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Venerdì, 29 Marzo 2024
L'analisi / Italia

Aborto, il diritto violato

Cala ancora, per il settimo anno di fila, il numero di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate in Italia. Le cause sono molteplici, in primis meno ospedali che erogano il servizio e sempre più medici obiettori

A 43 anni dall'entrata in vigore della legge che lo ha trasformato in un diritto per tutte le donne, in Italia vengono effettuati sempre meno aborti. Il numero di interruzioni volontarie di gravidanza (ivg), certificato dal Ministero della Salute, è in costante diminuzione ormai dal 1983, e va di pari passo con l’aumento della percentuale dei medici obiettori, e cioè di quei medici che rifiutano di praticare gli aborti appellandosi all’obiezione di coscienza.

Negli ultimi mesi il tema è diventato ancor più di attualità e oggetto di dibattito, complici casi eclatanti e dichiarazioni. Prima il Molise, dove il pensionamento dell’unico ginecologo non obiettore ha rischiato di lasciare le donne residenti senza un riferimento sicuro e legale cui rivolgersi; più di recente le parole di Papa Francesco, che ha definito l'aborto "omicidio"; e ancora, la decisione della Regione Piemonte di consentire alle associazioni pro-vita di entrare nei consultori e negli ospedali. 

Di aborto si parla insomma moltissimo, e l'impressione è che, se altri paesi sembrano avere fatto passi avanti per disciplinarlo e renderlo accessibile in modo sicuro e regolamentato, in Italia (come in altri Paesi) se ne facciano invece indietro. Per avere un quadro dell'andamento del fenomeno in Italia, d'altronde, basta guardare i numeri della relazione annuale sull'attuazione della Legge 194 sulle interruzioni volontarie di gravidanza. Nel 2019 le ivg sono state 73.207, e cioè il 4,1% in meno rispetto al 2018, mentre il dato provvisorio del 2020 è di 67.638, il 7,6% in meno. Il tasso di abortività (il numero di aborti rispetto a 1.000 nati vivi) del 2019 è pari a 5,8 per 1.000, e scende a 5,5 come valore preliminare nel 2020. Per il sesto anno di fila (settimo se contiamo ormai anche il 2020) il numero di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate in Italia è sotto le 100.000, e il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale.

Le percentuali sono ulteriormente scese rispetto all’ultimo report del Ministero della Salute sul ricorso all’aborto in Italia, relativo al 2018, che certificava un calo del 5,5% rispetto al 2017. E rispetto al 1983, anno in cui si è registrato il numero più alto in Italia (234.801), il numero delle Ivg nel 2018 risultava più che dimezzato. Numeri che potrebbero inoltre non raccontare tutta la verità, come conferma la dottoressa Silvana Agatone, presidente di Laiga 194, la Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori per l’Applicazione della 194.

“La relazione non descrive bene il fenomeno delle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia, e questo per le modalità con cui viene stilata - conferma a Today - I dati vengono raccolti sulla base dei documenti che il medico che ha eseguito l'intervento compila e manda all’Istat e all’Istituto Superiore di Sanità. Bisogna però tenere conto che ogni ospedale destina un limitato numero di posti letto alle interruzioni volontarie di gravidanza, programmandole nel corso del mese. Facciamo un esempio pratico: l'ospedale di una città riserva 4 posti letto ogni 15 giorni a donne che devono sottoporsi a ivg, il che vuol dire che quell'ospedale invierà 8 documentazioni su altrettanti aborti eseguiti nell’arco di un mese. Questo numero di posti letto viene scelto però senza badare all’esigenza e alla richiesta, e questo nonostante che l'aborto sia un intervento che va considerato urgente per legge. La relazione viene redatta solo sulla base degli interventi eseguiti, nulla si sa sulla richiesta effettiva: tantissimi ospedali prendono le prime 10-12 pazienti in lista. Le altre che non rientrano, ma hanno fatto richiesta, non vengono registrate e non rientrano nella casistica. E soprattutto, dove vanno e a chi si rivolgono?".

Impossibile dunque, secondo Agatone, sapere se il servizio sanitario soddisfa la richiesta di ivg. Ciò che invece sembra certo è che la 194 viene di fatto violata in Italia, perché all'articolo 9 prevede che "gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale". E a oggi gli ospedali che erogano questo servizio sono poco più del 50%, conferma Agatone.

"L'aspetto più preoccupante è proprio quello degli ospedali - continua la presidente di Laiga - stanno diminuendo inesorabilmente gli ospedali in cui è possibile sottoporsi a interruzione volontaria di gravidanza, il trend va avanti ormai da anni. E diminuisce anche il personale: i medici non obiettori sono pochi, vanno in pensione, e i più giovani non li sostituiscono".

I medici obiettori in Italia sono più del 65%

Il numero dei ginecologi che scelgono di non praticare aborti per obiezione di coscienza è invece aumentato costantemente negli ultimi anni, pur con un leggere freno nel 2019. La relazione annuale trasmessa al Parlamento il 30 luglio conferma che nel 2019 in Italia i ginecologi obiettori di coscienza erano il 67%, in leggero calo rispetto al 2018, quando erano il 69%, ma comunque "una quota elevata".

Tra gli anestesisti la percentuale di obiettori scende, con un  valore nazionale del 43,5%, anche qui in lieve diminuzione rispetto all'anno  precedente (46,3%). Ancora inferiore, rispetto ai medici e agli  anestesisti, è la proporzione di personale non medico che ha presentato obiezione nel 2019, pari al 37,6%. I dati si diversificano però a seconda delle regioni, e i numeri cambiano e anche di molto: tanto per fare alcuni esempi, l’obiezione di coscienza fra i ginecologi tocca l’85,8% in Sicilia, e fra il personale non medico si arriva a quota 90% in Molise.

Per monitorare la piena applicazione della legge 194 in relazione all'obiezione di coscienza esercitata sono stati utilizzati due parametri: il numero di strutture presenti nel territorio - in numero assoluto e in rapporto alla popolazione femminile in età fertile - e la disponibilità del personale sanitario dedicato. A questo proposito, emerge che il numero medio settimanale di interruzioni di gravidanza effettuate da ogni ginecologo non obiettore è in media, a livello nazionale pari a 1,1 a settimana, in leggera diminuzione. Sempre però a livello nazionale, perché se si guarda nel dettaglio alle regioni i dati sono enormemente differnti. Il valore più basso si registra per esempio in Valle d'Aosta, con una media di 0,5 ivg settimanali per ginecologo non obiettore, mentre il dato più alto si registra ancora una volta in Molise, con 6,6 ivg settimanali per ginecologo non obiettore. E quest'ultimo numero non è una sorpresa, visto che sino a qualche mese fa in Molise c’era un solo medico non obiettore che praticava interruzioni volontarie di gravidanza.

Stando ai dati raccolti da Laiga194, negli ospedali i medici obiettori sono, di media, 7 su 10, e la percentuale di ginecologi obiettori supera il 70% in 10 regioni: i numeri più alti si riscontrano in Molise (92,3%) e nella Provincia di Bolzano (87,2%). In aumento anche la percentuale di anestesisti obiettori, con una media del 46,3% in Italia e percentuali del 67,4% e 65% nell’Italia Insulare e Meridionale.

Obiezione di coscienza: le conseguenze, e perché aumenta

Conseguenza diretta, sottolineano anche da Laiga194, almeno il 5% delle donne si vede costretto a spostarsi dalla propria regione per accedere all’ivg. Le motivazioni sono diverse: il numero esiguo di medici non obiettori crea tempi di attesa molto lunghi che rischiano di impedire alla donna di accedere alla prestazione nei tempi stabiliti per legge (90 giorni, così come stabilito dalla Legge 194/78 che disciplina il ricorso all’aborto), molte donne non ricevono adeguata formazione in merito ai loro diritti, altre vengono invitate a rivolgersi a strutture private.

Anche i motivi alla base dell’aumento del numero di medici obiettori sono variegati: non sono sempre valori e convinzioni personali e religiose a spingere il professionista a rifiutare di praticare aborti, ma spesso anche la stanchezza (alcuni sono stati per lungo tempo gli unici del rispettivo ospedale a praticare ivg) e il desiderio di fare carriera. Come spiega bene Laiga194, essere non obiettori spesso significa rinunciare a importanti occasioni di carriera. Questo perché "molti dei primari degli ospedali sono obiettori provenienti da università cattoliche, il che fa sì che all’interno delle strutture sanitarie aleggi un messaggio molto chiaro, che tende ad ostacolare coloro che se ne distaccano. In definitiva, coloro che non sono obiettoro spesso si ritrovano ad essere discriminat, sia dai colleghi, sia delle politiche di assunzione e promozione che privilegiano il personale obiettore".

Un aspetto sottolineato anche da Michele Mariano, l’unico ginecologo molisano non obiettore già citato. A Mariano era stata rimandata la pensione proprio per evitare che il Molise diventasse l'unica regione italiana a non essere nelle condizioni di garantire un diritto come l'interruzione volontaria di gravidanza, e alla luce dell’aperta violazione della legge è stata recentemente affiancata una collega. Non è un caso dunque che nel 2016 il Consiglio d’Europa - sulla base di un ricorso presentato dalla Cgil e da Laiga64 - abbia stabilito che l’Italia discrimina il personale medico-sanitario che non ha optato per l’obiezione di coscienza, sostenendo che sia vittima di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti” e richiamandola.

La pandemia, il lockdown e gli effetti sull'aborto

Sempre secondo i dati raccolti da Laiga94, che a maggio ha diffuso una mappa interattiva in cui sono indicati tutti gli ospedali che garantiscono l’accesso all’aborto, in Italia in media viene praticato solo nel 64,9% degli ospedali. E la pandemia di covid-19 ha ridotto ancora di più la finestra: la necessità di riorganizzare i reparti e redistribuire le risorse per far fronte all’emergenza ha spinto numerosi ospedali a chiudere i servizi di interruzione volontaria di gravidanza, senza notizie precise sulla riapertura.

"In lockdown è stato un disastro - conferma Agatone a Today - Consultori e reparti chiudevano senza riaprire, e tutt'oggi in alcuni casi non sono stati riaperti, altri venivano dislocati in altre città. Dove però le donne non potevano spostarsi, magari perché in zona rossa, e questo nonostante che l'interruzione volontaria di gravidanza sia considerata un intervento urgente.

Lo ha fatto notare anche l'Associazione Luca Coscioni, promotrice della campagna "Aborto Sicuro", che ha chiesto alle Regioni "che i percorsi per poter abortire nel nostro Paese in base alla 194 siano effettivi e che non vedano ritardi, come  invece attualmente avviene, dato che una donna che vuole abortire deve fare il giro degli ospedali per verificare se c'è un medico non obiettore, mentre i giorni passano''.

"Ci sono Regioni in cui non c'è a disposizione nemmeno il metodo abortivo farmacologico - ha spiegato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell'associazione Luca Coscioni - e quindi quello chirurgico rimane l'unico metodo e Regioni che ancora non si sono adeguate al farmacologico in day hospital'. Durante la pandemia, poi, ''abbiamo visto che l'aborto era tra le prestazioni da erogare, ma i ritardi sono aumentati''.

"Sebbene l’analisi dei carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore non sembri evidenziare particolari criticità nei servizi di Ivg - ha detto anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, commentando il report relativo al 2018 - le Regioni devono assicurare che l’organizzazione dei servizi e le figure professionali garantiscano alle donne la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, come indicato nell’articolo 9 della Legge, garantendo il libero esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne e assicurando l’accesso ai servizi Ivg, minimizzando l’impatto dell’obiezione di coscienza nell’esercizio di questo diritto".

Sempre meno aborti in Italia: perché?

Che il numero di aborti sia in calo in Italia, insomma, è ormai accertato con numeri e statistiche. Le motivazioni, invece, sono meno definite e si intrecciano con altri dati. Di certo, per esempio, c’è che le gravidanze in Italia sono sempre meno, come dimostra il costante calo della natalità: dal 2017 al 2018 i nati della popolazione presente sul territorio nazionale sono diminuiti di 16.698 unità,  e nel 2020 si è toccato il minimo storico in termini di nascite dal secondo dopoguerra. Inoltre, l’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza (la pillola del giorno dopo e la pillola dei 5 giorni dopo), ha inciso sulla riduzione delle ivg, anche perché per questi farmaci è stato abolito l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni. E in generale, complice anche il lavoro dei consultori e delle associazioni, le informazioni sui metodi contraccettivi arrivano in modo più diretto, immediato e puntuale, informando adeguatamente una buona percentuale di donne.

C'è poi la parte del sommerso, e cioè tutte quelle donne che fanno richiesta ma non accedono al servizio e dunque non vengono registrate, che non vanno a incidere sul dato finale. Ed è alla luce delle difficoltà di accesso all'aborto, di cui abbiano diffusamente parlato sopra, Laiga ha messo a punto una mappa interattiva delle strutture e degli ospedali che praticano Ivg.

mappa ospedali aborti-2

Fonte Laiga194

“La mappa nasce dalla consapevolezza che gli ostacoli che le donne e le coppie incontrano per accedere al servizio di interruzione di gravidanza sono  la mancanza di una chiara procedura per l’accesso all’aborto - spiega l’associazione - e la difficile reperibilità del servizio, con il conseguente spostamento da un luogo a un altro, soprattutto in alcune zone geografiche”.

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