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Giovedì, 7 Dicembre 2023
Attualità Brasile

Il primo caso confermato di reinfezione da coronavirus

A comunicarlo è stato il ministero della Salute brasiliano. Il sequenziamento genetico ha confermato che la donna, una dottoressa, si è contagiata con due ceppi differenti del virus

Raro, non impossibile. Primo caso confermato di reinfezione da coronavirus in Brasile. Una dottoressa di 37 anni, residente nello Stato di Rio Grande do Norte, era stata contagiata la prima volta a giugno 2020 e la seconda a ottobre 2020. A comunicarlo è stato il ministero della Salute brasiliano. Il sequenziamento genetico ha confermato che la donna si è contagiata con due ceppi differenti del virus.

La donna brasiliana contagiata due volte dal Sars-CoV-2

Che cosa sappiamo al momento sulla possibilità di contagiarsi per due volte? La reinfezione sarebbe un'eventualità molto rara. l direttore per la prevenzione del ministero della Salute italiani, Gianni Rezza, aveva riferito la segnalazione di diversi casi di reinfezione, spiegando: "Ma sono sporadici, è un fenomeno che esiste ma che sembra molto raro. Il punto è che studi iniziali avevano evidenziato un abbassamento dei livelli anticorpali nel corso del tempo e una tendenza alla negativizzazione, altri studi dopo hanno invece dimostrato che anticorpi resistono nel tempo. Non ci sono osservazioni definitive, però sembra che ci sia riposta anticorpale".

Coronavirus: la reinfezione è possibile?

Nelle persone che hanno avuto una forma di Covid meno grave, il livello di anticorpi prodotti dal sistema immunitario per combattere il virus si dimezza entro un mese dalla guarigione. Questo rapido declino degli anticorpi deve essere confermato da studi più ampi e di lungo periodo - già in corso all’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano - ma allo stato attuale suggerisce che le persone che hanno già contratto il virus non devono abbassare la guardia, ma continuare, come tutti, ad adottare le misure di riduzione di rischio individuale di contagio. Sono i risultati di uno studio pilota realizzato dal team del Laboratorio Covid dell’Ieo, guidato dai ricercatori Federica Facciotti, Marina Mapelli e Sebastiano Pasqualato, appena pubblicato alcune settime fa sul Journal of Clinical Medicine. I risultati dello studio, oltre a raccomandare attenzione anche da chi ha già avuto il virus, suggeriscono inoltre che il test sierologico non può essere utilizzato per rilasciare l’ipotetica 'patente di immunità', ma è efficace come sistema di monitoraggio sistematico per identificare e bloccare sul nascere i nuovi focolai. 

Si è parlato più volte di casi di "seconda infezione" in questi mesi, il fatto che spesso siano paucisintomatici è una buona notizia, secondo l'immunologo Akiko Iwasaki: "È un esempio da manuale di come dovrebbe funzionare la risposta immunitaria". Per Iwasaki, che ha studiato le risposte immunitarie al virus SARS-CoV-2 alla Yale University, il recente caso della reinfezione a Hong Kong è stato incoraggiante perché la seconda infezione non ha causato veri sintomi, il che suggerisce che il sistema immunitario dell'uomo abbia ricordato il precedente incontro con il virus, entrando in azione e respingendo il nuovo contagio prima che facesse gran danni.

Non conosciamo ancora tutto sul virus. Era il 31 dicembre quando le autorità sanitarie cinesi notificarono un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan. Il 9 gennaio 2020 poi il China CDC (il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina) ha identificato il nuovo coronavirus (provvisoriamente chiamato 2019-nCoV) come causa eziologica di queste patologie. Non è passato neanche un anno, e per avere qualche certezza su quanto dura l'immunità e sulle possibilità di reinfezione servono tempo, studio, ricerca.

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