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Sabato, 20 Aprile 2024
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"Subito tamponi a tappeto": nuovo appello degli scienziati, ma ci sono pro e contro

Nuovo appello di 150 scienziati: "Identificare precocemente il maggior numero possibile di positivi e i loro contatti, evitando che R0 ritorni a valori che porterebbero al lockdown". I tamponi sono più importanti dei test sierologici. Galli: "Fondamentale individuare quelli che ancora hanno l'infezione addosso". Ma il dibattito è ancora apertissimo

Tamponi, tamponi e ancora tamponi. Bisogna farne di più per garantire più sicurezza sanitaria nel corso della fase 2 secondo tanti esperti. I laboratori attivi sono alla loro capacità massima, e possono analizzare solo un determinato numero di tamponi. Inoltre c'è una difficoltà oggettiva quasi ovunque nel reperire i reagenti. Ma forse è proprio sui tamponi che si devono concentrare tutti gli sforzi. Sono sostanzialmente due i motivi per cui bisogna trovare il modo di fare più tamponi: il primo motivo è che sono l'unico modo per procedere poi all'isolamento dei positivi, anche degli asintomatici. Il secondo motivo è che con più tamponi avremmo conoscenze più dettagliate su come si sta diffondendo il contagio.

"Fare subito tamponi nasofaringei a tappeto". E' quello che chiedono 150 scienziati per garantire una maggior sicurezza nella fase 2. L'appello era stato lanciato ai primi di maggio dal virologo Andrea Crisanti, dal sociologo Luca Ricolfi e dal giurista Giuseppe Valditara ed oggi è arrivato ad essere condiviso da 150 esperti. Dopo la missiva - secondo il 'Corriere della sera' - alcuni hanno contestato l'efficacia del metodo 'a tappeto' per contrastare la pandemia creata dal Covid-19. Ora a supporto delle tesi dell'appello, arriva un documento redatto, per 'Lettera 150', da Francesco Curcio, professore di Patologia generale all'Università di Udine e da Paolo Gasparini, docente di Genetica medica all'Università di Trieste.

"Il tampone nasofaringeo/orofaringeo è l'unico esame che può essere fatto per stabilire il contagio da coronavirus, lo stato di malattia in cui si trova l'infettato e il livello di contagiosità - spiega il professor Paolo Gasparini - e l'Italia ne ha sinora eseguiti un numero inferiore alle esigenze per ripartire in sicurezza. Serve identificare precocemente il maggior numero possibile di positivi e i loro contatti, evitando che R0 ritorni a valori che porterebbero al lockdown". Una delle obiezioni è la fattibilità pratica di così tanti test. "È invece concretamente possibile - assicura Gasparini - perché gli italiani attivi sono 38,6 milioni e si potrebbe realizzare un target di 20 milioni di tamponi, raggiungendo più della metà della popolazione attiva".

Sembra difficile che possa davvero essere testato una percentuale così alta della popolazione. "Ci potremmo focalizzare sulle aree a rischio maggiore - prosegue Gasparini- favorendo il turismo e proteggendo i luoghi di villeggiatura, i porti e gli aeroporti". C'è anche la questione del tempo. "È indispensabile concentrare i test in 15 giorni, il che significa farne fare 1.330.000 al giorno da personale medico - argomenta il professore - Ognuno di loro ne può eseguire 100 al giorno e ne servono 13.300". Un numero alto. "Si potrebbero reclutare i 35 mila specializzandi o i 9 mila medici laureati e abilitati in attesa di una formazione futura". Servirebbero anche 20 milioni di tamponi. "La ditta leader al mondo è italiana e dovrebbe essere in grado di fornirli -continua - e poi lavorando in modo manuale si possono processare 96 campioni al giorno per operatore. Quindi servono 13.900 tecnici/biologi da reperire magari tra ospedali e università. Si possono impiegare anche sistemi robotizzati aperti, 24 ore su 24, portando la produttività a 700 campioni per sistema al giorno. Servirebbero 1.900 robot e 3.800 operatori. Per i reagenti, i robot aperti utilizzano quelli prodotti da decine di ditte per le quali, al momento, non esiste difficoltà di reperimento sul mercato Se una parte delle analisi venisse fatta con i robot chiusi, sviluppati esclusivamente per il Covid, si potrebbe arrivare a 7-8 mila campioni al giorno".

Un'ulteriore considerazione del documento riguarda l'approccio dello screening per pool di campioni. "Per testare 100 soggetti si possono fare 10 pool da 10 persone - conclude - riducendo da 100 a 10 le analisi. Se tutti i pool saranno negativi non si dovrà fare altro. Se ci sarà un positivo si dovranno analizzare singolarmente i 10 soggetti per identificarlo. Così, nelle aree a minor diffusione, potrebbero essere sufficienti pochissime analisi per analizzare un gran numero di soggetti".

E' chiaro che per un progetto così ambizioso servano risorse massicce (che non ci sono) e una precisa spinta forte dal governo. "La vicenda dei tamponi è stata sottovalutata - spiega Giuseppe Valditara - tranne che in Veneto. Il vero problema sono gli asintomatici, come suggeriscono autorevoli studi internazionali, e servono i test per trovarli. L'operazione costerebbe 300 milioni di euro più la logistica. Possono sembrare tanti ma in realtà sono un investimento rispetto al rischio di perdere decine di miliardi in caso di un nuovo lockdown. Se è vero che in autunno ripartirà la curva dei contagi dobbiamo arrivarci preparati. Per organizzare sul territorio questi test basterebbe una più efficiente collaborazione fra Stato e Regioni. Non sempre è avvenuta ma sono certo che lo farebbero per il bene del Paese".

Altro discorso è quello che riguarda i test sierologici, che rilevano la presenza di anticorpi.  Massimo Galli, il primario del reparto di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, oggi non le manda a dire: “Moltissime persone stanno prendendo appuntamento negli ambulatori privati per fare il test che non sono riusciti ad ottenere dal Servizio sanitario nazionale e questa è una debacle per l'organizzazione della sanità”. Il costo è di  63 euro. Il tampone sarebbe molto più opportuno secondo Galli: "Continuo a ritenere che si debba lavorare alla fonte, cioè all'identificazione di quelli che ancora hanno l'infezione addosso, si doveva e si deve lavorare per dare risposte alle moltissime persone, anche molto irritate per questo, che chiedono di conoscere il proprio stato e preferirebbero non doverlo fare a pagamento. Inconcepibile che il pubblico decida che va bene così, non è stato in grado di dare questo genere di risposta ai cittadini". Il problema è proprio questo: il test sierologico fotografa un'eventuale infezione pregressa. Il tampone invece fotografa la situazione attuale e permette di modificare il "corso della storia". Intervenire con più rapidità per isolare i positivi: è la strada maestra, ma anche la più complessa. Perché è tutto vero: mascherine, distanziamento, igiene personale, protocolli per la sicurezza sui luoghi di lavoro sono importantissimi. Ma solo più tamponi in un breve arco di tempo potrebbero dare la spinta decisiva al superamento dell'emergenza. I tamponi sono importanti sia per permettere di isolare i positivi e frenare la diffusione del virus, ma lo sono anche nel più ampio quadro di salute pubblica per gli sforzi di mitigazione, aiutando a caratterizzare la prevalenza, la diffusione e la contagiosità della malattia. Sono i tamponi che permettono di capire dove si trova geograficamente il virus.

C'è però anche chi ha sempre sostenuto che la richiesta di avviare programmi di screening di massa per la ricerca del virus SARS-CoV-2 con tampone non abbia evidenza di efficacia. La ricerca a tappeto del virus in una platea di soggetti asintomatici, infatti, "non è utile né come mezzo di prevenzione della diffusione del virus in ambito ospedaliero, né come tutela della salute dell’operatore” ha più volte detto il professor Pier Luigi Lopalco, responsabile del coordinamento epidemiologico della Regione Puglia, che si riferiva all'ipotesi di tamponi a tappeto sui luoghi di lavoro: "Il tampone rileva il virus, con un certo livello neanche ottimale di sensibilità e specificità, solo in coloro che in quello specifico istante sono portatori del virus. La finalità dell’esame è dunque quella di fare diagnosi in caso di sospetto. Il sospetto può essere legato o alla presenza di sintomi suggestivi o di confermato contatto con un caso accertato di COVID-19 per escludere l’avvenuto contagio. [...] Andando a ricercare i positivi con un criterio comunque allargato ma pur sempre mirato, si identifica appena un 1-2% di soggetti asintomatici al momento del tampone. È un buon risultato, considerando che tale soggetti, anche se pochi, costituiscono comunque una potenziale fonte di contagio. Ma si capisce bene come, se invece tale indagine fosse eseguita a tappeto su una platea random di soggetti asintomatici, il numero di portatori positivi che si riuscirebbe a scovare sarebbe irrisorio. Non solo, considerando i valori di specificità e sensibilità della metodica, la quota di falsi negativi e falsi positivi da gestire sarebbe superiore a quella dei veri positivi eventualmente identificati”.

Quindi il tampone non sarebbe un valido test di screening e "utilizzarlo a questo scopo andrebbe contro ogni logica scientifica - secondo Lopalco -. Oltre al fatto che un aggravio del carico di lavoro dei laboratori porterebbe inevitabilmente a colli di bottiglia e ritardi per analisi di altri soggetti che presentassero una reale necessità di avere un risultato in tempi brevi". Il dibattito è apertissimo.

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