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Giovedì, 28 Marzo 2024
SANITÀ A RISCHIO

La carenza di medici di famiglia è già un'emergenza nazionale

L'allarme viene dalla Fondazione Gimbe e dall'Agenas: i medici di famiglia sono sempre meno e sempre più oberati e a pagare il prezzo sono soprattutto le regioni del Sud. Entro il 2031 circa 20mila dovrebbero andare in pensione, una situazione che potrebbe scatenare una vera e propria emergenza. E il decreto Calderoli è destinato a peggiorare le cose

Sempre meno, con un'età avanzata e sempre più occupati in pratiche amministrative e burocratiche che in visite mediche. È l'impietosa fotografia della condizione dei medici di famiglia italiani, vero e proprio pilastro del nostro Sistema sanitario nazionale. Parliamo di una platea di circa 40mila professionisti su scala nazionale (tra medici di famiglia e pediatri di libera scelta). Sono chiamati in teoria a gestire al massimo 1500 pazienti di età superiore a 13 anni, ma si trovano spesso, per deroghe di legge o per carenza di personale, a coprire una percentuale di assistiti molto maggiore. E le deroghe variano da regione a regione con una costante: un carico di lavoro eccessivo e a volte ingestibile.

I medici di base pur avendo un contratto collettivo nazionale, lavorano infatti in convenzione con le aziende sanitarie locali e modalità e retribuzioni variano anche in base agli accordi integrativi regionali e quelli attuativi delle singole Asl di riferimento. È il prezzo di quell'automomia sanitaria che oggi il governo Meloni vorrebbe ampliare con la riforma Calderoli.

Secondo dati recenti, elaborati dalla Fondazione Gimbe, più del 40% dei medici italiani gestisce una quantità di assistiti superiore ai 1500. Il risutato della carenza cronica di medici di base e una media assolutamente sproporzionata rispetto a molti altri paesi europei. Il confronto lo fa l'Agenas, l'Agenzia nazionale per i servizi Sanitari nazionali, che ricorda i numeri di Paesi come Germania (80.000 medici di base) e Francia (95.000).

Medici in fuga: "Turni massacranti da 14 ore al giorno"

In Italia, in media, i medici di famiglia assistono oltre 1300 pazienti a testa. Le cose vanno peggio al Nord: il record di assistiti è detenuto dalla provincia autonoma di Bolzano (in media 1545) seguito da Lombardia (1466) e Veneto (1461). 

''Lo scenario è molto più critico di quanto lascino trasparire i numeri: infatti, con questo livello di saturazione vengono meno il principio della libera scelta e la distribuzione capillare dei medidi di medicina generale in relazione alla densità abitativa. Di conseguenza, è spesso impossibile trovare disponibilità di un medico vicino casa, non solo nelle cosiddette aree desertificate, dove i bandi per gli ambiti territoriali carenti vanno spesso deserti, ma anche nelle grandi città'' osserva Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe.

E le cose sono destinate destinate purtroppo a peggiorare. Perché se la tendenza  è ormai cronica, le cose sono peggiorate sensibilmente nel nel post-pandemia, soprattutto nel Mezzogiorno. E gli esiti sono potenzialmente drammatici.  

Lo spartiacque della pandemia e il problema del Sud 

Anche per i medici di medicina generale il Covid ha costituito una sorta di spartiacque. Dal 2019 a oggi ne mancano all'appello oltre 2mila. Ma non tutte le regioni hanno subito il contraccolpo: a pagare il conto sono state soprattutto quelle del Sud Italia. 

In particolare in Calabria i medici di famiglia in meno, rispetto al 2019, sono oltre il 30%, in Campania oltre il 10%. Sono le stesse regioni dove i cosiddetti Livelli Elementari di Assitenza (LEA) sono più difficili da raggiungere, le stesse dove il diritto alla salute si sta, nemmeno troppo lentamente, trasformando in un privilegio.

Il decreto Calderoli trasforma il diritto alla salute in privilegio

La pandemia è stata per molti professionisti un vero e proprio "trigger point", il segnale che il carico di lavoro e lo stress stava cominciando a diventare eccessivo ed era meglio andare in pensione. Ed è la stima dell'età media a destare allarme, ancora una volta tra le regioni del sud. Per avere un'idea abbiamo disegnato una cartina italiana a gradiente: maggiore è l'intensità del blu, maggiore è la percentuale di medici che hanno conseguito la laurea da oltre 27 anni. 

(Clicca qui se non riesci a visualizzare l'immagine) 

Se l'alta età media dei medici è un problema che interessa in maniera trasversale tutto lo stivale è, ancora una volta, il Sud a soffirne maggiomente. In Calabria la percentuale di medici di famiglia laureati da più di 27 anni è quasi del 90%, in Campania e Sicilia superiore all'80%. Ancora una volta è curioso constatare come queste regioni siano spesso in difficoltà con il raggiungimento dei livelli elementari asistenziali di prestazione sanitaria. Un quadro che rischia purtroppo di peggiorare drammaticamente nei prossimi anni, quando molti medici di famiglia andranno in pensione.

''Il quadro anagrafico è preoccupante - sottolinea Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe -  visto che nel 2021 il 75,3% dei medici di medicina generale in attività aveva oltre 27 anni di anzianità di laurea, con quasi tutte le Regioni del Centro-Sud sopra la media nazionale. Una conseguenza di politiche sindacali locali che non sempre hanno favorito il ricambio generazionale. Ma non solo. Secondo le stime dell’ENPAM (l'ente di previdenza del personale medico n.d.r.) al 31 dicembre 2021 più del 50% dei medici di medicina generale aveva oltre 60 anni di età ed è, quindi, atteso un pensionamento massivo nei prossimi anni. Considerando una età di pensionamento di 70 anni, entro il 2031 dovrebbero andare in pensione circa 20 mila di loro''. Un bel problema perché i nuovi arrivi non sembrano adeguati a coprire le uscite, soprattutto in un paese che invecchia rapidamente e dove la popolazione anziana è già prevalente. 

Cosa si sta facendo per rimpiazzare i medici che andranno in pensione

In questo quadro si inseriscono i fondi stanziati dal Pnrr. Il Piano Nazionale di riprese e resilienza prevede quasi 20 miliardi di euro nel finanziamento della sanità e si articola in due componenti principali. Da un lato si punta a potenziare le reti di prossimità e le strutture intermedie (anche basandosi sulla telemedicina) per l'assistenza territoriale. Dall'altro si investe molto sulla digitalizzazione.

In particolare sono previste la costruzione di Case e Ospedali di comunità sul territorio per attività di diagnostica e gestione dei malati cronici e la gestione domiciliare dei pazienti più anziani. Obiettivi ambiziosi che però, al delle ben note problematiche di spesa, rischiano di naufragare anche per mancanza di personale. Negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo, ma rischia comunque di non essere sufficiente a supplire il numero dei professionisti che hanno deciso di andare in pensione. 

Le borse del Corso di Formazione per Medici di Medicina Generale sono sostanzialmente triplicate dal 2014. Eppure, secondo le stime di Gimbe, i nuovi medici non basteranno a coprire il 50% di quelli che non saranno più attivi nei prossimi anni. Un'evidenza che si è provata a tamponare con la proposta di alzare l'età pensionabile dei medici a 72 anni (inclusa nel cosiddetto Decreto Milleproroghe) e con l'incremento del massimale dei pazienti che i medici di base possono seguire, ovvero con l'estensione a un numero di assistiti superiore ai 1500 stabiliti per legge. Pezze che sembrano peggio del buco, e che danno l'idea di una crisi che coinvolge l'intero sistema.

La soluzione, come suggerisce Cartabellotta è un'altra: ''È necessario mettere in atto una strategia multifattoriale: adeguata programmazione del fabbisogno, tempestiva pubblicazione da parte delle Regioni dei bandi per le borse di studio, attuazione di modelli organizzativi che valorizzino il lavoro in team, piena implementazione della riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (Case di comunità, Ospedali di Comunità, assistenza domiciliare, telemedicina), allineamento degli accordi sindacali ai reali bisogni della popolazione. Perché guardando ai numeri, accanto alla carenza già esistente, le previsioni dimostrano che i medici di famiglia saranno sempre meno nei prossimi anni. Una 'desertificazione' che lascerà scoperte milioni di persone con conseguenze sempre più rilevanti per l’organizzazione dell’assistenza sanitaria territoriale e soprattutto per la salute della popolazione, in particolare gli anziani e i fragili''. 

"Mancano 30mila medici e 100mila posti letto: a rischio la salute di tutti"

Poco di tutto questo sembra sul tavolo. Il Governo sembra invece spingere maggiormente sul progetto di autonomia differenziata Calderoli, fortemente caldeggiato dalla Lega e da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna e le cose potrebbero addirittura complicarsi. 

Con l’autonomia promossa da Calderoli, le Regioni potrebbero legiferare, ad esempio, sulle scuole di specializzazione per medici e perfino sui fondi destinati alla sanità privata, un aspetto che un rapporto della fondazione Gimbe sul tema non esita a definire come ''eversivo''. In particolare con il decreto potrà esserci maggiore autonomia nella gestione e nell’istituzione dei fondi sanitari integrativi, come richiesto ad esempio dal Veneto. Una spinta indiretta a formulare assicurazioni sanitarie private anche grazie alla deducibilità fiscale delle stesse. Un bel regalo alla sanità privata e un input all’avvio di sistemi assicurativo-mutualistici regionali totalmente sganciati dalla, seppur frammentata normativa nazionale. Una dinamica che potrebbe aggravare drammaticamente le già rilevanti differenze di livelli di assistenza presenti tra Nord e Sud a livello ospedaliero.

E il pensionamento, nei prossimi dieci anni, di molti medici di medicina generale, soprattutto nelle regioni del Sud, unito agli effetti della riforma, potrebbero trasformarsi nella ''tempesta perfetta'' per tutto il nostro Sistema sanitario nazionale. 

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