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Martedì, 16 Aprile 2024
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La Cina ha quasi dimezzato l'inquinamento: ecco come ha fatto a far meglio di noi

Le strategie del successo: dallo stop al mining del bitcoin alle politiche di diversificazione energetica

Quando il presidente cinese Xi Jinping ha promosso gli obiettivi climatici della Cina, molti hanno sollevato diversi dubbi. Perché la Cina, il Paese che è responsabile di più della metà delle emissioni globali di CO2, si è prefissata un obiettivo climatico ambizioso: raggiungere prima del 2060 la neutralità carbonica, attraverso il conseguimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio.

Gli sforzi compiuti negli ultimi anni, che promuovono la trasformazione green cinese come uno degli obiettivi del XIV Piano quinquennale (2021-2025) - una roadmap di traguardi per lo sviluppo economico e sociale nazionale – stanno mostrando i primi risultati.

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Un recente studio dell’Energy Policy Institute dell’Università di Chicago evidenzia come la Cina abbia ridotto l’inquinamento atmosferico in sette anni, quasi quanto fatto dagli Stati Uniti negli ultimi tre decenni. Lo studio di ricerca mette in fila una serie di numeri: la quantità di particolato nocivo nell’aria in Cina è diminuita del 40 per centro tra il 2013 e il 2020, mentre gli Usa hanno raggiunto un calo pari al 44 per cento dagli anni 70 a oggi.

Aree di inquinamento in Cina-2

Le strategie del successo: lo stop al mining del bitcoin

Il successo raggiunto dalla Cina è incoraggiante per tutto il mondo. Se la seconda potenza economica del mondo prosegue sulla strada già tracciata, può garantire due anni in più all’aspettativa di vita media degli abitanti della Terra. Alla base del traguardo cinese c’è la strategia vincente adottata dal governo centrale: Pechino ha infatti imposto le restrizioni sull’utilizzo delle automobili inquinanti, sulla combustione del carbone per alimentare le centrali nelle principali città, ma ha anche introdotto un limite per le estrazioni delle criptovalute. Il mining del bitcoin richiede infatti enormi quantità di potenza di calcolo e utilizza grandi quantità di energia.

Tenendo a mente gli obiettivi climatici che Xi Jinping ha messo in agenda, la scorsa estate Pechino ha messo un freno alle attività dei cripto miners. La repressione è stato un colpo durissimo: la Cina rappresentava, all’epoca, tra il 65 per cento e il 75 dell'hash rate mondiale. I minatori cinesi di criptovalute hanno quindi spostato le loro attività al di fuori della grande Muraglia, prediligendo paesi come il Kazakistan e la Russia, dove il prezzo dell’elettricità è inferiore rispetto a quello della Cina.

L’attività dei cripto miners cinesi all’estero ha dato vita a una “via sotterranea”, tanto da riportare ai vertici delle classifiche la Cina come leader delle estrazioni di criptovalute. Non c’è quindi divieto che tenga sul mining di criptovalute nella seconda economia più grande al mondo, che lo scorso anno ha dovuto affrontare problemi di carenza energetica per diversi mesi, con numerose interruzioni di corrente che hanno colpito vaste aree del Paese.

La spinta green cinese trova giustificazioni nella forte dipendenza dal carbone del gigante asiatico. Per questo le autorità cinesi vedono il mining di criptovalute come un potenziale ostacolo al piano ambientale.

Diversificazione energetica

Non c’è solo la stretta sulle estrazioni di criptovalute. Pechino si sta impegnando nell’utilizzo dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. La spinta per l’energia pulita arriva dalle industrie del fotovoltaico, che arrivano a produrre circa l’80 per cento su scala mondiale dei pannelli solari e circa la metà delle turbine eoliche. Le rinnovabili ricoprono così un ruolo determinante per il successo del piano ambientale del paese: la Cina è il più grande emettitore del gas serra e circa il 57 per cento del suo fabbisogno energetico è rappresentato ancora dal carbone.

Con la decarbonizzazione che è diventata il leit motiv della dirigenza cinese, la Cina individua altre risorse energetiche. Nel quadro della diversificazione, Pechino ha recentemente approvato la costruzione di sei reattori nucleari, che si aggiungono ai 19 già in costruzione, per una spesa totale di 120 miliardi di yuan (circa 17,2 miliardi di euro).

Nella corsa a ostacoli per garantire che almeno il 25 per cento del mix energetico cinese sia costituito da fonti pulite (+9 punti percentuali rispetto al 2020), Pechino lega a doppio filo la protezione e sostenibilità ambientale con i consumi aziendali, con differenze che si registrano tra le diverse province cinesi.

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La situazione globale

Lo smog in vaste aree della Cina rappresenta ancora una minaccia per la salute dei cinesi. L’inquinamento, infatti, riduce l'aspettativa di vita globale più del fumo di sigaretta, dell'alcol o per le condizioni legate a carenze igieniche-sanitarie. Come sottolineano gli autori della ricerca, senza l’impegno della Cina, il mondo avrebbe registrato un aumento dei livelli medi di inquinamento dal 2013.

Ad accelerare il processo del cambiamento climatico sono i paesi industrializzati dell'Asia meridionale e sudorientale, nonché quelli dell'Africa centrale. La Cambogia e la Thailandia hanno entrambe registrato un aumento dell'inquinamento di oltre il 10 per cento nel 2020, a differenza di Singapore e Indonesia che hanno registrato un calo. La ricerca accende i riflettori sulla quantità di particolato nocivo nell’aria in Repubblica Democratica del Congo, Ruanda e Burundi, che sono tra i paesi più inquinati al mondo.

Le concentrazioni di particelle tossiche di dimensioni inferiori a 2,5 micrometri - o PM 2,5 - sono aumentate del 2,9 per cento in India dal 2020. In Pakistan sono aumentati del 6,3 per cento e in Bangladesh, la nazione più inquinata della Terra con livelli di particolato 15 volte superiori alle linee guida dell'Oms, l'aumento è stato del 13 per cento.

I dati non riguardano solo il continente asiatico o africano. Secondo i ricercatori dell’Università di Chicago, circa il 97 per cento della popolazione mondiale vive in aree in cui la qualità dell'aria è solitamente peggiore delle linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Schema Bloomberg-2

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