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Venerdì, 29 Marzo 2024
Il precedente che fa discutere

Gli negano il suicidio assistito e lui trascina l'ospedale in tribunale: è la prima volta in Italia

Per lui non è più vita quella a cui è arrivato dopo anni da un gravissimo incidente stradale. Ha chiesto di poter accedere al trattamento di fine vita, ma glielo hanno negato senza neppure valutarlo. Così ha fatto ricorso e adesso parte un processo all'ospedale

Vuole mettere fine alla propria vita e vuole farlo legalmente. Per questo aveva chiesto che il suo caso fosse valutato per accedere alla pratica del suicidio medicalmente assistito, ma l’Asl gli ha negato ogni possibilità, senza neppure una valutazione. Così lui, un 42enne delle Marche, ha trascinato in tribunale l’azienda sanitaria nazionale, opponendosi al diniego. Infatti secondo il 42enne, tetraplegico da anni dopo un grave incidente stradale, l’azienda sanitaria locale non ha applicato quanto stabilito da una sentenza della Corte Costituzionale, che consente come, in determinate condizioni, si possa richiedere di porre fine alle proprie sofferenze. Come? Attraverso un iter istituzionale all’interno del sistema sanitario, in cui si verificano condizioni e protocollo da seguire dopo il parere di un comitato etico. Peccato che quelle verifiche non sarebbero state fatte. Così il 42enne ha fatto ricorso al diniego e domani ci sarà la prima udienza del processo civile, che vede il marchigiano contro il sistema sanitario in una battaglia legale, sostenuta anche dall’associazione Luca Coscioni, da sempre in prima linea per il rispetto dei diritti civili e individuali.

Processo alla Asl che dice "no" al suicidio assistito, i perché

Infatti a rappresentare il marchigiano sarà un pool di avvocati coordinati dal segretario della “Coscioni”, l’avvocato Filomena Gallo, che commenta: “Mentre Paesi come la Spagna evolvono in tema di libertà civili, da noi persone in condizioni gravissime sono costrette persino al calvario dei tribunali”. Secondo la Coscioni, la Asl in questione, avrebbe anche potuto negare il suicidio assistito, ma sulla base di una verifica delle condizioni del 42enne, in condizioni irreversibili a causa di un grave incidente stradale che ne ha provocato la frattura della colonna vertebrale, con la conseguente lesione del midollo spinale e altre gravi patologie.

"No" al suicidio assistito e porta Asl in tribunale, paragone con la Spagna

Per lui quella a cui è arrivato, non è più vita e respira solo grazie ai trattamenti di sostegno. Ma la Asl ha detto “no”, anche perché, dal conto della struttura sanitaria, c’è il problema di un vuoto normativo. “Non ci sono parole adeguate nel commentare l’inerzia del legislatore che ha scelto di non avviare un dibattito sul tema per una legge – continua la Gallo -, mentre persone nelle condizioni di Mario devono persino subire un ulteriore calvario giudiziario per vedere riconosciuti i propri diritti e porre fine a terribili sofferenze”. La Spagna in pochi mesi ha avviato il dibattito e approvato la legge pochi giorni fa. E’ il quarto paese appartenente all’Unione Europea, mentre il Parlamento italiano resta sordo ai richiami dei giudici delle leggi. Quella ricevuta dall’Asl marchigiana è una risposta in netto contrasto con quanto stabilito dalla sentenza numero 242\2019 della Corte Costituzionale (cosiddetto “Caso Cappato”)”.

"No" al suicidio assistito porta Asl in tribunale, la sentenza "Cappato"

Ma che cosa stabilisce la sentenza espressa nel 2019, al termine del processo a Marco Cappato, reo di aver indotto al suicidio Dj Fabo? Che non è reato l’aiuto al suicidio se fornito ad un malato che possiede determinati requisiti:

  • affetto da una patologia irreversibile; 
  • che tale patologia sia fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che il paziente trova assolutamente intollerabili;
  • egli sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; 
  • egli sia capace di prendere decisioni libere, consapevoli ed informate.

 Sulla base della richiesta del malato, i sanitari dovranno valutare la presenza dei 4 requisiti e, se la volontà del paziente è espressa in totale consapevolezza, stilare una relazione, poi inoltrata al comitato etico, col compito di verificare la conformità del caso con la procedura prevista dalla sentenza della Corte.

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