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Venerdì, 29 Marzo 2024
Battaglia politica

Ddl Zan: perché il nodo è l'identità di genere e che cosa significa

Italia Viva, Lega e Forza Italia avevano chiesto di rimuovere l’espressione dal ddl Zan, Pd e M5s hanno fatto quadrato per difenderla. Perché è così importante?

L'accordo sul ddl Zan non si è trovato, il testo così com'è stato votato alla Camera lo scorso novembre arriverà in Senato il prossimo 13 luglio, con il forte rischio che venga bocciato con quella che molto probabilmente sarà una votazione a scrutinio segreto. Come si è arrivato a questo punto? In ballo ci sono molte cose. Da un lato c'è la questione dei diritti, con l’Italia che potrebbe riuscire a dotarsi o meno di una legge contro discriminazioni e violenze "per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull'identità di genere e sulla disabilità" oppure no. Dall’altro c'è una partita più autenticamente politica, che si gioca su più piani, e che adesso vede scontrarsi principalmente il Pd, insieme a M5s tra i difensori del provvedimento, più che contro Lega e Forza Italia contro il partito di Matteo Renzi, che dopo mesi di stallo della legge in Commissione nei giorni scorsi ha presentato una serie di emendamenti, tra cui uno per togliere ogni riferimento all'identità di genere e riportare il testo all’origine (seguendo il precedente ddl Scalfarotto che estendeva la legge Mancino alle discriminazioni basate solo su omofobia e transfobia) e un altro con la richiesta di specificare che le attività da organizzarsi nelle scuole in occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia istitituita con l'articolo 7 del ddl Zan (per promuovere la "cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere") si tengano "nel rispetto della piena autonomia scolastica" (un concetto già sollevato nella richiesta arrivata dal Vaticano di modificare il testo impugnando il Concordato tra Stato e Chiesa). Anche Lega, in una proposta di mediazione sul ddl Zan, aveva chiesto tra le altre cose di eliminare nel testo "ovunque ricorrano, le parole ‘'identità di genere'".  "Meglio un compromesso che nessuna legge", aveva avvisato Matteo Renzi, aggiungendo: "Non siamo certamente noi a voler affossare la legge. È vero il contrario: siamo gli unici a volerlo salvare". Zan aveva risposto: "'Identità di genere' è già presente nel nostro ordinamento, tutelato da sentenze costituzionali e trattati internazionali come diritto fondamentale della persona. Toglierlo significherebbe rendere il ddl Zan una norma discriminatoria. La richiesta di Italia Viva è insostenibile".

Perché il nodo dell’identità di genere è così importante? Cosa cambierebbe se non ci fosse? 

Il ddl Zan è nato dall'unione delle varie proposte di legge presentate alla Camera in passato dallo stesso Alessandro Zan, da Ivan Scalfarotto (ex Pd ora Italia Viva), da Laura Boldrini, da Mario Perantoni (M5s) e da Giusi Bartolozzi (Forza Italia) e prevede l’estensione della Legge Mancino, che punisce le discriminazioni fondate su etnia, religione e nazionalità, anche alle discriminazioni fondate su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.  

Il ddl Zan e l'identità di genere

L'articolo 1 del ddl Zan definisce cosa si intende per sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Il primo è "il sesso biologico o anagrafico". Il genere è "qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso". Per orientamento sessuale invece si intende "l'attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dallo stesso stesso o di entrambi i sessi". Infine per identità di genere si definisce "l'identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall'aver concluso un percorso di transizione". 

Le persone cisgender sono quelle la cui identità di genere è in linea con il sesso biologico, ad esempio una persona che si sente donna ed è nata con caratteristiche fisiche femminili, indipendentemente dall'orientamento sessuale (che non è in alcun modo collegato con l'identità di genere). Con il 'termine ombrello' transgender si indicano le persone che si riconoscono nel genere opposto al loro sesso biologico oppure in un genere intermedio tra uomo e donna, mentre si definiscono transessuali le persone che non si riconoscono nel genere che gli è stato attribuito alla nascita e che si sono sottoposte o si stanno sottoponendo a un intervento per la riassegnazione del sesso: lasciare fuori dal ddl Zan l'identità di genere, per chi difende l'impostazione attuale del testo, rischierebbe di privare le persone trans di tutela in caso di discriminazioni.

Contro il ddl Zan, e soprattutto contro il concetto di identità di genere, si sono schierati centrodestra, cattolici conservatori, la Cei, movimenti antiabortisti ma anche alcune frange minoritarie del movimento femminista e l'associazione Arcilesbica, per motivi e idee opposte. Per le femministe radicali, ad esempio, il riconoscimento dell'identità di genere potrebbe aprire la porta alla cosiddetta sefl-id (self identification), ossia la libera autocerticazione del proprio genere percepito, con il rischio di vedere erosi spazi e diritti conquistate nel corso degli anni dalle donne magari da uomini che sulla base di un'autodichiarazione vogliono essere identificati e riconosciuti come donne. Il ddl Zan non introduce nessuna autocertificazione e non regolamenta la transizione di genere (in Italia normata dalla legge 164 del 1982). Le motivazioni contrarie da parte di destra conservatrice e Chiesa riguardano invece più in generale il timore che il ddl Zan serva a introdurre la cosiddetta "ideologia gender" nelle scuole. 

L'identità di genere nell'ordinamento giuridico italiano

Tra le obiezioni fatte al ddl Zan c'è quella di introdurre il concetto di identità di genere all'interno dell’ordinamento giuridico italiano. Ma il termine è già stato usato in passato dalla Corte Costituzionale, che in una sentenza di sei anni fa aveva stabilito che l'identità di genere è "elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona". Il termine identità di genere è utilizzato anche all'interno dell'ordinamento penitenziario e in alcuni atti europei, la Raccomandazione sulle misure per combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa e della Raccomandazione 15/2015 della Commissione europea con tra il razzismo e l'intolleranza (entrambe sono state adottate dall’Italia). 

Per Alessandro Zan "orientamento sessuale e identità di genere sono pilastri di un provvedimento ai quali è legata la tassatività penale della legge. Su questi principi non sono possibili mediazioni, perché ne va della vita delle persone". Inoltre, "l'identità di genere ha a che fare con una percezione precoce del proprio genere e non è – come rilevano alcuni che contestano il concetto – la possibilità di cambiare il proprio sesso da un giorno all'altro". Secondo Ivan Scalfarotto, al contrario, recuperando il ddl che porta il suo nome, "invece di parlare di orientamento sessuale e identità di genere, che sono le caratteristiche della vittima del reato, si parla di omofobia e transfobia cioè del movente del reato", individuando "le condotte vietate, in sostanza, sulla base di chi il reato lo commette e non di chi lo subisce" con quello che definisce "un espediente tecnico che mantiene lo stesso livello di tutela ma che evita la polemica sull'espressione 'identità di genere' che molti ingiustamente contestano, temo senza neanche comprenderla", ha aggiunto.

Angelo Schillaci, professore associato di Diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma ha ricordato nei giorni scorsi che "per la Corte Costituzionale, l'identità di genere è oggetto di un diritto fondamentale" e "consiste nell’aspirazione alla corrispondenza tra il sesso attribuito alla nascita e quello 'soggettivamente percepito e vissuto' dalla persona. Contenuta nel ddl Zan, serve unicamente a identificare il movente di reati d'odio e a proteggere le persone trans da discriminazione e violenza". Luciana Goisis, docente di diritto penale all’Università di Sassari ed esperta di crimini d'odio e discriminazioni, ha ricordato che "quasi tutte le legislazioni straniere che puniscono gli hate crimes di stampo transfobico lo fanno attraverso l'uso" del termine di identità di genere e pertanto "escludere dalla disciplina penale le vittime di transfobia significa non tutelare soggetti estremamente vulnerabili". 
 

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