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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Tempi duri: essere donne in Italia non è facile

Da più parti si concentrano attacchi ai diritti e alla dignità delle donne e il congresso delle famiglie a Verona rappresenta "una dichiarazione di guerra"

Oggi a Verona prende il via il Congresso delle famiglie di Verona, l’iniziativa organizzata da una rete di soggetti reazionari e di ultradestra promotori di politiche familiari e riproduttive conservatori. Da tutta Italia sono partiti pullman di attiviste per partecipare alle varie contromobilitazioni che sono state lanciate, a partire da quella di Non una di meno per protestare contro “i principali promotori della violenza eteropatriarcale e razzista e della sua istituzionalizzazione”. Sotto attacco, dicono le associazioni, ci sono i diritti delle donne e non solo. Ma è chiaro che, ultimamente, essere donna in Italia non è facile. Corrono tempi duri per le donne.

“Verona è un salto di qualità, una dichiarazione di guerra”, dice a Today Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma.

Il patriarcato non è mai finito e quest’anno c’è stata una sorta di rivincita a livello globale. È stato come sdoganato, ormai si possono dire tranquillamente e senza vergogna cose che in altri tempi ci si sarebbe vergognati di affermare. Dispone di finanziamenti consistenti, è un nemico pericoloso a cui le donne stanno rispondendo con rabbia, logica, creatività, competenza

“Il movimento oggi è propositivo, attivo, coraggioso, che scende in campo a più livelli anche contro gli stereotipi, l’esclusione dal mondo del lavoro, il gap salariale, la sottomissione economica. Sono manifestazioni non corporative, per impegnarsi affinché stiano meglio tutte le varie componenti della società, non solo le donne. Quelle dei movimenti delle donne sono oggi le uniche voci che si levano. Le donne ci sono e non hanno intenzione di tornare dentro casa. Vogliono lottare per i diritti di tutti", dice Koch, che ricorda poi il monito del premio Nobel per l’economia Amartya Sen: "Quando le donne stanno bene, tutto il mondo sta meglio".  

"Attacchi a livello governativo ai diritti delle donne"

Tra i partecipanti all'evento di Verona c'è anche il senatore leghista Simone Pillon, che ha legato il suo nome all'ominimo ddl sulla riforma del diritto di famiglia, contestatissimo dai movimenti femministi e non solo. E il ddl Pillon (insieme anche altri altri cinque disegni di legge sullo stesso tema) è solo uno dei tanti "attacchi a livello governativo" alla dignità delle donne denunciati da Koch: ci sono infatti gli onnipresenti tentativi di prendere a spallate la legge 194, il precariato femminile, la discriminazione economica.

Intanto però dietro la questione della riforma del diritto di famiglia e dell’affido paritario dei figli minori, su cui si poggia il ddl Pillon, si gioca una partita molto più complessa. “Fra i diritti dei bambini e delle donne, quelli che contano così sarebbero solo quelli del maschio capofamiglia”, mette in guardia Koch, che ricorda: “In Commissione Giustizia del Senato, la quasi totalità delle commissioni e dei soggetti auditi si è detta contraria eppure non ne è stato tenuto conto e si lavora per presentare questo testo che è a tutti gli effetti inemendabile. Il M5s parla di modifiche, ma quel testo va soltanto ritirato”.

E poi ci sono altri episodi eclatanti, come il volantino leghista di Crotone, le varie mozioni (approvate e non) in diversi consigli comunali per tutelare i movimenti pro-vita. Infine l’ultimo, in ordine di tempo: la proposta di legge anti-aborto presentata alla Camera, con primo firmatario il deputato Alberto Stefani, vicino al ministro della Famiglia Fontana (quest’ultimo sarà a Verona, insieme ad altri importanti esponenti della Lega, primo fra tutti il ministero dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini). La proposta “non chiede di rimuovere la 194 ma di riconoscere ‘soggettività giuridica al concepito’ al fine dell’adozione” per poi “mettere in relazione già al momento della gravidanza la famiglia del concepito con quella che potrebbe adottarlo”. Il primo punto ricalca il disegno di legge 950/2018 proposto da Maurizio Gasparri per cambiare il primo articolo del codice civile sulla personalità giuridica, riconoscendola “fin dal momento del concepimento”. Una tale modifica aprirebbe la strada all’equiparazione dell’embrione a una persona e all’aborto come omicidio, come ha ricordato su LetteraDonna la giornalista e attivista Cristina Obber. “Non passeranno”, garantisce Francesca Kosh, “ma tutto questo dà l’idea di come stiano lanciando una sorta di rivincita, lo si vede anche dalla violenza dei commenti in risposta alle contestazioni”.

Secondo i promotori del disegno di legge anti-aborto, “manca all’appello una popolazione di sei milioni di bambini”, come conseguenza diretta dell’applicazione della legge 194, “che avrebbero impedito il sorgere dell’attuale crisi demografica”. Parlare di calo delle nascite in questo modo significa “nascondere il problema”, avverte Koch. “Le giovani donne non fanno figli non perché ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza ma perché non sono garantite professionalmente. C’è un attacco alla maternità attraverso la violenza economica soprattutto verso le donne più giovani, rassegnate ormai a lavori precari che non danno futuro né a loro né tantomeno ai loro figli. Oltre al fatto che sembra non si voglia tener conto del diritto delle donne anche a scegliere di non diventare madri”. Per non parlare delle difficoltà di applicazione della 194, “ancora sotto attacco e frenata dagli obiettori”. “Abbiamo conosciuto l’obiezione di coscienza come pratica nobilissima durante gli anni Sessanta e Settanta contro la guerra e i giovani andavano in galera per quello – ricorda Koch - Ora siamo al paradosso, i medici che obiettano vengono promossi e fanno carriera, per non parlare poi di quello che accade nei loro studi privati, dove invece si fanno guadagni su queste pratiche”. Servono invece misure di sostegno “alle famiglie, a tutti i tipi di famiglie, all’infanzia, alle scuole, per non parlare di diritti delle donne migranti, discriminate doppiamente”, conclude Koch.

L'Italia e la Convenzione di Istanbul: cosa bisogna fare ancora

Nel 2013 l’Italia ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla violenza di genere e la violenza domestica, la cosiddetta “Convenzione di Istanbul”. Ratificata, ma nei fatti tuttora inapplicata, come denunciano da tempo diverse associazioni. Una di queste è Pangea Onlus, che lavora da anni per i diritti umani delle donne, favorendone con progetti di sviluppo e cooperazione il riscatto economico e sociale, operando anche in contesti discriminanti e particolarmente segnati da povertà, emarginazione, guerre e conflitti.

“La convenzione di Istanbul è stata ratificata nel 2013, è entrata in vigore nel 2014 e giusto questo mese c’è stato un primo monitoraggio. La questione vera è che l’Italia ha fatto sì un progresso per quanto riguarda le istituzioni sulla la presa in carico delle vittime di violenza, ma non siamo ancora avanti a livello operativo”, spiega a Today la vicepresidente Simona Lanzoni. “La piena applicazione della convenzione di Istanbul è un faro da raggiungere. Vanno fatte migliorie all’interno dello Stato, a partire dalla lotta agli stereotipi. È un problema culturale che investe anche chi è chiamato a giudicare e punire chi fa violenza”. Il problema manifesto è “la mancanza di accesso ai nostri diritti”. Lanzoni denuncia “un abbassamento del livello di guardia rispetto a quando stabilito dalla Convenzione di Istanbul” e non si tratta solo di “percezione”.

L’altissima percentuale di medici obiettori che impediscono l’applicazione della 194 non è percezione, è un fatto. Come è un fatto concreto che in Italia alle donne non è permesso di vivere alla pari degli uomini. Ad esempio, quando si tolgono le ore di tempo pieno dalla scuola pubblica, da un lato chiaramente non si sta investendo sul futuro dei nostri giovani, dall’altro si sta togliendo di fatto anche la possibilità alle donne di lavorare full time, sapendo che è ancora su di loro che ricade tutto il peso del lavoro di cura all’interno delle famiglie

Pangea Onlus ha lanciato insieme a Fondazione Just Italia il progetto REAMA, Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto per le donne che subiscono violenza e per i loro figli. “Il femminicidio è fenomeno culturale perché la donna è ancora considerata una proprietà in quanto donna – denuncia Lanzoni - Bisogna cambiare l’idea che la donna ha come unico perimetro della propria vita, sociale e culturale, soltanto la famiglia, dove un uomo si sente autorizzato a fare di lei quello che vuole”.

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