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Mercoledì, 24 Aprile 2024
L'analisi

Fiumi come bombe: "Investiti miliardi, ma vanno spostate le case"

Abbiamo basato la prevenzione del rischio idrogeologico sul contenimento e su una generica difesa del territorio per fare poi tutto quello che volevamo senza capire che i tempi stavano cambiando: l'intervista al responsabile scientifico di Legambiente Andrea Minutolo

Non solo una questione di soldi e di finanziamenti. Mentre continuano gli interventi e i soccorsi per l'alluvione che ha sconvolto l'Emilia Romagna si rimpallano anche le responsabilità. Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, invita a cambiare paradigma e allargare lo sguardo dalla polemica politica più spicciola. E suggerisce che a essere sbagliato sia l'approccio che ha guidato questi anni l'Italia nella gestione del rischio climatico e del dissesto idrogeologico. 

"Dal ‘99 al 2022 in Italia sono stati spesi circa 10 miliardi e mezzo di euro per le opere di prevenzione del dissesto idrogeologico. Ne sono state progettate circa 11mila di cui circa 5mila concluse nelle aree critiche.La domanda è questa: a fronte di tutti questi soldi il rischio è aumentato o diminuito? Credo che non serva nemmeno rispondere. Quindi le cose sono due: o le opere non hanno avuto l’effetto desiderato o c’è qualcosa che non ha funzionato. Dobbiamo partire da questa considerazione altrimenti continueremo a parlare di soldi che mancano e non di quello che sbagliamo”. E una considerazione che si basa su un'evidenza: la strategia del "contenimento" non paga più.

La strategia del contenimento è dannosa

“L’Italia ha tre rischi geologici: sismici, vulcanici e idrogeologici, solo che l’ultimo punto lo dimentichiamo puntualmente - osserva Minutolo - Anche in questo caso c’è stata una mancanza di attenzione. Oggi è facile dire che il fiume dovrebbe avere spazio dove esondare: i corsi d’acqua hanno naturalmente delle casse di espansione, il problema è che l’uomo ci ha costruito sopra. Nei decenni siamo andati a costruire e urbanizzare e anno dopo anno amplifichiamo il danno. Eppure ci convinciamo che il problema siano gli argini che debbano essere più alti per convogliare il fiume in spazi più stretti e costruire subito dietro. Dobbiamo cambiare di 180 gradi l’approccio: la soluzione non è alzare nuovi argini, la soluzione è allargare quelli che già ci sono. Va delocalizzato quello che si trova nei pressi dei fiumi: perché un corso d’acqua che esonda in un’area libera è innocua, un fiume incanalato che lo fa in un’area urbana genera disastri. Non dobbiamo impedire che il fiume esondi, ma che faccia disastri. Un analogo discorso possiamo farlo per le frane: la strategia del contenimeto e la logica della difesa di ciò che è indifendibile non paga più in termini di danni economici, umani e ambientali".

"Con una pioggia simile si può fare poco, ora diamo più spazio ai fiumi"

Il punto è che gran parte di questa pianificazione è stata fatta, secondo il responsabile scientifico di Legambiente, quando il clima era diverso: "ci siamo basati sulla difesa del territorio per fare tutto quello che volevamo. Tanto una piena avveniva ogni secolo in passato. Con il cambiamento climatico non è più così, ormai questi eventi si ripetono quotidianamente''. 

Siccità e alluvione: un legame da contrastare 

L'evidenza è che l'estrema siccità dei mesi passati ha di fatto spianato la strada all'alluvione, impedendo al terreno di assorbire acqua piovana e frenare così la sua corsa verso valle e verso le città. Una dinamica esasperata anche dalla cementificazione selvaggia che si ripercuote anche se parliamo di frane: ''Se siamo sempre in emergenza, dall’alluvione alla siccità, c’è qualcosa che nella pianificazione non funziona. Pensiamo anche alle frane, ho in mente le colline marchigiane che sono estremamente soggette al fenomeno. Con la cementicazione selvaggia abbiamo reso il terreno impermeabile e permesso all’acqua di scivolare velocemente su terreni che per loro natura sono soggette a movimenti. Il risultato? Abbiamo spesso smottamenti e strade dissestate. Non possiamo impedire che una frana avvenga, ma abbiamo aumentato a dismisura il rischio con la disboscazione. Gli alberi da un lato rallentano l’impatto dell’acqua, dall'altro garantiscono meno infiltrazioni in un territorio fratturato. Le radici assorbono acqua e compattano il terreno. Quando c’è siccità e disboscamento si favoriscono le frane. Dovremmo puntare sull'inversione di questa tendenza''. 

Non solo cambiamento climatico: cosa c'è dietro l'alluvione in Emilia-Romagna

E da fare ce n'è molto, anche nelle nostre città e nei nostri condomini, dove sono stati concessi bonus di ogni tipo e ignorato una risorsa sempre più scarsa e problematica come l'acqua: ''Abbiamo costruito le grondaie per scaricare l'acqua piovana a terra e orientarla verso le fognature, discorso analogo dei tombini stradali. Ma dove finisce quest’acqua? Nei fiumi. Andiamo a sovraccaricare un sistema che è già al collasso. Dovremmo imparare a rallentare l’acqua che scende e imparare a stiparla - osserva Andra Minutolo - Quanti seminterrati o scantinati condominiali potrebbero contenere cisterne per raccogliere acqua piovana? E quanta possiamo riutilizzarla per scopi meno nobili come tirare lo sciacquone ad esempio? Avremmo così anche la capacità di rallentare il deflusso dell’acqua, alleggerire i sistemi idrografici in caso di maltempo e affrontare i periodi di siccità. Abbiamo invece optato per una gestione schizofrenica: quando ci sono piogge intense l’acqua la vogliamo mandare via velocemente, in altre occasioni la vogliamo stoccare. Dobbiamo ragionare in termini sistemici e non solo sulla costruzione di grandi infrastrutture emegenziali. Ci preoccupiamo tanto, e giustamente, dell’efficientamento energetico, non valeva la pena di avere un capitolo idrico per gestire meglio l’acqua degli edifici? Un sistema di tubazione che permettesse di stipare e usare l’acqua piovana?''. Domande che quasi sicuramente resteranno inevase, fino alla prossima emergenza. 

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