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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Covid, l'uomo può contagiare gli animali? Lo studio che classifica le specie più a rischio

Un nuovo studio statunitense stila una classifica degli animali più a rischio infezione da parte dell’uomo. Si tratta di un modello matematico in cui cani, gatti, maiali e altre specie domestiche e d’allevamento sembrerebbero le più esposte

Dall’inizio della pandemia, il web ha restituito centinaia di fotografie a imperitura memoria dei nostri bisnonni durante l’epidemia di spagnola. Nel 1918 tutti in posa con la mascherina sul volto, proprio come noi. Ma in una in particolare, tra gli umani spicca un gatto. Anch’esso mascherato. La foto è stata dichiarata autentica e adesso arriva la ricerca scientifica a suggerire che quella precauzione riservata all’animale domestico potrebbe rivelarsi utile anche in tempo di Covid-19. Da uno studio del Cary Institute of Ecosystem Studies, pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, emerge che l’uomo sarebbe in grado di contagiare alcune specie animali e segnatamente, quelle alle quali si trova più vicino. Animali domestici, bestiame ed esemplari in commercio sarebbero i più predisposti ad essere infettati.

Nella classifica dello studio appaiono in cima, tra gli altri, il gatto, il cane, il maiale, il furetto e il toro. Ma l’infezione da Sars-Cov-2 è già stata confermata nei gorilla di pianura occidentale, il che renderebbe vulnerabile anche la fauna selvatica. Infatti la ricerca annovera marmotte, leoni e tigri come potenziali recettori. L’obiettivo dunque è stabilire quali specie abbiano più probabilità di contrarre il virus dall’uomo e di re-infettarlo in un rimbalzo perenne, foriero di pericolose varianti. I ricercatori hanno usato un modello computerizzato, che ha previsto la capacità ricettiva di 5.400 specie di mammiferi con una precisione del 72%, rendendo possibile una classifica di rischio utile a capire quali sistemi di prevenzione mettere in atto.

“Sull’origine del contagio negli animali, per il momento rimangono timori e ipotesi riguardo molte specie”, spiega a Today Cesare Avesani Zaborra, direttore scientifico del Parco Natura Viva di Bussolengo, Centro di Tutela delle Specie Minacciate. "Sappiamo che il virus riesce facilmente a saltare sulle scimmie antropomorfe come i gorilla e che questo potrebbe verificarsi anche sugli scimpanzé. Sappiamo anche che i grandi felini sono molto sensibili ai coronavirus in generale e che in molti parchi zoologici ad esempio, si sta procedendo con la vaccinazione. Ma non abbiamo ancora dati specifici che ci possano indicare il tracciamento e le eventuali complicazioni della malattia”. Tra i casi già noti al pubblico di Coronavirus negli animali, c’è senz’altro quello dei visoni d’allevamento in Danimarca e nei Paesi Bassi, fenomeno che i ricercatori indicano come la causa di almeno una nuova variante. Inoltre, lo studio ha previsto un’elevata capacità di contrarre l’infezione tra i mammiferi commerciati vivi, soprattutto quando si tratta di traffico illegale. Tra questi i macachi, gli orsi neri asiatici, i giaguari e i pangolini. “Questo pone la sfida non solo sul terreno della gestione quotidiana di tutti gli animali a contatto con l’uomo, che deve rimanere rigidamente ancorata a un protocollo rigoroso - conclude Avesani Zaborra - ma anche su quello della conservazione della fauna selvatica. Se dovessimo trovarci a fronteggiare non più solo le cause attuali di scomparsa della biodiversità ma anche quelle derivanti da una larga diffusione del virus, non so che strumenti potremmo avere per salvare molte specie che già si trovano sull’orlo dell’estinzione”.

Durante l’influenza spagnola la mascherina l’aveva anche il gatto

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