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Giovedì, 28 Marzo 2024
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È possibile ammalarsi due volte di Covid-19? (Sì, e anche più gravemente)

Un nuovo studio su Lancet pone nuovi interrogativi sull'immunità dei contagiati guariti. Al momento i casi di doppia infezione restano una rarità ma si invita alla cautela: ne sappiamo ancora troppo poco, il Sars-Cov-2 è stato identificato solo 10 mesi fa

Il caso viene studiato con la massima attenzione, perché è un unicum, per diversi motivi specifici. Un giovane di 25 anni del Nevada si è ammalato di Covid-19 due volte nel giro di pochi mesi, e la seconda volta con sintomi molto più gravi rispetto alla prima.

La reinfezione da Covid-19 nel Nevada

Un articolo su Lancet, ripreso dalla Bbc, pone nuovi interrogativi sull'immunità dei contagiati guariti, anche se al momento i casi di doppia infezione restano una rarità. Ma rari non significa inesistenti, ed è proprio per questo che si invita alla cautela anche a chi dal Covid-19 è già uscito una volta. Il 25enne americano, che non aveva problemi di salute o difetti immunitari noti che lo rendessero yra le categorie "fragili" o "a rischio", ha manifestato i primi sintomi, non troppo gravi, il 25 marzo: mal di gola, tosse, mal di testa, nausea e diarrea. Il 18 aprile è risultato positivo per la prima volta. Il 27 non aveva più sintomi e in entrambi i test svolti il 9 e il 26 maggio è risultato negativo. 

Il peggio sembrava alle spalle e senza nemmeno strascichi importanti. I sintomi però si sono riaffacciati il 28 maggio. Il 5 giugno risulta nuovamente positivo con gravi sintomi respiratori tali da richiederne il ricovero in ospedale. Di una cosa gli scienziati paiono certi: non può essersi trattato di una recidiva del primo contagio. Il motivo è che un confronto dei codici genetici dei virus analizzati nelle due occasioni ha mostrato che erano troppo diversi per essere causati dalla stessa infezione. 

Potrebbe il virus che lo ha infettato ad aprile essere rimasto nel suo corpo ed essere mutato così tanto nei successivi 48 giorni da aver acquisito tutti quei cambiamenti quando è stato testato a giugno? E' estremamente improbabile, secondo i ricercatori. "I nostri risultati indicano che un contagio potrebbe non proteggere necessariamente da future infezioni", ha detto il dott. Mark Pandori, dell'Università del Nevada. Doppi contagi si sono registrati a Hong Kong, in Belgio e nei Paesi Bassi ma lì il secondo episodio non era mai stato più grave del primo.

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Fonte immagine: Lancet

Il primo caso al mondo di seconda infezione

Il primo caso al mondo di seconda infezione è stato documentato in letteratura da un team di ricercatori del dipartimento di microbiologia dell’Università di Hong Kong, e riguarda la reinfezione di una persona a distanza di 142 giorni dal primo contagio, con un ceppo di virus diverso da quello che aveva innescato la prima infezione. Il paziente, un uomo di 33 anni, era stato ricoverato in ospedale a fine marzo con sintomi lievi ed era stato dimesso a metà aprile. La seconda infezione è stata individuata il 15 agosto dopo un controllo all’aeroporto di Hong Kong, dove il paziente era tornato dopo un viaggio in Spagna con scalo in Gran Bretagna. 

In Ecuador c'è stato invece un caso simile a quello del 25enne del Nevada, ma non si era arrivati all'ospedalizzazione. "È troppo presto per dire con certezza quali siano le implicazioni di questi risultati per qualsiasi programma di immunizzazione - spiega un altro medico coinvolto nella ricerca -. Ma confermano il fatto che non sappiamo ancora abbastanza sulla risposta immunitaria a questo virus". Il punto è proprio questo: non ne sappiamo abbastanza. "La possibilità di reinfezioni potrebbe avere implicazioni significative per la nostra comprensione dell'immunità Covid-19" secondo Mark Pandori. 

Tante domande, nessuna risposta. Insomma, alla luce di questo caso in Nevada anche le persone che sono guarite da Covid dovrebbero continuare a seguire le linee guida relative al distanziamento sociale, alle mascherine per il viso e al lavaggio delle mani. Gli scienziati di tutto il mondo, infatti, sono ancora alle prese con la spinosa questione del coronavirus e dell'immunità. Tutti diventano immuni? Anche persone con sintomi molto lievi? Quanto dura la protezione? Queste sono domande molto importanti per capire come il virus ci influenzerà a lungo termine.

Covid-19 e anticorpi: cosa sappiamo sull'immunità?

Il fatto che la maggior parte dei caso di "seconda infezione" siano paucisintomatici è una buona notizia, secondo l'immunologo Akiko Iwasaki: "È un esempio da manuale di come dovrebbe funzionare la risposta immunitaria". Per Iwasaki, che ha studiato le risposte immunitarie al virus SARS-CoV-2 alla Yale University, il caso della reinfezione a Hong Kong è stato incoraggiante perché la seconda infezione non ha causato veri sintomi, il che suggerisce che il sistema immunitario dell'uomo abbia ricordato il precedente incontro con il virus, entrando in azione e respingendo il nuovo contagio prima che facesse gran danni.

Quali implicazioni hanno le reinfezioni sulle prospettive di un vaccino sicuro ed efficace? Nella storia i vaccini più facili da realizzare sono quelli contro le malattie in cui l'infezione primaria porta a un'immunità duratura, dice Richard Malley, specialista in malattie infettive pediatriche del Boston Children's Hospital, nel Massachusetts. Gli esempi includono il morbillo e la rosolia. Tuttavia la capacità di reinfettare non significa che un vaccino contro SARS-CoV-2 non possa essere efficace, aggiunge. Alcuni vaccini, per esempio, richiedono una dose "di richiamo" per mantenere la protezione. "Questo non dovrebbe spaventare", dice Malley. "Non dovrebbe implicare che non sarà sviluppato un vaccino o che non si possa stimolare l'immunità naturale a questo virus, perché ce l'aspettiamo con i virus".

Come ha spiegato su Facebook Guido Silvestri, professore di virologia della prestigiosa Emory University di Atlanta, "il caso di Hong-Kong è un interessante esempio di re-infezione sub-clinica (virus #1 diverso da virus #2)” che lascia comunque uno spiraglio di ottimismo. “L'uomo infatti si è riammalato senza sintomi. Può voler dire che il virus è entrato nel suo corpo, ma il sistema immunitario è riuscito a tenerlo a bada, evitando la malattia. E' quella che in gergo tecnico si chiama immunità (non dalla re-infezione ma dalla malattia). Anche molti vaccini funzionano in questo modo".

Coronavirus: lo conosciamo ancora troppo poco

Sulla capacità del nostro sistema di difesa di intercettare ed eliminare il virus si stanno concentrando molte ricerche. Secondo più studi disponibili, la quantità di anticorpi neutralizzanti nei pazienti guariti da Covid-19 diminuiscono significativamente già dopo qualche mese. Ma questo non significa che una nuova infezione faccia ricominciare tutto da zero perché anche in assenza di anticorpi neutralizzanti in circolo, esistono i linfociti B della memoria, cellule in grado di secernere nuovamente anticopri neutralizzanti alla vista del patogeno incontrato in precedenza.

Il caso del Nevada impone nuovi approfondimenti, e la scienza ha i suoi tempi, che devono essere rispettati. Era il 31 dicembre 2019 quando le autorità sanitarie cinesi notificarono un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan. Il 9 gennaio 2020 poi il China CDC (il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie della Cina) ha identificato il nuovo coronavirus (provvisoriamente chiamato 2019-nCoV) come causa eziologica di queste patologie. Non è passato neanche un anno, e per avere qualche certezza su quanto dura l'immunità dopo aver contratto il virus servirà molto più tempo. Sì, una brutta seconda infezione in un giovane di 25 anni senza particolari patologie pregresse non è un segnale incoraggiante: ma per adesso si tratta di un episodio isolato.

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