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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia al palo

Cos'è questa storia del Dpcm che salva le enoteche e penalizza bar e ristoranti

Il divieto di asporto dopo le 18 permane, ma non per gli esercizi commerciali che fanno capo al codice Ateco 47.25. Fipe-Confcommercio: "Così non si pone un freno alla movida selvaggia e agli assembramenti incontrollati del fine settimana"

Se i ristoratori continuano a soffrire per le retrizioni imposte dal covid, le settemila enoteche italiane dal 6 marzo potranno tirare un sospiro di sollievo: nel Dpcm firmato da Mario Draghi si elimina infatti lo stop alla vendita e all'asporto di alcolici dopo le 18 per gli esercizi commerciali che fanno capo al codice Ateco 47.25. Da sabato 6 marzo, fino alle 22, le enoteche e gli esercizi di commercio al dettaglio di bevande potranno vendere alcol da asporto, ovviamente fermo restando il divieto di consumo sul posto. Rimane, come precisato dal ministero della Salute in una nota, il divieto di asporto di bevande dopo le 18 per le attività dei bar (codice Ateco 56.3), come per gli altri esercizi commerciali della stessa tipologia.

L'asporto di bevande fino alle 22 varrà solo per le enoteche

Contraria a quanto stabilito dal nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri è la Fipe-Confcommercio, la federazione dei pubblici esercizi che nei giorni scorsi aveva chiesto di impedire la vendita di bevande alcoliche dopo le 18 in tutti gli esercizi commerciali, almeno nelle zone della movida. "Se l’intento del nuovo Dpcm era quello di mettere un freno alla movida selvaggia e ridurre gli assembramenti incontrollati del fine settimana, la strada scelta è la peggiore possibile", ha commentato la federazione sottolineando che "il ministro Speranza continua ad identificare il problema nei pubblici esercizi e nei bar, senza rendersi conto che i problemi si creano dove c’è libero accesso all’alcol da asporto", visto che il Dpcm "privilegia i minimarket e punisce soltanto i bar".

Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet Confesercenti, la pensa così: "L'esclusione delle enoteche dal divieto di asporto è certamente un passo avanti. Ma il divieto, anche se ora a carico dei soli bar, rimane un provvedimento iniquo e incomprensibile. Lo stop all'asporto crea un grave danno alle sole imprese di somministrazione senza cucina - bar, caffetterie, etc - mentre minimarket e grande distribuzione potranno infatti continuare tranquillamente a vendere bevande, anche alcoliche, negli orari in cui ai bar la vendita d'asporto è preclusa".

"La verità - continua Banchieri - è che si limita l'attività delle imprese nella speranza di limitare la mobilità sociale: in sostanza, si colpisce l'asporto per colpire gli assembramenti. Gli assembramenti, però, continueranno comunque anche con i bar chiusi per decreto. È infatti evidente che la strategia non stia dando i frutti sperati: la cronaca di questi giorni segnala numerosi casi di feste private e 'assembramenti spontanei' di persone che niente hanno a che fare con le imprese della somministrazione. Bisogna cambiare metodo, così non funziona: si deve fare di più contro gli assembramenti, smettendola di accanirsi sulle sole imprese".

La protesta dei ristoratori e le richieste al governo

E mentre gli enotecari "esultano", i ristoratori rimangono ancora all'asciutto, dato che il nuovo decreto non prevede al momento la riapertura serale dei locali neanche nelle zone gialle per oltre un mese, fino al prossimo 6 aprile (e dunque Pasqua e Pasquetta comprese). Una riapertura che, secondo i dati elaborati da Coldiretti e Filiera Italia, per ristoranti, pizzerie e agriturismi vale l’80% del fatturato. Oggi alle 15 i ristoratori aderenti a Tni Italia-Ristoratori toscani, da dieci giorni in presidio a Roma, hanno manifestato davanti al ministero della Salute: chiedono un incontro con il ministro Roberto Speranza, per capire come mai nel Dpcm dal 27 marzo sia prevista la riapertura di cinema e teatri, mentre non c’è alcun riferimento al futuro della ristorazione.

A incontrare i ristoratori sono stati i sottosegretari Andrea Costa e Pierpaolo Sileri. Sileri ha aperto uno spiraglio minimo: "Rivediamoci tra due settimane da oggi per fare un upgrade della situazione e vedere come vanno le cose. L’impegno c’è, ma se mi chiedete una data purtroppo non posso darvela. Ora serve una maggiore rigidità". Sileri ha ribadito anche che al momento è ipotizzabile solo "aprire a cena nelle aree dove non circolano varianti in forma aggressiva e non ci sono troppi ricoveri, ovvero in zona bianca, e questo accade in Sardegna. Per il resto dell’Italia ci vuole ancora qualche settimana, tra l’altro con l’arrivo della stagione più calda il virus potrebbe fare un passo indietro".

La richiesta dei ristoratori è che si prenda in considerazione un'apertura serale dei ristoranti in concomitanza con quella di cinema e teatri. Oggi una delegazione del settore della ristorazione, uno dei comparti più penalizzati dalle restrizioni imposte dal covid, si è recata anche al ministero del Lavoro per presentare le richieste per salvare le imprese: sedici punti tra cui strumenti normativi straordinari per la negoziazione di canoni di locazione, equi indennizzi a fondo perduto proporzionali alle perdite, cancellazione del Durc (il documento unico di regolarità contributiva), riduzione del cuneo fiscale, reintroduzione dello strumento del voucher per la sostituzione di lavoratori che mancano da lavoro per malattia covid o in caso di dimissioni volontarie, riconoscimento della malattia covid anche per le partite Iva e i soci lavoratori, web tax.

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