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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Animali

Non arriva più nemmeno il mais: animali a rischio abbattimento per carenza di mangime

Nelle stalle sono già state ridotte le razioni di cibo mentre per i mangimi non bastano le scorte. Anche i primi supermercati mettono un tetto ad alcuni alimenti. E l’agricoltura nazionale non riuscirà a compensare lo stop da Ucraina e Ungheria

Venti giorni, massimo un mese. Tanto potrebbe durare la resistenza dei produttori italiani di mangimi di fronte allo stop delle importazioni di mais da Ucraina e Ungheria. Ovvero dai primi due Paesi che garantiscono all’Italia quasi la metà della materia prima che serve per alimentare mucche, maiali e polli d’ allevamento. “Se non si attivano canali di approvvigionamento alternativo - ammonisce Michele Liverini, Presidente dell’Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici - sarà inevitabile il blocco della produzione mangimistica con conseguenze devastanti. Si arriverebbe alla necessità di abbattimento degli animali presenti nelle stalle e al crollo delle produzioni alimentari di origine animale, come carni bovine, suine e avicole, latte, burro e formaggi, uova e pesce”. D’altronde, nel giro di un decennio la produzione nazionale ha subito una vera e propria debacle. E le possibilità di soddisfare il fabbisogno nazionale di mais solo con la nostra agricoltura, sono ridotte al lumicino. Quindici anni fa eravamo autosufficienti, oggi produciamo meno della metà di quello che ci servirebbe. Il che ci rende dipendenti dalle politiche economiche dei paesi dai quali importiamo. In questo caso l’Ucraina è in guerra, ma l’Ungheria no. Tuttavia, dopo i rialzi dei prezzi che già avevano colpito tutta Europa nelle scorse settimane (Italia compresa), il Paese di Orban ha deciso di tutelare in primis il proprio fabbisogno interno. Limitando i rincari per i propri cittadini e introducendo le limitazioni all’export. Per uscire da questo cul-de-sac, all’Italia mancherebbero all’appello almeno 300mila ettari in più di mais coltivato e l’apertura di una nuova rotta in ingresso da USA e Argentina. Con navi che però, nella migliore delle ipotesi, non arriverebbero prima di 5-8 settimane.

Improvvisamente i tempi si sono fatti tremendamente stretti. Dalle fattorie italiane Coldiretti fa sapere che le razioni di cibo a mucche, maiali e polli si sono già ridotte fino al 10% e che gli agricoltori stanno lavorando in perdita, nel tentativo di fronteggiare “la peggiore crisi alimentare per gli animali dalla fine del secondo conflitto mondiale”. Una situazione che parte dalle stalle, per rovesciarsi in tempi brevissimi anche sui consumatori di tutto il comparto alimentare. “Nei primi supermercati (come Unicoop Firenze) - prosegue Coldiretti -  si è deciso di mettere un tetto per chi compra olio di semi di girasole, farina e zucchero”. La nostra è ormai una rincorsa alle contingenze, un tentativo di recupero in zona Cesarini di una situazione arcinota, annunciata da anni praticamente in tutti i settori dell’industria primaria. Che sta pagando le conseguenze di una speculazione al ribasso sul mercato mondiale, consumata sulla pelle della (più costosa) produzione nazionale. Sia come sia, adesso ci sono da salvare 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini e oltre 6 milioni di pecore, oltre a centinaia di milioni di polli e tacchini. Siamo all’alba delle semine primaverili e i produttori di mangimi lanciano un accorato appello perchè "la situazione è ormai a un livello di allarme massimo e occorrono decisioni di emergenza”, conclude Liverini. “Serve favorire l’import ma nel contempo un piano immediato di incentivi per la coltivazione di ulteriori superfici. Occorrono 9 milioni di tonnellate, ovvero almeno 300mila ettari in più di mais italiano”

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