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Sabato, 20 Aprile 2024
L'intervista

Perché in Italia mancano gli anestesisti?

Un problema emerso con l'emergenza sanitaria, ma che in realtà ci portiamo dietro da diversi anni. Quali sono le cause? E le possibili soluzioni? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Vergallo, presidente dell’AAROI-EMAC, l’associazione che raggruppa gli anestesisti e rianimatori italiani

Nelle fasi più acute della pandemia la loro carenza si è fatta sentire, portando a galla un problema che altrimenti avrebbe continuato a celarsi nell'ombra di un sistema sanitario che mette le ''pezze'' come può. Parliamo dei medici anestesisti, specialisti che fin dall'inizio dell'epidemia di Covid sono sempre stati in prima linea, anche quando i contagi aumentavano a dismisura e i posti letti erano vicini alla saturazione. A novembre dello scorso anno, in piena seconda ondata, i sindacati di categoria avevano denunciato la carenza di almeno 4mila anestesisti, rispetto ai 18mila attualmente operativi. Numeri che ad oggi non sono cambiati

Un problema che, con il ritorno alla normalità, rischia di ritornare nel dimenticatoio, nonostante i gli effetti negativi siano tutt'altro che nascosti. Ma perché ce ne sono così pochi in Italia? Cosa abbiamo fatto per aumentarli? Quali sono le conseguenze sulla sanità? Cosa servirebbe? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Vergallo, presidente dell’AAROI-EMAC, l’associazione che raggruppa gli anestesisti e rianimatori italiani: ''Noi come associazione denunciamo questa carenza da oltre 15 anni, negli ultimi 10 in maniera più insistente. La radici di questo problema hanno un'origine molto lontana, ma la principale causa è l'assenza di programmazione nei fabbisogni degli specialisti in relazione ai posti messi a disposizione per la formazione specialistica''.

Perché in Italia ci sono pochi anestesisti?

''Per fare un esempio – spiega Vergallo – fino allo scorso anno i posti a disposizione per la formazione specialistica erano 900 l'anno. Soltanto con l'emergenza Covid sono stati aumentati a 1.600, ma negli anni precedenti i numeri erano inferiori, anche 600-700 l'anno. A questo va aggiunto anche il problema dei tempi per la specializzazione: quelli che iniziano nel 2020 saranno pronti soltanto tra cinque anni, quindi nel 2025. Elementi di un fenomeno che dimostrano una programmazione poco intelligente avvenuta nel corso del tempo dalle istituzioni e da chi gestisce il Sistema Sanitario Nazionale''.

Da dieci anni chiudevamo ospedali (soprattutto pubblici): così la pandemia ci ha trovato impreparati

Ma il numero ridotto di posti non è l'unico motivo per cui in Italia mancano gli anestesisti: ''Il secondo problema che rende questa professione poco attraente riguarda la qualità della vita e il ritorno economico. La vita di una persona – aggiunge il presidente dell’AAROI-EMAC – che fa questo mestiere risente molto dell'impegno che, rispetto ad altri, è molto più pesante, soprattutto perché una gran parte del lavoro viene fatto in reperibilità: questo vuol dire che una volta finito il mio turno posso essere chiamato in qualsiasi momento, anche nel cuore della notte. E quando arriva una chiamata, nella maggior parte dei casi si tratta di un'emergenza. Invece, dal punti di vista economico, dovendo lavorare in ospedali, sia pubblici che privati, sono poche le possibilità raggiungere elevati introiti, in quanto l'alternativa è minore''.

Un settore con poca attrattiva e che spesso viene ''lasciato'' appena possibile, come spiegato da Vergallo a Today: ''Esistono altri due effetti complementari vanno ad influire sul fenomeno. Proprio a causa della poca attrattiva dovuta alla qualità della vita e allo stipendio esiste un turn-over molto alto: nella maggior parte dei casi chi raggiunge i requisiti minimi per il pensionamento decide di andare in pensione. Uno ''svuotamento'' incrementato dal fatto che nel nostro settore, il 60% dei lavoratori sono donne che, come previsto dalla legge, vanno in pensione prima degli uomini. Diciamo che, alla luce di questo, chi doveva fare delle previsioni ha sbagliato i conti per almeno 10 anni''.

Assunzioni e prestazioni aggiuntive: le possibili soluzioni

Ma, come è inutile piangere sul latte versato, anche in questo caso più che pensare alle cause, è importante pensare alle soluzioni, come quelle proposte da Vergallo: ''In primo luogo ben venga l'aumento dei posti disponibili a 1.600 l'anno. Una misura che speriamo diventi strutturale, così come il secondo aspetto che apprezziamo, relativo al meccanismo di reclutare, seppur con compiti di minore complessità, gli specializzandi degli ultimi due anni, a patto che venga garantita la loro formazione e che vengano inseriti in un contesto lavorativo adeguato alla loro preparazione e al loro processo di autonomizzazione''.

''Un'altra soluzione aggiuntiva – conclude il presidente dell’AAROI-EMAC – è il ricorso alle cosiddette prestazioni aggiuntive che potrebbero permettere agli specialisti di ottenere nuove ore di lavoro retribuite ma ''slegate'' dallo straordinario, che consentano soprattutto di smaltire le lunghe liste di attesa che si sono accumulate dell'inizio della pandemia. Un ritardo che va recuperato in qualche modo e con le stesse forze che avevamo prima della pandemia''. 

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