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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Aborto, in difesa della legge 194: "C'è una lotta in atto mentre l'Italia resta indietro"

Il caso "umbro" ha riacceso la discussione sul tema dell'aborto nel nostro Paese. Una decisione "assolutamente politica" priva di "fondamento scientifico", dice Silvana Agatone, presidente della Laiga, che ribadisce la necessità di garantire l'applicazione della legge 194

Una decisione "locale" che è diventata un caso nazionale. È quello che è successo dopo che la giunta regionale di centrodestra in Umbria ha deciso di ripristinare l'obbligo del ricovero di tre giorni per le donne che si sottopongono all'interruzione farmacologica di gravidanza eliminando la possibilità di effettuarla in day hospital, risollevando il dibattito sull'applicazione della legge 194.

Tra le varie associazioni che si sono mobilitate da subito contro la scelta della Regione Umbria c'è la Laiga, la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l'Applicazione della legge 194, che denuncia come quanto avvenuto in Umbria ad opera della giunta guidata della leghista Donatella Tesei rischi di rendere ancora più difficile per le donne l'accesso all'interruzione di gravidanza, insieme ad altre problematiche relative alla tutela della salute durante l'emergenza legata al Covid.

Tesei ha ribadito di aver seguito le linee guida e di aver difeso la salute delle donne, ma per la presidente della Laiga Silvana Agatone si è trattato invece di una decisione "assolutamente politica" e che "non ha nessun fondamento scientifico", come spiega a Today. "In questo momento, con il coronavirus, si mette a repentaglio la salute delle donne ma anche quella dei medici", afferma Agatone, secondo la quale però la discussione che ha generato può avere un effetto positivo. "Forse la gente inizia a capire una cosa che magari finora non ha avuto modo di razionalizzare, cioè che c'è una lotta in atto. Questa è una delle tante battaglie che vengono portate avanti ma forse è un po' più visibile delle altre cose che sono state fatte negli ultimi anni, le quali non sembrano rientrare in un disegno più ampio contro l'aborto e altri diritti che invece è ben presente", dice Agatone. 

La presidente della Laiga riporta l'esempio della Francia, dove è già dal 2005 che il medico di famiglia è stato "delegato e preparato" a dare i farmaci necessari alla donna e "addirittura adesso con il coronavirus lo fanno in telemedicina, la donna non deve nemmeno più passare dal proprio medico curante". Agatone sottolinea anche i costi economici e di gestione che l'obbligo dei tre giorni di ricovero comporta senza che, ribadisce, vi sia un effettivo fondamento scientifico. Inoltre la Francia, come molti altri paesi, consente l'accesso all'aborto farmacologico fino a 63 giorni, anziché i 49 previsti dall'Italia. La Francia non è l'unico paese, a livello europeo ma non solo, e l'Italia si ritrova su questi temi sempre indietro, tuona Agatone. "L'Europa sta facendo anche degli altri passi avanti, quindi loro non starebbero pensando alle donne? È un discorso che non regge".

Ieri il ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto un parere al Consiglio Superiore di Sanità in merito all'interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico, per rivedere eventualmente le linee guida oggi in vigore. Queste risalgono al 2010 e raccomandano i tre giorni di ricovero per la RU486. Agantone però rimane cauta. "Chissà cosa ne uscirà. Potrebbe avere un esito positivo come pure uno negativo. Da un lato è sicuramente un segno di attenzione sulla situazione, dall'altra bisognerà attendere e vedere cosa succederà".

La Laiga, insieme a molte altre associazioni, è tra i firmatari di una petizione online per garantire a ogni donna, sull'intero territorio nazionale, l'accesso all'aborto farmacologico durante l'emergenza Covid-19, allineandosi a quanto già previsto altri paesi (Francia e altri). Le petizioni e le lettere aperte ovviamente servono, dice Agatone, auspicando però anche un grande coinvolgimento da parte della società civile e della politica in difesa della legge 194 e dei diritti delle donne. "Quando fu chiesta la loro opinione con il referendum sull'aborto, i cittadini italiani sono andati a votare e si sono espressi. Perché dobbiamo andare contro la volontà della popolazione italiana? E non votarono solo le donne, c'erano anche gli uomini. L'articolo 15 della legge 194 dice che bisogna aggiornarsi e permettere l'uso delle tecniche più moderne e rispettose della salute fisica e psichica delle donne. Perché noi invece dobbiamo tornare indietro?".

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