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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Coronavirus, l'infermiera e i turni senza mangiare né bere: "Al lavoro per voi"

“Io so che possiamo sconfiggere il virus, lo possiamo combattere insieme”, dice la 24enne Laura, in servizio nel reparto Covid-19 dell’ospedale di Teramo in Abruzzo. La sua storia raccontata sul sito dell'Onu

Turni dalle sette alle dieci ore, senza mangiare né bere, chiusa dentro la tuta protettiva, con il respiro che manca. L’impossibilità di un contatto, la distanza fisica dai pazienti. La paura, una volta tornata a casa, di poter contagiare la famiglia.

Laura Lupi è un’infermiera ventiquattrenne in servizio nel reparto Covid-19 dell’ospedale di Teramo in Abruzzo. La sua testimonianza è stata pubblicata sul sito dell’Onu e raccolta dall’Ufficio regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’Europa.

“Abbiamo sempre saputo che il nostro lavoro come infermieri comporta dei rischi. La differenza ora è che lo sanno anche gli altri. Mi sento ricompensata dalle espressioni di solidarietà, è gratificante sapere che le persone riconoscano il nostro ruolo e l’importanza del lavoro che facciamo - racconta Laura - Io so che possiamo sconfiggere il virus, lo possiamo combattere insieme. Voglio sentire i pazienti che tornano a casa dire ‘io sono sopravvissuto al Covid-19’. Questa è la motivazione che mi spinge ad andare avanti. Noi faremo tutto ciò che è umanamente possibile per vincere la pandemia insieme e ci riusciremo, dobbiamo riuscirci. Mai sottovalutare noi infermieri. La sola cosa che vi chiediamo è di rimanere in casa per noi. Noi saremo al lavoro per voi”.

Coronavirus, il racconto dell'infermiera Laura

“Mi sono laureata in scienze infermieristiche un anno fa e ho lavorato in reparti di medicina generale e geriatria”, ricorda la giovane infermiera, “ma niente avrebbe potuto prepararmi per le sfide professionali ed emotive che sto affrontando adesso”. Laura ha appena terminato la sua prima settimana nel reparto Covid-19 dove si occupa di 34 pazienti.

laura lupi infermiera coronavirus onu oms-2

“I miei turni durano dalle 7 alle 10 ore, durante i quali non posso mangiare né bere, perché è impossibile togliersi le tute protettive. A volte mi manca il respiro e non sento l’aria fresca nemmeno se apro una finestra. Forse la parte più difficile è mantenere la distanza fisica dai nostri pazienti, che risulta ancora più complicato dal fatto che siamo interamente coperti. La maggior parte della connessione umana, che è una delle cose che mi ha fatto innamorare di questo lavoro, si perde inevitabilmente.

Ricorda Laura: “Il mio primo giorno nel reparto Covid-19, sono entrata in una stanza e un paziente stava piangendo. Quando gli ho chiesto cosa fosse successo mi ha risposto che sua suocera era morta e lui non poteva consolare sua moglie. Tutto quello che ho potuto fare per alleviare la sua pena è stato mettere una mano sul suo petto, ma lui non riusciva nemmeno a vedere il mio viso”.

Laura vive insieme ai genitori e al fratello, ma da quando ha iniziato a lavorare in reparto non può più stare con loro. “Non posso correre il rischio di contagiarli, quindi non possiamo neanche condividere le cene”, dice. “In passato, mi piaceva ripensare alla mia giornata di lavoro, sapendo che i momenti difficili potevano essere un’opportunità di crescita. Adesso vivo con il terrore costante di contagiare qualcuno e preferisco evitare di pensare al lavoro alla fine del turno”.

“Il primo giorno è stato particolarmente difficile ma ne sono venuta fuori. Al mio ritorno a casa, ero fisicamente ed emotivamente distrutta, tutto quello che desideravo era l’abbraccio di mia madre, ma ovviamente non era possibile. All’inizio ho dovuto combattere l’istinto di arrendermi, ma non potevo abbandonare i miei colleghi. Devo continuare a fare il mio lavoro e so che posso fare la differenza per le vite dei pazienti”.

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