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Giovedì, 28 Marzo 2024
La ricerca

Covid, ecco chi risponde meglio al vaccino

Secondo uno studio realizzato dall'Università Sapienza e dal Policlinico Umberto I di Roma, donne e non fumatori, oltre a chi ha già avuto il Covid, hanno mostrato una risposta immunitaria migliore

Come per la malattia, anche per il vaccino anti-Covid esistono categorie che reagiscono in modo migliore. Avere già avuto il virus ed essere giovani rende la risposta immunitaria più efficace, ma secondo uno studio realizzato dall'Università Sapienza e dal Policlinico Umberto I di Roma, anche essere donne o non fumatori sono due fattori che aiutano. I ricercatori hanno individuato una correlazione tra la risposta immunitaria acquisita dopo il vaccino e alcune variabili demografiche, cliniche e sociali, tra cui l'età, il sesso, le malattie pregresse, l'abitudine tabagica e lo stato civile. I risultati della ricerca, pubblicata sul 'Journal of Personalized Medicine', "aprono la strada - sottolineano gli autori - a programmi vaccinali personalizzabili".

Lo studio - coordinato da Stefania Basili del Dipartimento di Medicina traslazionale e di precisione della Sapienza - è stato condotto su un campione di 2.065 lavoratori sanitari del Policlinico Umberto I, che avevano ricevuto il vaccino a mRna di Pfizer-BioNTech e che si sono sottoposti a due prelievi di sangue, dopo un mese e dopo 5 mesi dalla seconda vaccinazione. "A tutti - spiega Basili - è stato somministrato un questionario per raccogliere informazioni personali ed è stato eseguito un test sierologico quantitativo in grado di rilevare gli anticorpi anti-proteina S (Spike) del virus Sars-CoV2, il miglior strumento per valutare l'immunità acquisita a seguito della vaccinazione o dell'infezione".

Dai risultati è emerso che, dopo un mese dalla vaccinazione, i soggetti con una pregressa infezione da Covid-19 e quelli più giovani hanno livelli di anticorpi più alti rispetto agli altri. Al contrario, le malattie autoimmuni, le patologie polmonari croniche e il tabagismo sono correlati ai più bassi livelli di risposta anticorpale. Dopo 5 mesi dalla vaccinazione si è osservata una diminuzione mediana del 72% del livello anticorpale, che però è meno evidente nelle donne e nei soggetti con infezione pregressa. Invece nei fumatori, negli ipertesi e nei meno giovani è stato riscontrato un crollo drammatico di circa l'82% dei livelli di anticorpi anti-Spike. E' inoltre emerso un mantenimento maggiore della risposta anticorpale nei single o conviventi rispetto ai soggetti sposati, divorziati o vedovi, anche se questa associazione potrebbe essere dovuta ad altre variabili cliniche inesplorate, come lo stile alimentare e l'indice di massa corporea.

"Lo studio - commenta la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, tra gli autori della ricerca - mette in rilievo come il perseguimento della salute, anche di fronte a situazioni pandemiche, sottenda a un più generale principio di benessere sociale. I fattori legati agli stili di vita, infatti, hanno un ruolo rilevante nella risposta immunitaria. La prima cura è quindi l'innalzamento della cultura sanitaria e degli standard qualitativi di vita". "Gli esiti di questo lavoro, che ancora una volta sottolineano l'importanza degli stili di vita - dichiara Fabrizio d'Alba, direttore generale del Policlinico Umberto I - ci rendono sempre confidenti della validità del percorso intrapreso da Sapienza e Umberto I. Un percorso comune in un'ottica di scambio sinergico che renderà più forte la nostra comunità scientifica". "Lo studio - spiega Domenico Alvaro, preside della Facoltà di Medicina e odontoiatria - è una dimostrazione di come azienda ed ateneo siano in assoluta sintonia anche nella ricerca, e in particolare in settori così rilevanti per la salute pubblica. Inoltre, la ampia partecipazione del personale sanitario dimostra il senso di responsabilità per raggiungere dei risultati che, anche nei confronti di Covid-19, rappresentano un ulteriore stimolo a perseguire sani stili di vita".

"Sebbene il nostro studio abbia confermato molte correlazioni già note, ha anche preso in considerazione per la prima volta - rimarca Basili - molti fattori tra cui il livello di istruzione, il tipo di lavoro, lo stato civile e il carico di coinvolgimento familiare. Al di là dei risultati, l'auspicio è che la nostra analisi possa incoraggiare ulteriori ricerche a indagare gli effetti delle variabili legate al genere e allo stile di vita sulla risposta immunitaria, facendo emergere una medicina personalizzata e di precisione".

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