon punto di partenza e un ottimo strumento per agire velocemente e concretamente. Una buona pratica può essere il frutto dell’ingegno personale di un cittadino particolarmente sensibile e attento alle problematiche ambientali così come il risultato di mesi e anni di ricerca da parte di un’istituzione: anche l’azione di singoli soggetti può dare un forte contributo alla lotta ai cambiamenti climatici quando si trasforma in una buona pratica.

La tutela dell’ambiente, la sostenibilità e la transizione verso la cosiddetta green economy fanno parte, prima di tutto, di una rivoluzione culturale: non si deve e non si può aspettare che ad agire siano gli stati o la comunità internazionale in toto. E’ fondamentale che ciascuno di noi apporti il proprio contributo e le buone pratiche sono uno strumento ottimale per facilitare il processo partecipativo di un gran numero di soggetti, siano essi cittadini, politici o ricercatori. A tal proposito, progetti come il Best Climate Practices possono facilitare la diffusione delle buone pratiche e, grazie alla condivisione che uno strumento come la rete consente,  la loro replicabilità a livello globale.


 

Lei è rettore di una università che si trova in una città spesso interessata da fenomeni che qualcuno associa ai cambiamenti climatici come l’innalzamento del livello dei mare. Com’è la situazione in Italia?



 

Nell’ultimo secolo il livello del mare a livello globale si è innalzato di 17 cm e il trend attuale di crescita è di 3 millimetri l’anno. Tuttavia, alcuni rapporti di recente pubblicazione evidenziano come per ogni grado di riscaldamento del pianeta, il livello del mare potrebbe alzarsi di oltre 1 metro. Lo scioglimento dell’Artico sempre più veloce aggiunge ulteriori preoccupazioni. Da questo punto di vista l’Italia è un sorvegliato speciale e a rischiare non è solo Venezia. L’abbassamento geologico del tratto costiero, congiuntamente all’innalzamento del livello del Mare Nostrum (Mediterraneo) minacciano Catania, Cagliari, la Versilia. In totale sono circa 33 i luoghi ad alto rischio solo in Italia. Diviene inevitabile pensare ad un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che faccia della difesa delle zone costiere il suo punto forte. Gran parte dei paesi europei se ne è già dotata, a seguito della direttiva europea che lo richiedeva. L’Olanda, paese a rischio, ha gia’ iniziato a realizzarlo. In Italia si parla d’altro….. 

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