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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Coronavirus, cos'è la ''sindrome del guardiano del faro''

Dopo due mesi di isolamento a causa della pandemia, il ritorno alla realtà potrebbe non essere semplice, anche a causa di questa particolare sindrome: ecco di cosa si tratta

Con la partenza della fase 2 dell'emergenza coronavirus, le persone potranno riacquistare, seppur parzialmente, la loro libertà, magari uscendo per andare a fare un po' di attività sportiva o andando a trovare i parenti, sempre nel rispetto del distanziamento sociale. Ma dopo due mesi chiusi in casa, sono diversi i possibili effetti in agguato: il ritorno alla realtà dopo la clausura non sarà semplice per tutti, per molti italiani è in agguato la cosiddetta ''sindrome del guardiano del faro''. Come è facile intuire dal nome, questa sindrome può cogliere chi, dopo mesi in isolamento, ha perso l'abitudine ad avere relazioni sociali. Ma di cosa si tratta nel dettaglio? A spiegarlo è David Lazzari, presidente nazionale dell'Ordine degli psicologi: ''Ora siamo diventati tutti guardiani del faro che  una volta usciti dall'isolamento sono combattuti tra il desiderio di libertà e di ritrovare i propri contatti e la paura del 'fuori', un 'fuori' diverso perché minacciato da un virus".

"Molte persone - osserva Lazzari - hanno vissuto la permanenza in casa come una reclusione anziché come una protezione. Ci siamo abituati a stare in casa perché l'uomo si adatta a tutto, isolamento compreso, e adesso riuscire fa paura, ci crea ansia e angoscia rispetto al messaggio che ci viene dato, cioè che fuori c'è un virus. E quello che prima era il quotidiano oggi ci appare estraneo e minaccioso, dunque ci sentiamo più fragili e diffidenti verso gli altri che rappresentano comunque una potenziale minaccia di contagio".

Coronavirus, cos'è la ''sindrome del guardiano del faro''

Da qui la 'sindrome del guardiano del faro'. Come superarla? "Quello che può proteggerci - afferma lo psicologo - è trovare dentro di noi un senso di equilibrio. Dobbiamo sviluppare una capacità di controllo nelle diverse situazioni in maniera nuova, in quanto ci viene chiesto di comportarci e relazionarci con un atteggiamento nuovo, diverso dal passato. Perché - argomenta l'esperto - non si è chiusa una parentesi e si torna al 'tutto come prima', se così fosse sarebbe tutto molto più facile. Questa situazione diversa ci fa paura e ci chiede di riorganizzarci mentalmente".

"A livello psicologico e cerebrale - spiega il presidente dell'Ordine degli psicologi - noi abbiamo degli schemi prefissati, abitudinari con cui facciamo le cose. Ora questi non valgono più, perché altrimenti rifaremmo le cose che facevamo prima, a partire banalmente dal dare la mano alle persone che incontriamo. Adesso bisogna modificare questi procedimenti, proprio come una persona che ha avuto un incidente e deve reimparare a fare cose che prima faceva automaticamente. O come quando impariamo a guidare la macchina", quando "stiamo attenti a ogni manovra, andiamo piano, ma una volta presa la mano guidiamo quasi automaticamente. Ecco, è come se fossimo tornati tutti neofiti, principianti rispetto alla vita", a una vita che ha cambiato le sue regole.

"Noi psicologi nella fase del lockdown - fa un passo indietro Lazzari - abbiamo molto insistito sull'importanza di trasformare questo tempo perso in tempo ritrovato. Finora abbiamo vissuto immersi in ritmi frenetici che ci hanno impedito di stare a contatto con noi stessi, ci hanno un po' estraniato da noi stessi. Questa emergenza è stata una grande opportunità, ci ha riconsegnato ritmi e tempi umani, ci ha fatto fare un'esperienza unica, ci ha fatto ritrovare i rapporti umani, la solidarietà, una maggiore consapevolezza e tanto altro che dovremmo portarci dietro come un bagaglio prezioso". Dunque "da quella sensazione di tempo 'sospeso', sperando che sia stato tempo 'ritrovato' - conclude il presidente Cnop (Consiglio nazionale Ordine psicologi) - dobbiamo passare a sentire un tempo 'diverso', che dobbiamo imparare a vivere riorganizzandoci psicologicamente, e non solo, e creando nuove abitudini e nuovi comportamenti. La sfida ora è questa".

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