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Sabato, 20 Aprile 2024

Andrea Falla

Giornalista

Ci voleva un virus per conoscerci meglio

Il 2020 non ce lo scorderemo facilmente. Nonostante la notoria memoria corta dell'italiano (e dell'essere umano in generale), l'anno della pandemia rimarrà per sempre impresso nella nostra memoria: un evento che ha cambiato, sta cambiando, e cambierà la vita di tutti, in un modo o nell'altro. Una pandemia su scala globale era una qualcosa che fino allo scorso anno avevamo sempre visto in qualche film o serie tv. Ma la realtà è ben diversa. 

Nulla potrà restituire alle persone gli affetti perduti e un'epidemia che sta causando migliaia di morti in tutto il mondo non può che essere vista come una catastrofe, una tragedia che ci coinvolge tutti, direttamente e non. Il peggiore degli incubi. O almeno, uno dei peggiori.

Eppure, come nel buio più nero si può scorgere anche la più fioca delle luci, anche in una situazione del genere si può trovare un rovescio della medaglia che sappia di speranza. Purtroppo o per fortuna, ci voleva un virus per farci capire molte cose.

Ci voleva un virus per conoscere meglio noi stessi. Tra lockdown, zone rosse e distanziamento sociale ci siamo trovati tutti inevitabilmente soli. Sullo stesso fronte della battaglia contro un nemico comune, eppure separati, isolati, costretti a fare i conti con la persona con cui incrociamo lo sguardo dentro ogni specchio. C'è chi era pronto, chi è stato male, chi paga adesso le conseguenze: tutti abbiamo fatto (o stiamo continuando a fare) un viaggio interiore iniziato proprio a causa della pandemia.

Ci voleva un virus per capire che esiste un modo diverso di lavorare. Per confermare che il lavoro è sacro e senza si muore, almeno in questo mondo. Lo smart working, da molti visto come il demonio, l'apoteosi del “non far nulla”, può essere uno strumento utile, che non influisce sulla produttività o sul lavoro, ma ha effetti sulla vita delle persone.

Ci voleva un virus per capire che la politica è fatta di tante bugie e poche verità, di chiacchiere e di strategie, anche in un momento come questo, in cui piuttosto che pensare al proprio orticello sarebbe meglio dedicarsi il bene comune. Anche perché, se le cose non dovessero andare per il verso giusto, poi ci sarà ben poco da governare.

Ma soprattutto. Ci voleva un virus per farci capire che la vita è fatta di cose semplici. Nelle nostre esistenze costellate di dettagli, piccoli e grandi, molti insignificanti, questo periodo ci ha fatto comprendere che la cosa che più ci è mancata e ci manca ancora, è il contatto con le persone: l'abbraccio di un amico, la carezza di una mamma o il bacio della persona che amiamo. 

Attimi minuscoli e allo stesso tempo infiniti. Sono proprio quelli che devono tenere accesa la nostra memoria, per non dimenticare, quando tutto sarà finito, quello che di buono abbiamo imparato. 

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