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Venerdì, 19 Aprile 2024
L'intervista

"Con una pioggia simile si può fare poco, ora diamo più spazio ai fiumi"

Il presidente dei geologi dell'Emilia Romagna, Paride Antolini, insiste sulla straordinarietà dell'alluvione. Ma l'evidenza è che la gestione ordinaria non basta più, paghiamo il prezzo dei ritardi: su 23 nuove opere anti alluvione solo la metà sono in funzione

Dalla siccità all’alluvione. Le cartoline di quest'anno dell’Emilia Romagna ci hanno restituito il vero significato di quella che viene chiamata “emergenza climatica”. Dal dramma del Po sotto il livello di guardia si è passati repentinamente a 21 fiumi esondati. E al record di 200 ml di pioggia cascata in 48 ore in alcune aree dell’Appennino dove i fiumi nascono e prendono corpo prima di presentarsi a valle. Parliamo dell’equivalente delle piogge attese in due mesi. E da Faenza a Cesena, da Ravenna a Forlì, le precipitazioni non sono state da meno. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a un evento epocale, anche per l’estensione dell’area colpita, ma che non si può parlare più di ''maltempo'' o ''novità''.

Ha senso chiamarli ancora “eventi estremi”?

A molti è sembrato un refrain, potenziato, di quanto avvenuto due settimane fa. Tra il 2 e il 3 maggio un’intensa perturbazione ha colpito l’Emilia-Romagna in particolare nell’area di Bologna e Ravenna. Il bilancio è stato allora di due morti, vari fiumi esondati e rischio e varie evacuazioni. Una calamità per il quale il Governo aveva già dichiarato lo stato di emergenza. In questo caso i danni sono definiti “incalcolabili”.

Ma l’inventario delle alluvioni nell’area che va dalle alte Marche all’area adriatica dell’Emilia Romagna non autorizza, malgrado l’eccezionalità dell’evento, allo stupore. Ripercorriamoli con ordine.

Tra il 15 e il 16 settembre del 2022 nelle Marche, in molte aree delle province di Pesaro-Urbino e Ancona, le piogge si intensificano fino ad arrivare a 90mm all’ora. Una dinamica che ha scatenato frane e l’esondazione di molti corsi d’acqua, in particolare quella del fiume Misa che ha provocato la piena più disastrosa. Il bilancio è drammatico: 13 le vittime e interi territori devastati da acqua, fango e detriti.

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Il 10 maggio 2020 è ancora l’area di Pesaro a essere colpita con allagamenti e smottamenti in città e provincia. Il 13 settembre 2019 è invece il turno di Cesena dove si assiste all’esondazione del Savio, una dinamica simile (anche se meno intensa) a quella avvenuta due giorni fa. Il 14 maggio 2019 a pagare il prezzo del maltempo è invece di Villafranca, comune in provincia di Forlì che assiste all’esondazione del fiume Montone. Il 5 e il 6 febbraio 2015 esondando diversi fiumi in tutta la Romagna. Una calamità che porta all’evacuazione di decine di persone a Ravenna e Riccione e all’isolamento di Cesenatico. I danni ammonteranno a 32 milioni di euro

Nel maggio del 2014 un’alluvione si abbatte su Senigallia, comune marchigiano a sud di Pesaro. Il bilancio? 180 milioni di euro di danni e centinaia di sfollati.

È legittimo porsi, a questo punto, il dubbio che non ci troviamo di fronte a un evento completamente inaspettato, anche se quanto accaduto sembra fuori scala anche per l'estensione dell'area colpita. ''Con una piovosità simile si può fare poco, è un evento epocale: consideriamo che sono caduti 200ml di acqua in un metro quadro in 36 ore, non abbiamo una rete idrografica che possa prevedere un evento del genere. Dobbiamo però attrezzarci in futuro, perché questi eventi possono ricadere anche se non sappiamo quando'' osserva il Presidente dell’ordine dei geologi emiliani Paride Antolini. Tuttavia, anche nell’eccezionalità il dato, banale, è che il cambiamento climatico non è qualcosa che sarà, ma qualcosa che dobbiamo imparare a fronteggiare oggi.

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L’evidenza è che più un territorio è antropizzato, ovvero più è rilevante la presenza umana, più il rischio idrogeologico aumenta. Una cosa particolarmente vera per l’Emilia Romagna, regione caratterizzata da una delle densità abitative più alte d’Italia.

''La nostra zona, da Rimini a Piacenza è un continuum di case e poli industriali. L’urbanizzazione è cresciuta enormemente nel dopoguerra, è ovvio che nel momento che si passa da una gestione ordinaria del clima a una straordinaria si entra in crisi: i fiumi esondati sono stati ben 21 e ovviamente ci hanno fatto scoprire tutte le fragilità del nostro territorio'' sottolinea Paride Antolini. Ma i fiumi fanno da sempre parte dell’ambiente che ci è dato occupare. Il punto è costruire nelle loro prossimità o far sì che l’ondata di pieni non arrivi incontrastata a ridosso dei centri abitati.

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''Si deve senza dubbio lavorare sulla mitigazione, dare più spazio ai fiumi, non restringere o deviarne gli alvei, lavorare sull’espansione dei cosiddetti invasi di laminazione, ovvero sulle aree che rimangono normalmente vuote e fruibili dal punto di vista ambientale, turistico, agricolo e che possono all’occorrenza, assorbire parte della piena del fiume evitando esondazioni più a valle vicino ai centri abitati. In montragna invece si dovrebbe puntare sulla rifosterazione e il mantenimento dei boschi per impedire all'acqua di scendere a valle. Sono cose a cui si sta lavorando, anche se con qualche ritardo. Non posso escludere però che, malgrado la realizzazione di opere del genere avremmo comunque avuto una catastrofe'' precisa Parolini.

EMILIA_PRECIPITAZIONI

(Le precipitazioni registrate in 48 ore in Emilia Romagna) 

Il punto sono però, per l’appunto, i ritardi. Tra il 2015 e il 2022, come riporta il Quotidiano.net la Regione Emilia Romagna ha ricevuto 190 milioni di euro per la realizzazione di 23 di queste opere (definite anche “casse di epansione”). A regime ne funzionano solamente 12, altre due funzionano solo in parte, mentre nove attendono la fine dei lavori. Due sono addirittura ancora da finanziare, a fronte di un’emergenza che, come abbiamo visto nella cronologia sopra, non nasce certo oggi. Il punto è forse che non sono opere che hanno un ritorno immediato in chiave elettorale e che non finiscono mai sotto la lente dell’opinione pubblica, se non a tragedia avvenuta.

CI sono poi degli interventi più strutturali che, come ricorda Legambiente, riguardano non solo l’Emilia Romagna come: vietare qualsiasi edificazione nelle aree classificate come a rischio idrogeologico, delocalizzare gli abitanti nelle aree a rischio con appositi finanziamenti, salvaguardare la permeabilità delle aree urbane, vietare l'utilizzo dei piani interrati, vietare gli intubamenti dei corsi d'acqua. Un’opera che può essere fatta solo di concerto quindi, sul quale i vari governi latitano da anni.

Governo che viene, rinvio che trovi

Le catastrofi naturali riguardano, ormai da vent’anni, tutta Italia. Dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati ben 1.503 eventi estremi nello Stivale. Solo l’Emilia Romagna ne ha contati ben 111. Le vittime accertate dal 2010 a novembre 2022 erano 279. E le emergenze ci costano circa 3 miliardi di euro l’anno.

Il punto è la fragilità del nostro territorio. Secondo l’Ispra il 18,4% dell’Italia ricade nelle aree di maggiore pericolosità per frane e alluvioni. Sono 6,8 milioni gli italiani che vivono in territori a rischio alluvioni, circa un milione e mezzo quelli che vivono in territori a rischio frane. E il punto è che spendiamo almeno quattro volte in più per riparare i danni che per prevenirli. Se infatti dal 1999 circa 500 milioni di euro sono stati spesi per prevenire i danni degli eventi metereologici estremi, dal 2013 in poi spendiamo un miliardo e mezzo ogni anno per sanarli. Una cifra che, in assenza di un indirizzo preciso, è destinata probabilmente a risalire. Ma ancora una volta, come è avvenuto per la pandemia, quello che colpisce è la mancanza di un piano.

L’Italia deve infatti ancora aggiornare e approvare il suo "Piano di Adattamento ai cambiamenti climatici": la bozza è pronta dal 2018. Nel mezzo abbiamo avuto la pandemia ed eventi climatici sempre più estremi. Si tratta di uno strumento che hanno tutte le nazioni avanzate ad eccezione Slovenia, Polonia e Turchia. E che servirebbe a definire con maggiore precisione le aree a rischio idrogeologico e orientare efficacemente le politiche. Un’azione che ci chiede anche l’Europa urgentemente per orientare meglio i soldi del Pnrr. In particolare il Piano Nazionale di ripresa e resilienza stanzia circa 2,49 miliardi di euro sulla prevenzione del rischio idrogeologico. Fondi difficilmente gestibili in assenza di una strategia nazionale nel Paese che ha scelto di rincorrere le emergenze invece di imparare a gestirle.

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