rotate-mobile
Lunedì, 5 Giugno 2023
Attualità Italia

Perché questo foglietto che in tanti condividono sui social è una sciocchezza

Questa immagine parte dal pretesto di mettere in mostra come la percentuale dei positivi ai tamponi sia notevolmente inferiore rispetto alla situazione registrata all'inizio della pandemia: non è così. E in errore ci è caduto anche qualche giornale

Da due giorni sui social network gira questo foglietto che evidenzia i casi di coronavirus in Italia mostrando le differenze tra la situazione attuale e quella di marzo. L'intento di chi ha pubblicato e continua a diffondere tale immagine è quello di minimizzare la situazione attuale della pandemia di Sars-Cov-2, eppure quello che si vuole sostenere mostrando questi dati è a tutti gli effetti una emerita sciocchezza. 

Partiamo dall'inizio: l'immagine parte dal pretesto di mettere in mostra come la situazione epidemiologica sia decisamente migliore rispetto a marzo evidenziando come la percentuale dei positivi ai tamponi sia notevolmente inferiore rispetto alla situazione registrata all'inizio della pandemia. Eppure tale confronto non ha alcun senso. Spiace ma in errore - volendo evitare ogni tentazione a vederci una forma di retro pensiero - è caduto anche qualche quotidiano come ad esempio il Giornale che nella prima pagina odierna riporta un identico schema con i dati aggiornati al bollettino di ieri. 

numeri coronavirus-2

Tralasciamo il fatto che solo una parte dei tamponi venga effettuato per le nuove diagnosi (tamponi diagnostici) mentre circa la metà sono i cosiddetti tamponi di richiamo del percorso guariti (occorrono due tamponi negativi a distanza di una decina di giorni) e per cui abbiamo più senso guardare al numeri dei casi testati giornalmente (ieri erano poco più di 70mila. Tralasciamo inoltre che ogni regione fornisce dati conteggiati in modo diverso, a volte non distinguendo tra i due diversi tamponi, altre senza specificare se il numero giornaliero sia quello dei tamponi effettuati (in ospedali o drive-in) o quelli processati dai laboratori con l'esito.

Senza entrare ulteriormente in tecnicismi, il confronto evidenziato dal bigliettino diventato virale non ha senso, perché a marzo i tamponi venivano fatti solo a una parte dei sintomatici mentre ora si vanno a cercare tutti i possibili contagiati per evitare l'esplosione della pandemia. Oggi infatti si trovano tanti positivi asintomatici, ed è un bene poiché se non in isolamento contribuirebbero a diffondere il virus contagiando persone più deboli o semplicemente più soggette a sviluppare una sintomatologia più o meno grave. 

Quanti positivi sarebbero stati trovati a marzo se il nostro Paese fosse stato in grado di attuare questa capacità di testing? Non dimentichiamo quante persone sono morte tra Lombardia e Veneto all'inizio della pandemia senza ricevere nemmeno una diagnosi di tampone, affogati dalla fame d'aria dopo un improvviso e celere aggravamento dei sintomi. 

Le stime basate sulle indagini epidemiologiche e sui resoconti di anomale polmoniti interstiziali di origine non batterica registrate già da dicembre 2019, ipotizzano che i numeri non sarebbero stato stati tanto diversi dagli attuali. 

I casi aumentano perché si fanno più tamponi?

Per cancellare un altro luogo comune - e sicuramente rassicurante - sulla correlazione tra casi e tamponi dobbiamo inoltre spiegare perché non è affatto vero che "i casi aumentano perché si fanno più tamponi". Come spiega il ricercatore dell'università di Trieste Marco Gerald il trend in risalita del numero di contagi è correlata alla strategia di contact tracing che ha come obiettivo primario quello di tracciare tutti i possibili contatti di ciascun soggetto positivo. 

Pertanto è evidente che il numero di nuove positività dipende dal numero di tamponi analizzati e dal livello di circolazione virale. Ma se il livello di circolazione virale restasse costante nel tempo, ad un aumento del numero di tamponi dovrebbe dunque corrispondere una riduzione del tasso di positività, non certo un suo aumento visto il progressivo isolamento dei soggetti positivi e la minore probabilità di venire in contatto con loro.

"La situazione che stiamo attualmente vivendo è quella che hanno affrontato poche settimane fa da Spagna e Francia, in cui l'effettivo aumento dei casi è stato successivamente confermato dai trend di ricoveri in terapia intensiva e decessi."

Veniamo ora al punto delle terapie intensive e dei ricoveri in ospedale. Qui, per fortuna, la situazione è mutata benché, vale la pena ribadirlo il virus è tutt'altro che clinicamente morto, con buona pace delle boutade del dottor Zangrillo. Ora i medici sono in grado di contenere meglio da un punto di vista terapeutico i casi gravi di Covid e a curarli meglio grazie ad una migliore consapevolezza di come agisce la malattia. 

"Berlusconi? A marzo-aprile sarebbe morto" 

Come spiega l'esempio del Veneto (che ha visto un aumento di quasi 1.200 positivi in due giorni) dove dei 5.832 attualmente positivi, soltanto il 3,8% presenta sintomi, a livello di contagi la situazione è simile al mese di marzo, ma sul piano delle ospedalizzazioni neanche lontanamente paragonabile. Questo si spiega con un altro dato: l'età media dei contagiati è passata da 60-65 anni a 45 anni. Come spiega il governatore Zaia. "Se la situazione dovesse cristallizzarsi così, sarebbe gestibile dal punto di vista ospedaliero. 

E se come già spiegato dalla Fondazione Gimbe entro Natale i numeri delle ospedalizzazioni non saranno più tanto bassi, il primo impegno di tutti sarà contenere la pressione sugli ospedali che - vale la pena ricordarlo - non possono occuparsi solo di Covid.

Ora il bigliettino dei casi di coronavirus diventato virale sui social vuole dire una cosa ben diversa rispetto all'intento di chi vorrebbe sminuire la pandemia: qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. Il rapporto tra casi testati e positivi a infatti la funzione di misurare la capacità di controllo del sistema sanitario: più è basso questo numero minore è mediamente il numero di controlli che si possono fare per ogni positivo trovato. E rispetto a tre settimane fa il numero dei casi testati per ogni positivo trovato è sceso da 36 a 19, cioè si è quasi dimezzato. È anche per questo che il ministro della Salute ha convocato il Comitato tecnico scientifico domani per una riunione urgente: occorre preparare il nuovo dpcm.

casi testati-2

Nota a margine

L'importanza di mantenere un adeguato numero di tamponi è dato dal fatto che occorre scovare i casi positivi, isolarli e interrompere la trasmissione del virus. I dati raccolti tra marzo e aprile nel corso della "prima ondata" hanno mostrato che i Paesi che hanno meglio contenuto la diffusione del virus sono stati quelli capaci di mantenere il rapporto tra casi positivi e persone testate al di sotto del 3%, un parametro che dà una misura di quanti test si stiano facendo in proporzione al reale  numero di casi attivi. In poche parole se il contact tracing funziona si fanno tanti tamponi e i casi che sfuggono al monitoraggio sono relativamente pochi e piano piano l'epidemia si spegne. Quando il rapporto invece tende a salire significa che molti positivi sfuggono al controllo e genereranno altri casi. La letteratura scientifica di riferimento è contenuta in un articolo di Tomas Pueyo.

Tornando a valore soglia del 3%, l'Italia lo ha oltrepassato il 25 settembre, mentre dal 3 ottobre siamo stabilmente sopra al 4%. I test che stiamo facendo non sono più sufficienti ad individuare i casi positivi reali, molti ce ne perdiamo e questo produce una diffusione incontrollata del virus. 

L'Oms ha posto la soglia a una asticella un po' più alta, al 5%. Ma anche così i tassi di positività regionali sono oltre il livello di allarme.

Si parla di
Sullo stesso argomento

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Perché questo foglietto che in tanti condividono sui social è una sciocchezza

Today è in caricamento