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Venerdì, 19 Aprile 2024
leggenda di natale

Gli animali parlano e giudicano i padroni: la leggenda della notte di Natale 

Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, la magia può far accadere di tutto. Anche che gli animali di casa parlino e giudichino il comportamento dei padroni. Le antiche leggende sparse in Italia mettono in guardia però dall’ascoltarli, pena inesorabili sciagure.

Si dice che la magia esista agli occhi di chi crede. E non c’è stato un mondo più fatalista di quello contadino, profondo conoscitore dei cicli naturali e giudice impietoso degli uomini che osavano porsi al di sopra di essi. Ne siano testimonianza centinaia di leggende italiane che sopravvivono nella memoria di alcune genti della Penisola, ancora legate al susseguirsi dei riti tradizionali. Tra di essi, non fa eccezione la notte delle notti. Quella in cui tutto può accadere. Che Gesù bambino porti i doni a chi è stato buono ma anche che gli animali della stalla inizino a parlare. E giudichino il trattamento che è stato riservato loro durante l’anno. Cibo, fatiche nei campi, cure in caso di malattie. Nella notte tra il 24 e il 25 dicembre, asini, buoi e cavalli si confidano tutto, lontani dalle orecchie indiscrete dei padroni. Che mai dovranno incorrere nella tentazione di origliare, pena inesorabili sciagure. Tra le quali la morte. Per questo, la sera della Vigilia ci si dedicava a loro con attenzioni un pò speciali.

“La sera della Vigilia di Natale - si narra in un’antica leggenda ancora nota tra i pastori del Pollino - anche il bestiame doveva mangiare bene, proprio come fanno i cristiani. Ai cani, si dava un pò di latte e il pezzo di pane più grosso, alle capre e alle pecore lasciavamo grosse fasce di frasca di leccio; alle galline buttavamo grano e orzo; ai porci, ghiande e beverone di crusca; all’asino, alla mula e alla giumenta, una bella cioffa di biada; ai buoi mettevamo più paglia, fave bollite e una fascetta di fieno. Poi, appena chiuse le porte della stalla e dell’ovile, ci avviavamo verso il paese, dove le nostre donne avevano già preparato i nove piatti di Natale”. Ma è a quel punto che la tentazione fa l’uomo ladro. “Prima della messa di mezzanotte però - ricorda la vecchia storia - un uomo molto curioso e poco generoso con il foraggio, si avviò verso la porta della stalla per verificare che nella leggenda ci fosse un fondo di verità. Aprì la porta e non credette alle sue orecchie, quando udì che il bue bianco e il bue nero che parlavano fra loro."E’ meglio che adesso dormiamo perché domani dobbiamo svegliarci presto", disse il primo. “E perché? - disse il secondo - Domani è Natale e non lavoriamo”. “Invece sì - profetizzò il compagno - porteremo il padrone al camposanto”. Spaventato da ciò che aveva udito, l’uomo tentò di rifugiarsi in casa ma la paura prese il sopravvento e il suo cuore si fermò. Inutile concludere che quei due buoi, la mattina successiva vennero attaccati al carro e si diressero al sepolcreto. La voce si sparse tra le valli e le montagne e da quel giorno, la magia divenne un rito tradizionale.

Forse un ammonimento ante litteram a non maltrattare i nostri amici a quattro zampe. Oppure la consapevolezza che nessuno di noi può farla franca di fronte al giudizio inesorabile dei nostri comportamenti. Che arriva solitamente dalle anime più pure, proprio come gli animali. Fatto sta che nessun drone impollinatore, nessun trattore digitalizzato né alcuna macchina raccoglitrice potrà mai sostituire l’umiltà di una civiltà rurale, viva con i suoi animali, ormai scomparsa sotto i nostri occhi. Nemmeno nella notte di Natale.

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