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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Bolsonaro tra i grandi accusati / Brasile

Amazzonia in pericolo: cosa, e chi, minaccia il polmone verde del mondo

Nel rapporto di Greenpeace "Dangerous man, dangerous deals" i numeri degli ultimi tre anni sotto la guida dell'attuale presidente del Brasile: la deforestazione è aumentata del 75,6%, gli allarmi per gli incendi forestali del 24% e le emissioni di gas serra del 9,5%

E', o meglio si spera continui a essere, il pomone verde del mondo ma incendi e inquinamento la stanno uccidendo. Velocemente. Un danno irreparabile per il mondo intero. Parliamo della foresta amazzonica. L'associazione ambientalista Greenpeace lancia una pesante accusa: "Da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile, la deforestazione amazzonica è aumentata del 75,6 per cento, gli allarmi per gli incendi forestali sono cresciuti del 24 per cento e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano  sono aumentate del 9,5 per cento". 

La foresta in numeri

Tutti ne abbiamo sentito parlare, l'abbiamo studiata sui libri di scuola. Diamo due numeri. L'intera area ha un’estensione che supera i 7 milioni di chilometri quadrati, con la foresta vera e propria che che occupa circa 5,5 milioni, circa 18 volte l’Italia. Il bacino dell’Amazzonia si estente in nove Paesi del Sud America: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela e Guyana francese.

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L’Amazzonia assorbe da 150 a 200 miliardi di tonnellate di carbonio e rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’equilibrio climatico del Pianeta. Le foreste pluviali forniscono dal 17 al 20% dell’acqua dolce della Terra.Il Rio delle Amazzoni raccoglie tutta l’acqua del bacino amazzonico e con se trasporta una enorme quantità di detriti che riversa nell’oceano. Il Tamigi non trasporta nemmeno in un anno il volume d’acqua che trasporta il Rio della Amazzoni in un solo giorno.

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"Uomo pericoloso, affari pericolosi"

Greenpeace ha pubblicato il rapporto "Dangerous man, dangerous deals” ovvero "Uomo pericolodo, affari pericolosi". In 35 pagine si evidenziano i crescenti impatti negativi causati dal sistematico smantellamento della protezione dell’ambiente e dei diritti umani da parte del governo Bolsonaro negli ultimi tre anni. "Da quando Jair Bolsonaro è diventato presidente del Brasile, nel 2019, la deforestazione amazzonica è aumentata del 75,6 per cento, gli allarmi per gli incendi forestali sono cresciuti del 24 per cento e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano sono aumentate del 9,5 per cento", si legge.

Cronaca di un disastro

Secondo quanto emerge dal rapporto dell’associazione ambientalista, che si basa sui dati raccolti dall’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), nel 2019, anno in cui Bolsonaro entrò in carica, il tasso annuo di deforestazione in Amazzonia era di 7.536 km quadrati. Tre anni dopo, l’INPE ha annunciato che, tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 km quadrati di Amazzonia: un aumento del tasso di deforestazione di oltre il 75 per cento rispetto al 2018. Un inesorabile peggioramento che si presagiva già durante il primo anno di governo, in cui la deforestazione in Amazzonia era aumentata del 34% rispetto al 2018, passando da 7.536 km2 a 10.129 km quadrati di foresta distrutta. 

L’impunità che ha accompagnato l’aumento della deforestazione si è tradotta anche in un drammatico aumento degli incendi, spesso appiccati illegalmente per favorire l’espansione dell’agricoltura industriale e del settore estrattivo attraverso il cosiddetto “cambio di uso del suolo”, cioè l’eliminazione della vegetazione autoctona per fare spazio principalmente a piantagioni e pascoli, ma anche a infrastrutture e miniere. I dati triennali diffusi dall’INPE mostrano, per esempio, un incremento del 15 per cento di incendi nel Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del pianeta, e del 218 per cento nel Pantanal, la zona umida più grande del mondo. 

Gli incendi hanno anche un impatto negativo sul clima perché causano il rilascio di grandi quantità di gas a effetto serra. I dati raccolti dal Greenhouse Gas Emissions and Removals Estimating System, un progetto sviluppato dall’Osservatorio sul clima brasiliano, costituito da una rete di oltre 50 organizzazioni non governative, mostrano che le emissioni di gas serra in Brasile sono aumentate del 9,5% dall’entrata in carica di Bolsonaro. Durante l’anno successivo, cioè il 2020, il Brasile ha emesso 2,16 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, la quantità più elevata dal 2006.

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Diritti umani calpestati

Nel duro atto di accusa degli ambientalisti, anche "il considerevole aumento dei conflitti per la proprietà delle terre e delle violazioni dei diritti umani, I dati diffusi dalla Commissione Pastorale per la Terra mostrano che i primi due anni del governo Bolsonaro sono stati caratterizzati da un aumento di circa il 40 per cento del numero di conflitti per le terre, che in molti casi sono sfociati nella morte di coloro che si sono spesi per difenderle. Nel 2020 erano infatti in corso circa 1.576 controversie riguardanti la proprietà dei terreni (poco meno della metà riguardano Popoli Indigeni), il numero più alto dal 1985".

L'Ue e Bolsonaro

Per gli ambientaisti "l’agenda politica del presidente brasiliano ha peggiorato le condizioni di ecosistemi preziosi per la salute del pianeta e di numerosissimi popoli indigeni che lottano per proteggerli". "Nonostante ciò, l’Unione europea non solo ha continuato a fare affari con il Brasile, ma ha anche rispolverato l’accordo commerciale Ue-Mercosur, che rischia di inondare il mercato europeo di prodotti legati alla deforestazione e alla violazione dei diritti umani, come la carne, favorendo settori che aggravano la crisi climatica”, afferma Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia.

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