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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Coronavirus, l'esperto: "Siamo ancora lontani anni luce dall'immunità di gregge"

Lo pneumologo Luca Richeldi: "Siamo lontani anni luce dall'immunità di gregge, ossia dallo scudo creato dal fatto di essere circondati da persone che già si sono infettate

"Non è rassicurante" sapere che il 2,5% della popolazione, equivalente a 1 milione 482 mila italiani, ha avuto un contatto con il coronavirus in quattro mesi di pandemia. Il numero tratto dal primo studio epidemiologico nazionale sulla sieroprevalenza, cioè sui soggetti positivi agli anticorpi Igg e Igm (le immunoglobuline), è "piccolo". In realtà nasconde tante insidie di cui dobbiamo tenere conto se vogliamo sottoscrivere col Sars-CoV-2 un patto di non belligeranza. Lo pensa Luca Richeldi, pneumologo, componente del Comitato tecnico-scientifico: "Appena una minima parte dei cittadini ha incontrato il virus eppure gli effetti sono stati catastrofici con oltre 35 mila morti. Un prezzo troppo alto da pagare", spiega al Corriere della Sera. "La gran parte della popolazione non si è contagiata ed è a rischio. Siamo lontani anni luce dall'immunità di gregge, ossia dallo scudo creato dal fatto di essere circondati da persone che già si sono infettate. Ecco perché bisogna continuare più che mai a rispettare le regole: mascherina, igiene delle mani, distanza di un metro".

"Nelle malattie infettive in genere l'immunità di gregge si raggiunge con almeno il 70% e oltre. Solo il vaccino potrà assicurare una certa sicurezza, tenendo conto che ogni vaccino - se non garantisce la protezione al 100% - attenua comunque i sintomi dell'infezione".

Secondo il virologo Andrea Crisanti, è emerso come analizzando il plasma dei guariti, "non tutte le persone che si infettano fanno anticorpi neutralizzanti. Noi abbiamo rilevato che solo il 30-40% ha titoli di anticorpi che possono essere utilizzati in terapia". Lo spiegava lui stesso qualche settimana fa. Secondo il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell'università di Padova e dell'Unità operativa complessa di microbiologia e virologia dell'azienda ospedaliera patavina, "è troppo presto" per dire che tipo di immunità dà il coronavirus Sars-Cov-2. "Il virus Sars Cov-1 dimostrava una protezione almeno di alcuni anni", conferma il virologo dell'università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco. Ma che faccia lo stesso anche il suo nuovo 'cugino' Sars-Cov-2 per ora è un grosso punto di domanda.

Esprime concetti simili anche Roberto Burioni. "Come per tutte le altre infezioni per l'immunità di gregge ci vuole il vaccino. Nel frattempo - senza paura e senza panico - continuiamo a vivere la nostra vita di sempre con qualche precauzione in più. Portare la mascherina nei luoghi affollati non è un sacrificio così drammatico, e sono sicuro che il disagio è solo questione di abitudine" scriveva a luglio il noto virologo su MedicalFacts: "E' impossibile raggiungere l'immunità di gregge tramite l'infezione naturale. La grandissima parte della popolazione (sopra l'80%) non è entrata in contatto con il virus, anche nelle zone dove il virus ha avuto una intensa circolazione. Questo - precisa - è accaduto anche nelle nazioni, come la Svezia, dove non c'è stato un lockdown particolarmente severo". "Avete sentito sicuramente diversi politici (per fortuna non italiani) auspicare il raggiungimento dell'immunità di gregge attraverso la diffusione dell'infezione naturale da coronavirus - ricorda il virologo - Uno studio recente apparso su 'Lancet' indica che questa strada non è percorribile". "Infatti, mentre in Italia le indagini sierologiche vanno a rilento, iniziano a essere pubblicati i dati riguardo alla sieroprevalenza (ovvero il numero di persone che hanno nel loro sangue gli anticorpi contro il coronavirus) in zone dove l'epidemia è stata particolarmente intensa".

Pur senza essere stata a contatto con il virus, una buona parte della popolazione potrebbe avere cellule immunitarie in grado di riconoscere SARS-CoV-2, il che forse potrebbero portare a un vantaggio nel combattere l'infezione. E' l’ipotesi di un articolo di sintesi, pubblicato sulla rivista Nature Reviews Immunology dagli esperti del Center for Infectious Disease and Vaccine Research presso La Jolla Institute for Immunology, secondo cui alcune persone potrebbero presentare un grado di protezione sconosciuto. “Quello che abbiamo scoperto – spiega Alessandro Sette del Center for Infectious Disease and Vaccine Research – è che circa il 50 percento dei soggetti che non sembravano essere stati esposti al virus presentava una certa reattività delle cellule T, quelle che l’organismo produce a seguito di un’infezione per fare in modo di riconoscere lo stesso agente patogeno in futuro”.

Come per tutto quello che riguarda il nuovo coronavirus, fino a 7-8 mesi fa ignoto al mondo intero, si resta nel campo delle ipotesi. Zero certezze.

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