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Martedì, 23 Aprile 2024

Acqua? Né pubblica né privata, va nazionalizzata

Si fa presto a dire “acqua pubblica”. Ma dalla sorgente al rubinetto, l’acqua è già di proprietà dello Stato. Gli acquedotti per condurla, anche. Vietato venderli a soggetti privati, quand’anche l’acquirente dovesse partecipare con capitale interamente pubblico. Sgombrato il campo da un equivoco che rinfocola una narrazione tendenziosa, Mario Draghi - in un combinato disposto di emendamenti e decreti legge che rispondono alle logiche del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - ha posto tutt’altra faccenda. E cioè di far finire in mano ai privati non la proprietà, ma la gestione del servizio idrico. Come peraltro già accade in molte città d’Italia, Milano e Roma in testa. Con esiti esilaranti, a parità di condizioni: se all’ombra della Madonnina i cittadini pagano le bollette più basse d’Italia, sotto il Colosseo le tariffe sfiorano il massimo. Cioè raggiungono quasi quelle della Mole Antonelliana dove però - colpo di scena - il Comune detiene il 65% della gestione dell’acqua. E allora il problema sta nella privatizzazione in sé o nel management che a far peccato, si direbbe inadeguato? “E io pago!”, sentenzierebbe Totò. 

“L’acqua va nazionalizzata, anche perchè sta finendo. Se continuiamo a guardare il dito e non la luna, ci ritroviamo tra cinque o sei anni che aprire il rubinetto ci costerà come accendere il gas”. A parlare a Today senza mezzi termini è Luigi Gabriele, presidente di Consumerismo. E intende dire che il problema non sta tanto nelle tasche dei signori del profitto, quanto nella capacità della politica di capirci qualcosa. Una faccenda che andrebbe tratta come priorità nazionale, “al pari di quello che farebbe un Paese normale con le proprie risorse minerarie. E’ per questo che un gestore unico centrale avrebbe il grande pregio di togliere di mezzo una frammentazione insostenibile lungo lo Stivale, garantendo ai cittadini l’equità dei prezzi da Biella a Palermo. E siccome si tratta di un bene primario sul quale le aziende non dovrebbero creare un mercato di libera concorrenza (leggi speculare nda), si può immaginare che le eventuali quote azionarie possano essere riservate esclusivamente ai cittadini”. Una forma di partecipazione d’impresa spiegata come bere un bicchier d’acqua. Ma non è tutto. Perché a questi problemi, si aggiunge l’asso. “L’acqua non è che la produciamo. O viene raccolta nei bacini di acqua piovana presenti soprattutto al Centro-Sud oppure sgorga dalle sorgenti. Se il cambiamento climatico provoca periodi siccitosi sempre più lunghi e induce i ghiacciai al ritiro, ecco che si tratta di una risorsa naturale in condizioni di scarsità. E va tratta con la serietà che si conviene ad una situazione critica”. Perchè si sa, se diminuisce l’offerta, si alza il prezzo. Un assaggio di quello che potrebbe accadere si è già verificato nel giugno scorso al confine tra Oregon e California, dove la carenza idrica ha indotto il Governo a destinare l’acqua di un lago artificiale alla sola alimentazione del fiume Klamath. Accesso all’agricoltura limitato, morale: milleottocento pozzi a secco, economia primaria in ginocchio e bollette quadruplicate. “Frammentare le competenze crea più posti a disposizione dentro gli enti che sono quasi sempre a partecipazione politica. Così la situazione non si risolve e ci lascia impreparati. Ci vuole un piano nazionale, come sta succedendo per l’energia”, chiude Gabriele. Intanto, mentre ci si scandalizza per la “privatizzazione dell’acqua”, l’estate 2021 è stata la terza più siccitosa dal 1955.

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