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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Covid, come va l'epidemia in Italia: tutto quello che sappiamo dopo i mesi di lockdown

Due mesi di lockdown hanno svuotato gli ospedali ma non sono stati fatti progressi in campo diagnostico: il tempo per avere una diagnosi di infezione è salito da 4 a 7 giorni. Lo spiega l'ultimo report dell'Iss che traccia l'identikit del rischio Covid

Quanto è pericoloso il coronavirus? Dopo due mesi e una settimana di lockdown l'Italia riparte senza aver ben chiara la portata della pandemia. Se solo da pochi giorni si è iniziato a esplorare la portata dell'infezione nei bambini, l'ultimo report dell'Istituto superiore di sanità tenta di tratteggiare un primo identikit delle vittime di coronavirus. 

In particolare l'Iss ha esaminato le cartelle cliniche di 29.692 pazienti deceduti e positivi all’infezione da SARS-CoV-2. Si tratta di un campione significativo alle luce dei 31.908 decessi totali certificati dai dati della protezione civile. 

Coronavirus, chi muore di Covid-19

Lʼetà media dei pazienti deceduti è di 80 anni e più del 60% sono uomini. I dati evidenziano che le donne decedute hanno un’età più alta rispetto agli uomini, 85 anni contro 79. Solo l’1,1% del campione (332 vittime) aveva età inferiore a 50 anni. In particolare, 74 di questi avevano meno di 40 anni (49 uomini e 25 donne con età compresa tra 0 e 39 anni) e 53 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità).

morti coronavirus eta-2

L’età media dei deceduti è più alta di quasi vent’anni rispetto a coloro che si ammalano contraendo il coronavirus (62 anni). Quanto ai sintomi osservati prima del ricovero, febbre e dispnea si confermano i più comuni (76% e 73%). Meno frequenti diarrea e emottisi(l'emissione di sangue, in seguito a un colpo di tosse, proveniente dalle vie respiratorie, ndr) mentre il 5,8% delle persone non presentava alcun sintomo.

I dati sembrano quindi confermare il ruolo delle patologie pregresse sul quadro clinico: sulla base dei 2.848 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche, il 59,8% delle vittime presenta almeno tre patologie pregresse, e il numero medio di patologie osservate è di 3,2.

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In particolare 111 pazienti (3,9% del campione) presentavano 0 patologie, 425 (14,9%) presentavano 1 patologia, 608 (21,3%) presentavano 2 patologie e 1704 (59,8%) presentavano 3 o più patologie. Prima del ricovero in ospedale, il 23% dei pazienti deceduti SARS-CoV-2 positivi seguiva una terapia con ACEinibitori e il 16% una terapia con Sartani (bloccanti del recettore per l'angiotensina).

In media, dall’insorgere dei sintomi al decesso sono trascorsi 11 giorni, 6 dal ricovero in ospedale al decesso. Questo dato è di 3 giorni più lungo per coloro che sono stati trasferiti in rianimazione.

Nel 92,1% delle diagnosi di ricovero erano menzionate polmonite e insufficienza respiratoria ma anche febbre, dispnea, tosse. Ma cosa porta alla morte per coronavirus? Tra le complicanze insorte è dimostrato come l’insufficienza respiratoria abbia colpito la quasi totalità dei pazienti (96,8%), seguita da danno renale acuto (22,0%), sovrainfezione (12,2%) e importanti complicazioni cardiache (10,6%).

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Coronavirus, 163 morti tra i medici

Un dato che fa particolarmente riflettere è quello del personale sanitario rimasto contagiato e troppo spesso vittima del Sars-Cov-2. Sono infatti 25.937 gli operatori sanitari contagiati su 223.095 casi certificati dall'Iss. Secondo l'elenco della federazione dei medici i camici bianchi deceduti durante il loro impegno in prima linea è salito a 163. L'inferiore letalità tra gli operatori sanitari è frutto dei test cui gli operatori sanitari asintomatici e pauci-sintomatici sono stati soggetti. 

Molto si è dibattuto sul ruolo delle mascherine, prima inutili ora indispensabili per ridurre il rischio di contagio: quello che è noto è che ancora oggi, a 4 mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza lo scorso 31 gennaio, molti medici denunciano la scarsa disponibilità dei dispositivi di protezione individuale anche nei reparti ospedalieri. 

Ora il Governo ha dato alle Regioni il via libera per la riapertura della maggior parte delle attività con regolamenti in deroga rispetto a quanto consigliato dalle linee guida dell'Inail e dell'Iss soprattutto in tema di misure di distanziamento minori. I due metri consigliati di distanziamento in bar e ristoranti sono così stati dimezzati a uno, a ragione di realpolitik economica. Si chiede cautela al cittadino, mancando di predisporre una accurata metodologia di tracciamento dell'epidemia. 

Secondo il report dell'Iss il tempo mediano trascorso tra la data di insorgenza dei primi sintomi e la data di diagnosi è salito da 4 giorni per il periodo dal 20 al 29 febbraio ai 6/7 giorni delle ultime settimane. Resta pertanto evidente come in attesa dell'esito della diagnosi solo il senso civico possa evitare che anche i pazienti sintomatici possano portare altrove il contagio. 

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Lo scarto tra lo sviluppo dei sintomi e la data della diagnosi. Dati Iss

Il fatto che il picco dei casi per data di inizio sintomi sia stato raggiunto qualche giorno dopo l’adozione delle misure di restrizione nazionali (“lockdown”) conferma che tali misure hanno avuto un impatto nell’invertire l’andamento delle infezioni.

Coronavirus, antidoti alla paura della riapertura

Dobbiamo quindi aver paura della riapertura? Un’analisi dell’informazione relativa al luogo di esposizione disponibile per un limitato numero di casi (13,9% del totale) ha evidenziato che 4.554 casi (60,1%) hanno contratto la malattia in una residenza sanitaria assistenziale o una comunità per disabili, 1.394 (18,4%) casi si sono contagiati in ambito familiare, mentre 542 casi (7,2%) si sono contagiati in ospedale o in ambulatorio. Quanto al contagio sul luogo di lavoro secondo le denunce raccolte dall'Inail tra la fine di febbraio e il 21 aprile, sono più di 28mila i casi di contagio da Covid 19 di origine professionale. Ma quasi la metà riguarda “tecnici della salute”.

Il consiglio resta lo stesso: il rispetto del distanziamento e l'igiene delle mani. Come spiega la stessa Iss la trasmissione delle infezioni da coronavirus avviene attraverso droplets, goccioline di diametro ≥ 5 μm che originano dagli atti del respirare, parlare, tossire e starnutire. Per le loro dimensioni i droplets viaggiano nell’aria per brevi distanze, generalmente inferiori a un metro, e possono direttamente raggiungere soggetti suscettibili nelle immediate vicinanze, come anche depositarsi su oggetti o superfici che diventano quindi fonte di diffusione del virus. I dati più recenti relativi alla persistenza del virus SARS-CoV-2 confermano la capacità di persistenza su plastica e acciaio inossidabile fino a 72 ore, anche se la carica infettiva sui suddetti materiali si dimezza dopo circa 6 ore e 7 ore. Le superfici sulle quali si ha una minore persistenza sono il rame e il cartone, dove è stato osservato un abbattimento completo dell’infettività dopo 4 ore per il rame e 24 ore per il cartone. Un recente studio ha inoltre valutato la stabilità del virus SARS-CoV-2 a differenti temperature, dimostrando che il virus risulta altamente stabile a 4°C, ma sensibile al calore: a 56°C si osservava un significativo decremento dell’infettività virale entro 10 minuti e, dopo 30 minuti, il virus non era più rilevabile.

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È buona norma procedere frequentemente e accuratamente alla pulizia e disinfezione delle superfici, sopratutto se ad alta frequenza di contatto. Oltre alla pulizia accurata, è altresì importante rinnovare frequentemente l’aria all’interno dell’ambiente.

coronavirus come pulire-2

Quanto al quadro geografico se tutte le Regioni hanno segnalato almeno un caso nelle prime due settimane di maggio, la maggior parte dei casi è stata notificata dalla regione Lombardia seguita da Piemonte e Emilia-Romagna. Dati che non riflettono ad ogni modo gli effetti delle prime riaperture seguite al Dpcm del 3 maggio scorso. Se consideriamo che normalmente il periodo di incubazione varia tra i 5 e i 14 giorni, è chiaro che la maggior parte di questi casi si è infettata prima della conclusione del “lock-down” nazionale.

Come nota la stessa Iss "si osserva ancora un quadro di "trasmissione ridotta ma persistente sull’intero territorio nazionale, con casi di trasmissione associati all’assistenza (in ospedale o nelle RSA), numerosi nuovi casi in operatori sanitari, e in ambito familiare".

In molti si potrebbero chiedere a questo punto se si sia deciso di aprire troppo presto. In merito gli esperti sanitari chiedevano cautela: 

"L’attuale andamento dell’epidemia richiama ad un atteggiamento di massima prudenza in questa fase di transizione in cui un rilassamento delle misure di distanziamento fisico potrebbe portare ad un nuovo incremento della trasmissione interumana del virus. È fondamentale mantenere comportamenti individuali corretti per limitare il rischio di un aumento nel numero di casi e decessi nel breve termine."

Le parole del premier Giuseppe Conte hanno spiegato come per il Governo la riapertura sia un rischio calcolato, resta il dubbio se i conti siano stati fatti bene. Come spiega il professore Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe: "Gli effetti della riapertura del 4 maggio, li vedremo da oggi. Quelli del 18 maggio, il 2 giugno. Riaprire il Paese è fondamentale, ma in questo modo il rischio non solo non è calcolato, ma nemmeno calcolabile".

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