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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Attualità Grecia

Cartoline dall'inferno: violenze e caos, la barriera anti-immigrazione dell'Ue sta scoppiando

L'hotspot di Moria, sull'isola di Lesbo, è utilizzato dall'Unione europea per costituire una barriera contro il flusso migratorio. Le domande di asilo si accumulano da anni. Perché quella che doveva rappresentare una soluzione per la gestione dell'arrivo dei migranti sulle coste greche è diventata una prigione

La Grecia e l'Europa sono a portata di barcone. Ma da Moira, il sovraffollato campo profughi sull'isola greca di Lesbo, è proibito uscire. Lesbo sta per affrontare la quarta estate di crisi dei migranti. E' una delle cinque isole greche vicino alla costa della Turchia utilizzata dall'Unione europea per costituire una barriera contro il flusso migratorio dopo che, nel biennio 2015-2016, oltre un milione di persone erano sbarcate su queste coste, dirette verso i paesi dell'Europa continentale.

Oggi, con i suoi 8000 abitanti stipati in uno spazio che ne può contenere al massimo 3000, il campo profughi di Moria sta scoppiando e sono sempre più frequenti le risse e gli episodi di violenza innescati da banali controversie. All'interno del campo, un ospedale di Medici senza Frontiere si fa carico della cura in particolare dei circa duemila bambini presenti. Dopo un breve periodo di calo il numero degli arrivi sulle isole è aumentato, dai 50 al giorno del 2017 ai circa duecento al giorno delle ultime settimane, mentre le domande di asilo si accumulano ormai da tre anni. Il divieto per i richiedenti asilo di viaggiare fuori da questi cinque grandi CIE a cielo aperto nel mar Egeo (Lesbo, Chio, Samo, Leros e Kos), che è parte integrante della controversa "politica di contenimento" dell'Unione Europea, sta creando grandi tensioni perché nelle isole cominciano a nascere tendopoli improvvisate fuori dai campi, cosa che naturalmente provoca la reazione della popolazione locale.

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Il Papa a Lesbo (foto da Twitter)

Chi vive nel campo profughi di Moira, sull'isola di Lesbo

Distribuite su una collina, le tende di Moria sono la patria di rifugiati dalla Siria, dall'Iraq, dal Congo e da una cinquantina di altre aree di crisi globale. Il campo sovraffollato, ma tenuto ancora più o meno in ordine, si riversa nei campi improvvisati intorno dove i richiedenti asilo - per lo più uomini africani - hanno poche speranze di andarsene. Di qui sono recentemente passati gli osservatori di Amnesty International e hanno trovato centinaia di persone che dormivano in ripari improvvisati, bambini abbandonati a se stessi, molti che passavano la notte direttamente nei campi. Depressione, stati d'ansia e pulsioni suicide: queste, tra le altre, le patologie lamentate dai migranti, mentre molte donne vivono in allarme costantemente a rischio di abusi sessuali.

Il dramma dei migranti a Lesbo | Infophoto

Da un luogo di passaggio a prigione a cielo aperto

L'Ue ha incoraggiato i Paesi sulla rotta verso ovest a chiudere i confini, ha chiesto alla Nato di pattugliare il Mar Egeo orientale e ha promesso sei miliardi di euro alla Turchia per trattenere i migranti e accettare i rimpatri dalla Grecia. Nell'hotspot di Moria, sull'isola di Lesbo, sono trattenuti i migranti irregolari arrivati dopo l'entrata in vigore dell'accordo tra Unione europea e Turchia nel marzo del 2016, un accordo sul piano per la gestione dell'arrivo dei migranti sulle coste greche. Chi arriva qui, in questo centro d'identificazione e registrazione sull'isola di Lesbo, si sente di passaggio: le persone arrivano a Moira pensando che prenderanno un aereo o un traghetto per raggiungere le famiglie in qualche altro Paese europeo ma poi finiscono per restare bloccate per mesi, aspettando che la propria domanda di asilo, di ricollocamento (relocation) o di ricongiungimento familiare venga valutata dalle autorità. I richiedenti asilo non possono viaggiare fuori dai cinque grandi centri d'identificazione del mar Egeo (Lesbo, Chio, Samo, Leros e Kos), frutto della controversa "politica di contenimento" dell'Unione Europea.

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Violenze e caos a Moira: l'appello di MSF

E così, con gli arrivi che si moltiplicano e i ritardi burocratici nell'esame delle domande di asilo che si accumulano, l'isola greca diventata negli ultimi due anni la testa di ponte delle ondate di profughi dirette verso l'Europa si è trasformata in un inferno. Con il continuo aumento del numero di migranti e rifugiati nell’isola di Lesbo in Grecia, la situazione nel campo di Moria sta precipitando nel caos, con scontri e disordini costanti, episodi di violenze sessuali e un peggioramento delle condizioni psicologiche delle migliaia di persone intrappolate nel campo. Attualmente a Moria ci sono oltre 8.000 persone stipate in uno spazio per 3.000. Le condizioni di vita sono così dure che la loro salute fisica e mentale risulta pesantemente compromessa. Negli ultimi mesi, Medici Senza Frontiere (MSF) ha assistito ad un ulteriore aumento della violenza, ormai quotidiana, trattando vittime di violenze sessuali avvenute all'interno o nei dintorni del campo. Gran parte della tensione è causata dal sovraffollamento e dalla mancanza di condizioni di vita dignitose e umane. Nell'area principale del campo di Moria e Olive Grove c’è un servizio igienico funzionante ogni 72 persone, una doccia ogni 84. Numeri ben al di sotto degli standard umanitari raccomandati in situazioni di emergenza.

"MSF è molto preoccupata perché l’insicurezza, le condizioni di vita inumane e il limbo in cui queste persone si trovano per mesi o anni, hanno un grave impatto sulle condizioni psicologiche delle persone. La clinica per la salute mentale di MSF a Mitilene segue solo i casi più gravi e al momento lavora al massimo della propria capacità. Il motivo per cui le condizioni psicologiche peggiorano così drasticamente a Lesbo è che queste persone provengono da esperienze traumatiche, raggiungono l’Europa sperando di trovare sicurezza e dignità, ma incontrano esattamente il contrario, ancora violenza e ancora condizioni inumane", dichiara Giovanna Bonvini, responsabile delle attività di salute mentale MSF nella clinica di Mitilene.

"L’altro giorno un giovane uomo, vittima di violenza sessuale, è stato accompagnato alla nostra clinica da un amico nel pieno di un crollo psicotico. Presentava gravi disturbi da stress post-traumatico, aveva allucinazioni e flashback, sentiva rumori intorno a sé e non è riuscito a smettere di piangere nelle due ore di sessione con i nostri psicologi", aggiunge Bonvini di MSF. "Ha paura del buio e vive nel terrore di essere attaccato a Moria. All’inizio le équipe di MSF lo hanno curato con dei farmaci, ora dopo sessioni psicologiche intensive le sue condizioni sono stabili. Ma non farà molti progressi perché finché vivrà a Moria sarà bloccato in un ciclo di disperazione e angoscia". Ogni settimana MSF riceve da altre organizzazioni sul posto tra i 15-18 pazienti con problemi psicologici acuti, inclusi bambini, che hanno bisogno di assistenza. Ma è solo la punta dell'iceberg: sono ancora tante le persone che MSF non riesce ad assistere, essendo l'unico attore a fornire assistenza psicologica specializzata per una popolazione così ampia e vulnerabile. "La maggior parte di queste persone è appena arrivata a Lesbo. Soffrono di sintomi psicotici tra cui allucinazioni, agitazione, confusione, disorientamento e hanno forti spinte suicide o hanno già tentato il suicidio", afferma il dott. Alessandro Barberio, psichiatra di MSF presso la clinica di Mitilene.

Grecia, i centri di accoglienza Kos e Lesbo (Foto Georgios Makkas/MSF)

Sono molto preoccupanti anche le condizioni dei bambini e dei minori non accompagnati, ri-traumatizzati dalla loro esperienza di vita a Moria, come è emerso durante le terapie di gruppo di MSF rivolte a più piccoli residenti del campo. “Nelle ultime quattro settimane abbiamo registrato un aumento del numero di minori affetti da intensi attacchi di panico, pensieri suicidi e tentativi di togliersi la vita. Le terribili condizioni di vita e le violenze quotidiane nel campo di Moria hanno un impatto fortemente negativo sulla tenuta psicologica dei nostri pazienti”, aggiunge il dott. Barberio di MSF. MSF chiede che le persone vulnerabili possano lasciare il campo di Moria in favore di sistemazioni sicure e continua a spingere perché il campo venga decongestionato. Inoltre, MSF insiste nel chiedere la fine delle politiche di contenimento e chiede alle autorità europee e nazionali di intensificare l'accesso alla salute e la sicurezza per le persone che si trovano nel campo.

"La nostra esperienza dimostra che le politiche di deterrenza dell’UE e della Turchia non sono efficaci perché le persone continueranno a fuggire dalla guerra e dalle violenze per sopravvivere. Intrappolare queste persone in condizioni terribili e insicure non fa che provocare ulteriori traumi a una popolazione già estremamente vulnerabile".

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