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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Ambiente

Incubo plastica: la siccità porta a galla "l'orrore" che inquina i fiumi italiani

L'associazione ambientalista Greenpeace Italia fotografa il problema nel bacino idrografico del Po: "Immagini da scenario tipico dei paesi del Sud-est asiatico". E arrivano le prime critiche alla "legge Salvamare"

Nelle ultime ore, le piogge sono tornate almeno in parte a cadere sul Nord Italia, dove le precipitazioni in questi primi mesi del 2019 sono dimezzate rispetto allo scorso anno. Non basta. E per capire perché prendiamo ad esempio il fiume Po: la pioggia venuta giù in un solo giorno ha fatto innalzare il livello idrometrico del fiume più lungo d'Italia, in sofferenza dopo un lungo periodo di "magra", ma il Po rimane sempre sotto il livello del 2018. Quasi come se fossimo in piena estate, sul letto del Po riarso dal caldo sono emerse montagne di rifiuti: fotografie che alzano il velo sul preoccupante inquinamento dei nostri fiumi.

La plastica che inquina i fiumi italiani: le immagini

Greenpeace Italia diffonde oggi alcune immagini raccolte lo scorso 3 aprile da alcuni cittadini in Veneto - località Torretta, comune di Legnago (in provincia di Verona) - che mostrano quali sono i livelli di inquinamento, principalmente da plastica, che affliggono i nostri corsi d’acqua, facendo emergere le conseguenze dell’abuso di contenitori e imballaggi in plastica monouso. Le testimonianze foto e video riguardano in particolare le chiuse del Canal Bianco, corso d’acqua facente parte del bacino idrografico del Po.

Fiumi italiani, la piaga dell'inquinamento | Foto Greenpeace Italia

"Le immagini mostrano uno scenario tipico dei paesi del Sud-est asiatico, in cui i fiumi sono delle vere e proprie discariche a cielo aperto. La scarsità idrica che sta caratterizzando da diverse settimane i corsi d’acqua del nord Italia fa emergere, in tutta la sua gravità, il problema dell’inquinamento da plastica e di come i corsi d’acqua siano ormai invasi da contenitori e imballaggi usa e getta", dichiara Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia. "In un contesto globale in cui gli effetti dei cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti è necessario gestire in modo corretto le risorse idriche, proteggendole adeguatamente dall’inquinamento pervasivo da plastica", conclude.

Perché Greenpeace "critica" la nuova legge Salvamare

Ogni minuto, ventiquattro ore al giorno, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce nei mari del pianeta e, secondo studi recenti, l’80 per cento ha origine in ambienti terrestri. Di tutta la plastica prodotta ogni anno, il 40 per cento viene impiegato per la produzione di contenitori e imballaggi monouso, di difficile recupero e riciclo a fine vita. Per questo Greenpeace chiede misure urgenti alla radice del problema che riducano la produzione di plastica monouso, "contrariamente a quanto previsto dalla legge Salvamare che interviene solo sulla plastica già presente in mare".

Cosa dice la legge "Salvamare"

Il riferimento è al disegno di legge Salvamare presentato dal ministro dell'Ambiente Sergio Costa e approvato ieri dal Consiglio dei Ministri. Secondo il testo - che ora dovrà essere votato dal Parlamento - i pescatori potranno portare a terra la plastica accidentalmente finita nelle reti. Finora erano costretti a ributtarla in mare perché altrimenti avrebbero compiuto il reato di trasporto illecito di rifiuti, sarebbero stati considerati produttori di rifiuti e avrebbero dovuto anche pagare per lo smaltimento. Approvata la legge Salvamare, i pescatori che diventeranno "spazzini" del mare potranno avere un certificato ambientale e la loro filiera di pescato sarà adeguatamente riconoscibile e riconosciuta. I rifiuti potranno essere portati nei porti dove saranno allestiti dei punti di raccolta e verranno introdotti dei meccanismi a premio per i pescatori.

La legge, dunque, interviene sulla plastica già presente in mare, dando gli strumenti normativi ai pescatori per portare a terra quella che rimane impigliata nelle loro reti. L'Europarlamento ha invece approvato nei giorni scorsi una nuova legge che vieta (entro il 2021) l’impiego di molti articoli in plastica monouso.

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Per spingere le grandi multinazionali a intervenire sul problema dell’inquinamento da plastica, Greenpeace nei mesi scorsi ha lanciato una petizione sottoscritta da più di tre milioni di persone in tutto il mondo, con cui chiede ai grandi marchi come Nestlè, Unilever, Coca-Cola, Pepsi, Ferrero, San Benedetto, Colgate, Danone, Johnson & Johnson e Mars di ridurre la produzione e investire in sistemi di consegna alternativi che non prevedano il ricorso a contenitori e imballaggi in plastica monouso.

La plastica dispersa in mare dall'Italia

Secondo un report del Wwf, l'Italia è il terzo paese del Mediterraneo a disperdere più plastica nel mare, con 90 tonnellate al giorno. In particolare, dal report emerge che la plastica rappresenta il 95% (oltre 150 milioni di tonnellate) dei rifiuti in mare aperto, sui fondali e sulle spiagge del Mediterraneo e proviene principalmente da Turchia e Spagna, seguite da Italia, Egitto e Francia. Il Mediterraneo è particolarmente esposto al problema della plastica, in quanto si tratta di un mare semichiuso: si pensa che siano almeno 250 miliardi i frammenti di plastica al suo interno. Nel Tirreno il 95% dei rifiuti galleggianti avvistati - più grandi di venticinque centimetri - sono di plastica, il 41% di questi sono buste e frammenti.

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