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Giovedì, 25 Aprile 2024
T3 Basilicata

Perchè la conoscenza è il nuovo paradigma dello sviluppo economico?

Oggi viviamo nella transizione, ancora più rapida e sostanziale, che sta portando il genere umano nell’era della conoscenza soprattutto scientifica e di incorporazione di quest’ultima nella tecnologia e nei prodotti

In principio è stata la rivoluzione agricola, basata sulla domesticazione di piante e animali che ci ha trasformati da cacciatori in creature stanziali. Poi quella industriale, fondata sulle macchine e sull’energia, prevalentemente fossile. Oggi viviamo nella transizione, ancora più rapida e sostanziale, che sta portando il genere umano nell’era della conoscenza. Una società, figlia della terza e più impattante rivoluzione, basata sulla produzione costante di nuova conoscenza, soprattutto scientifica e di incorporazione di quest’ultima nella tecnologia e nei prodotti.

Un’era in cui il valore dei prodotti e dei servizi è sempre meno influenzato dal lavoro fisico e sempre più funzione del tasso di conoscenza aggiunto: non è un caso che tutte le statistiche indichino come le imprese più dinamiche e promettenti, in tutti i settori e in tutto il mondo, siano quelle che producono e applicano nuove conoscenze. Creano più ricchezza delle altre, remunerano meglio il lavoro, stimolano di più la crescita generale dell’economia. Pensiamo ad un “banale” smartphone: al netto del costo del materiale necessario per produrlo e quanto relativo alla manodopera, al trasporto, alla commercializzazione, al brand, etc. circa il 70% del costo del prodotto è relativo alla tecnologia, alla conoscenza insita nel prodotto stesso. Non a tutto il resto.

Il primo a intuire l’avvento di questo tipo di società è stato, quasi settant’anni fa, Norbert Wiener: il padre fondatore della cibernetica ("The human use of human beings. Cybernetics and Society", Houghton Mifflin Company, London, 1950). Da allora, il ruolo assunto dalla scienza e dall’innovazione tecnologica nelle tematiche economiche e di sviluppo sociale dei paesi è stato via via crescente. Molti governi di molte nazioni, negli ultimi anni soprattutto in Oriente, per incrementare la crescita e la competitività dei loro sistemi produttivi favoriscono lo sviluppo della knowledge-intensive economy.

A livello globale si individuano tre importanti trend di riferimento: l’aumento significativo degli investimenti in ricerca e sviluppo rispetto al PIL, con alcune eccezioni nei paesi più evoluti tra cui, purtroppo, l’Italia; la variazione dell’asse geopolitico della ricerca, che ora comprende a pieno titolo paesi dell’Asia (in primis Cina e Corea del Sud) e dell’America latina, andando a modificare un equilibrio che negli ultimi quattro secoli ha visto la scienza e l’innovazione tecnologica a completo appannaggio di Europa e, solo successivamente, del Nord America; la strettissima correlazione tra ricerca, scienza ed economia.
 
Che il tema sia di scottante attualità è abbastanza evidente: sono sempre più numerosi gli studi di istituzioni politiche ed economiche che stabiliscono una correlazione tra capacità innovativa dei Paesi e loro competitività sui mercati internazionali. Tanto per rimanere nel recinto europeo, e a testimonianza dell’importanza che queste tematiche ormai ricoprono a livello di pianificazione strategica ed economica, è stata da poco pubblicata una interessante comparazione del rendimento degli Stati membri dell'UE. Almeno in linea teorica, i vari Paesi si servono di tale quadro per stabilire in quali settori concentrare gli sforzi, al fine di rafforzare il loro rendimento.
 
A livello global scopriamo che l'UE è ancora in ritardo rispetto alla Corea del Sud, al Canada, all'Australia e al Giappone ma, rispetto allo scorso anno, ha superato gli Stati Uniti. Inoltre, ciò che si apprende dallo stesso studio, disponibile a questo link, è che dal 2011 il rendimento innovativo è aumentato in 25 paesi dell'UE ed è diminuito in altri tre. I risultati sono migliorati in misura più marcata in Lituania, Grecia, Lettonia, Malta, Regno Unito, Estonia e Paesi Bassi, mentre il calo più pronunciato ha interessato Romania e Slovenia. Inoltre, il rendimento dell’Italia, assieme a Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria è inferiore alla media dell'UE confermando ancora una volta la nostra difficoltà, come sistema Paese, di inserirci in modo strutturato e competitivo nello scenario economico globale.
 
Ma cosa si intende nello specifico con il termine “innovazione”? E in che modo questo concetto è legato al mondo della ricerca? E perché in Italia questa dinamica per i più fruttuosa sembra riscontrare tante difficoltà, mentre tutto il mondo si muove verso una direzione di sviluppo ben precisa? Esistono modelli organizzativi e di politica economica in grado di far recuperare tale gap competitivo?
 
A questi interrogativi si proverà a dare una risposta, o perlomeno qualche spunto di riflessione, nei prossimi articoli di questa rubrica.
 

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