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Sabato, 20 Aprile 2024
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Il caro prezzi fa lievitare anche il ponte di Messina: costerà 13,5 miliardi

Il decreto per il ponte sullo stretto di Messina arriva in aula. Salvini promette di usare l'acciaio dell'Ilva ma da Taranto arriva la doccia fredda: "Non ci sono le condizioni"

Il ponte sullo stretto di Messina costerà 13,5 miliardi. Lo ha detto il sottosegretario ai Trasporti Edoardo Rixi impegnato a fare chiarezza davanti alle commissioni riunite Trasporti e Ambiente della Camera sul decreto che domani 9 maggio 2023 arriverà in aula iniziando l'iter parlamentare. "Nel 2011 il costo era di 8,5 miliardi, quindi è salito da 8,5 a 13 miliardi complessivamente. Di questi 8,5 miliardi, quelli di cui stiamo parlando sull'aggiornamento prezzi sono i 6,7 miliardi che riguardano il contratto col contraente generale".

"Sono state fatte due modifiche di riformulazione per chiarire due cose: prima di tutto che il limite sono i 13,5 miliardi del Def, dunque l'opera sta dentro quel limite; secondo dovevamo fissare dei criteri oggettivi", dal momento che i "materiali negli ultimi 2 anni sono aumentati, alcuni anche oltre il 40%, e bisognava misurare i costi per evitare extraprofitti per un'azienda che ha vinto l'appalto nel 2012". "Serve a dipanare i dubbi sia sul valore che sull'aumento dei costi e sugli eventuali extraprofitti, per tutelare lo Stato affinché si realizzi l'opera con tempi e costui congrui. Penso che il metodo scelto con Ragioneria e Mef sia tutelante".

Secondo quanto illustrato da Rixi il progetto non è diverso da quello già approvato nel 2011. "Però c'è un'evoluzione tecnologica con nuovi sensori che verranno installati sul Ponte". Partendo dai prezzari del 2011 a quelli di oggi "abbiamo moltissimi materiali che nel tempo sono cambiati. Siccome il progetto viene aggiornato, non è che possiamo usare gli stessi materiali che usavano nel 2011", ha detto Rixi.

A causare i maggiori rincari l'aumento esponenziale delle materie prime legati in particolar modo all'opera ferroviaria.

Il patto d'acciaio per il Ponte, Lega: "Si usi quello prodotto a Taranto"

C'è poi un altro tema che fa discutere: la boutade lanciata dal ministro dei trasporti Matteo Salvini sull'uso dell'acciaio proveniente dall'acciaieria di Taranto. "Non so quante tonnellate servirebbero ma allo stato attuale, già senza il ponte, non siamo nelle condizioni di sopperire alla richiesta di acciaio del mercato nazionale. Figuriamoci con il ponte" spiega all'Adnkronos, Francesco Brigati, segretario generale della Fiom Cgil di Taranto. "Credo che i due ministri nemmeno si parlino perché, se Salvini la dice così, evidentemente non conosce la situazione dell'Ilva. Mi sembra il solito slogan detto in campagna elettorale".

Secondo il vicepremier la costruzione del ponte sullo Stretto renderebbe possibili "anni di commesse piene" allo stabilimento jonico. "Nella situazione attuale non siamo in grado di soddisfare la richiesta interna", ribadisce Brigati. Salvini ha detto anche di aver contattato amministratori locali di diversi schieramenti politici. "Noi non siamo stati consultati", rileva il sindacalista. La produzione di acciaio dello stabilimento siderurgico di Taranto "non è a pieno regime", spiega. "Nel senso che stiamo attendendo il piano industriale. Quindi, prima di parlare di quanto acciaio si produrrà a Taranto, bisogna capire come verrà prodotto. C'è un processo di transizione ecologica e soprattutto l'altoforno numero 5, il più grande d'Europa, in questo momento è fermo ed è fermo dal 2015. Prima vanno risolti questi nodi attraverso un piano industriale. Evidentemente i due ministeri (quello delle Imprese e quello delle Infrastrutture ndr) sono slegati, non si parlano e il ministro Salvini non conosce le problematiche che si vivono nello stabilimento e l'incapacità di produrre per motivi di limitazioni agli impianti in marcia. Sono più quelli fermi che quelli in funzione al momento", evidenzia Brigati. Il segretario della Fiom di Taranto ritiene tuttavia che "la risoluzione della vertenza ex Ilva non può passare dal Ponte sullo Stretto. L'acciaio - aggiunge - servirebbe piuttosto per fare i binari, perché le tratte calabresi e siciliane sono ancora a unico binario, non c'è l'alta velocità ferroviaria. Tra l'altro uno dei punti di forza che hanno portato in Italia le risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza è quello di cercare di colmare il divario tra Nord e Sud. Ma questo non si traduce nella realizzazione del Ponte sullo Stretto. Mancano anche le autostrade", afferma Brigati. "Io penserei prima ai binari delle ferrovie e alle infrastrutture che a seguire il ragionamento di Salvini. Abbiamo bisogno di acciaio per arrivarci al ponte. Siccome vivo al sud, mio padre e mia moglie sono siciliani, conosco la situazione delle infrastrutture - continua il sindacalista - ogni volta raggiungere la Sicilia è un disastro. Il punto non è attraversare lo stretto ma come ci arrivi. Una volta che ci arrivi in Sicilia le difficoltà di raggiungere Palermo da Messina e le altre destinazioni sono enormi. Ritengo completamente superfluo e inutile il Ponte perché il Mezzogiorno ha bisogno di altri interventi infrastrutturali. La priorità non è sicuramente quella".

Per tornare all'ex Ilva infine spiega più in dettaglio. "Noi abbiamo fatto una cassa integrazione che renderà possibile per il 2023 una produzione di 4 milioni di acciaio, per il 2024 di 5 milioni. Per arrivare a oltre 6 milioni ovviamente abbiamo bisogno di investimenti che non ci sono. Non c'è un piano industriale, siamo dentro a una trasformazione che prevede il processo di transizione ecologica con forni elettrici e impianti di pre-riduzione ma ad oggi su questo aspetto - conclude amaramente - non c'è nulla".

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