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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Adolescenti in quarantena e gaming online: tutto quello che ragazzi e genitori devono sapere

No alla demonizzazione, sì alla condivisione genitore-figlio. Ce ne parla il Dott. Stefano Blasi, Psicologo Clinico e Docente di Psicologia delle Dipendenze

Tra le categorie che soffrono maggiormente il distanziamento sociale in fase di lockdown ci sono senza dubbio gli adolescenti, alle prese con un'età in cui il rapporto con i coetanei è fondamentale. Una lacuna che viene colmata attraverso l'utilizzo della Rete e di strumenti come i social network e i videogiochi online, utili a sopperire mancanze affettive e di svago. Eloquenti in questo senso i dati diffusi da Telecom sull'aumento del traffico online nelle prime due settimane di marzo, che sarebbe da ricollegare in gran parte proprio all'utilizzo del gaming online. Ci si chiede dunque se, in questa circostanza straordinaria dettata dall'emergenza coronavirus, è necessario che i genitori diano ai figli alcune regole per l'utilizzo del Web o se è opportuno che i ragazzi stessi se ne diano autonomamente, responsabilizzandosi. Abbiamo rivolto questa domanda al Dott. Stefano Blasi, Psicologo Clinico e Docente di Psicologia delle Dipendenze all'Università di Urbino, di cui pubblichiamo di seguito un contributo a proposito del gaming online. 

"Una questione importante è distinguere l’utilizzatore patologico da quello ludico. Abbiamo visto come una dipendenza si instauri principalmente in chi ha delle importanti difficoltà pregresse di regolazione emotiva ed usa quel mezzo per tentare di gestire le emozioni dolorose o il senso di vuoto. L’uso eccessivo dei social e dei videogiochi sarebbe quindi una modalità di fronteggiare e contenere un disagio. Non dobbiamo demonizzare il mezzo o l’utilizzatore ma comprendere ed intervenire sul suo disagio. In particolare la dipendenza da videogiochi risulta associata ad altri disturbi (spesso pregressi al gioco) tra cui: ansia, depressione, disturbo ossessivo compulsivo, uso di sostanze, aggressività e il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività. Le caratteristiche psicologiche dei dipendenti sarebbero: impulsività, tratti di personalità schizotipici con introversione e tendenza al ritiro sociale e alessitimia. Fattori di rischio sono il genere maschile, la frequenza di utilizzo e l’isolamento".

Gaming: no alla demonizzazione, ecco quando preoccuparsi

"Il gaming problematico è stato introdotto come malattia solo recentemente nel nuovo ICD-11 soprattutto per una certa diffusione del problema nel sud est asiatico. I criteri descrivono una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, che si manifestano attraverso: un mancato controllo sul gioco; una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita; una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti. La diagnosi comunque andrebbe posta se il comportamento patologico si manifesta per almeno 12 mesi. Molti esperti sono critici sull’introduzione di questo disturbo nei manuali perché i criteri diagnostici sono instabili e si rischierebbe di stigmatizzare e patologizzare sia il mezzo, sia chi ne fa uso in modo sano e ludico, essendo la diffusione del gioco problematico in effetti piuttosto limitata, soprattutto in Europa, dall’1,6 al 2,6% (Feng, 2017)". 

Gaming online, stimolo positivo o dipendenza?

"In una fase prolungata di confinamento domestico come questa, giocare anche per alcune ore ai videogiochi è un fenomeno piuttosto diffuso nei bambini e nei ragazzi, perché è un modo per non annoiarsi ma anche per mantenere alcune relazioni sociali. La dipendenza non si instaura in così poco tempo ma se c’è già un pregresso atteggiamento problematico al gioco occorre vigilare sulla presenza di alcuni sintomi che sono in comune anche con la dipendenza da sostanze quali: astinenza (il giocatore è molto nervoso e irritabile se non gioca), tolleranza (aumento progressivo del tempo di gioco e dell’intensità/complessità dei giochi), craving (desiderio incontrollabile), impatto sulla qualità della vita (minore capacità o interesse verso il lavoro, lo studio, le relazioni sociali) e pensiero costante sul gioco".

"Nei manuali diagnostici si parla di gaming in generale quando gli studi ci dicono che possono indurre maggiore dipendenza soprattutto alcune categorie di giochi chiamati MMO (Massively Multiplayer Online) che sono giochi multigiocatore di massa online (come il noto World of Warcraft, che apparterrebbe al tipo role play) o giochi del genere battle royal come il notissimo Fortnite. Un aspetto additivo (che favorisce la dipendenza) è la possibilità nei giochi gratuiti (free to play) di evolvere più velocemente pagando piccole somme (microtransazioni) che poi possono diventare consistenti. Sebbene la casistica sia rara alcune condotte di abuso possono indurre in soggetti particolarmente vulnerabili fenomeni dissociativi preoccupanti come la trance dissociativa da videoterminale, indurre deficit nell’attenzione e nell’autocontrollo e un isolamento progressivo che per porta a sentire come identità principale quella adottata nel mondo virtuale (identificazione del giocatore con gli avatar) con un calo delle capacità empatiche e relazionali".

"D’altro canto un uso intenso dei videogiochi può essere semplicemente una grande passione, come per altri la lettura, lo sport o la musica. Ci sono tanti motivi non patologici per giocare. Si può giocare per noia, per svago, per curiosità, per passione, per bisogno di affiliazione, per socializzare, per sentirsi più competenti in un campo e migliorare l’autostima, per scaricare la tensione, per distrarsi dalle tensioni familiari. I videogiochi nella maggior parte dei bambini e degli adolescenti non fanno male. Se il minore mantiene altri interessi offline e una buona qualità della vita i videogiochi possono essere un accettabile passatempo. Anche alcune sporadiche reazioni intense di rabbia durante le partite non devono allarmare, sono solo segnali di frustrazione. La questione non è la rabbia, ma come il minore gestisce quella rabbia (spaccare oggetti, imprecare, essere distruttivi e non sapersi calmare può essere il segnale di problema sottostante). I videogiochi rendono più aggressivi e più impulsivi solo i bambini che hanno già alcune vulnerabilità, problemi di impulsività o aspetti psicopatologici. Ma se compaiono segnali quali un aumento di isolamento sociale, bugie, apatia, irritabilità, distraibilità, problemi scolastici, problemi fisici (emicrania, mal di schiena, affaticamento della vista), un rifugiarsi sempre di più nei videogiochi allora potrebbero essere indicatori di un disagio che va accolto e compreso, anche con l’aiuto di uno specialista".

"I videogiochi possono essere considerati anche come stimoli positivi. Possono potenziare gli aspetti attentivi e percettivi (visuo-spaziali), cognitivi e di soluzione dei problemi, possono essere considerati strumenti riabilitativi nei disturbi dell’apprendimento, ma anche strumenti di aggregazione che migliorano gli aspetti emotivi e relazionali (cooperazione e tolleranza della frustrazione)".

Il ruolo dei genitori, parola d'ordine condivisione

"Pensando ad un aiuto alle famiglie più che demonizzare i videogiochi occorre informarsi su questo mondo. Esiste, ad esempio, una classificazione chiamata PEGI (Pan European Game Information) che tramite dei simboli nella confezione informa rispetto all’età minima consigliata sull’utilizzo del gioco. Informarsi rende i genitori meno spaventati e permette di educare i figli alla tecnologia. Se ne siamo completamente estranei finiremo per demonizzarla o per sottovalutarne la potenziale dannosità. Bisogna informare i minori dei rischi della tecnologia, del chattare con estranei, del rivelare informazioni personali, dell’accendere la web cam o dell’inviare materiale personale".

"Per aiutare un bambino o un adolescente un buon modo consiste nel mostrare interesse verso questa passione, non lasciare sempre solo il minore con i videogiochi ma provare a condividere con lui questo mondo, avvicinarci perlomeno, non necessariamente diventare un player. Questo accompagnamento non vale solo per i videogiochi ma per l’utilizzo di internet in generale. Dato che i filtri di parental control per bloccare l’accesso a contenuti non adatti ai minori non è sufficiente, occorre affiancare i bambini nelle prime navigazioni, fornire loro delle linee guida. Stando con loro sarà anche più facile capire le loro reazioni, capire ad esempio se quella richiesta di tempo in più per giocare è un capriccio o un’esigenza motivata magari da un record importante. Questa condivisione aiuterà anche a verificare se l’utilizzo del videogioco sta diventando problematico e se il minore sta usando il videogioco come rifugio per qualcos’altro che lo spaventa o lo fa soffrire (il problema può essere anche in famiglia). Lo scopo non è il controllo, ma la condivisione".

"E’ meglio concordare con il minore, più che imporre, delle regole chiare sul tempo di esposizione (non superare le due ore al giorno, dicono molti esperti) ed eventuali periodi in assenza dei videogiochi se non vengono rispettate le regole già concordate. Poi bisogna essere coerenti. Il dialogo costante, l’attenzione e la presenza sono strumenti più efficaci delle punizioni, che se utilizzate vanno sempre spiegate bene. Evitare in preda alla frustrazione di staccare all’improvviso il videogioco, perché il minore potrebbe veder svanire gli sforzi di tante ore ed essere molto frustrato. Evitare di far giocare mentre si mangia (anche al ristorante). I videogiochi non vanno usati al posto della babysitter, come distrattore o come educatore. Controllare che il minore non giochi dopocena, perché questo interferisce con il sonno, finendo per penalizzare il rendimento scolastico (fenomeno del vamping, gli studenti che stanno svegli di notte come i vampiri e poi dormono a scuola). A volte si consiglia di tenere le consolle da gioco o il computer in una stanza comune e non nella camera del minore, per favorire una condivisione e limitarne gli usi impropri. Molti adolescenti passano ore al cellulare di notte sul letto, è una abitudine da disincentivare. In una fase di confinamento come questa è più facile che il minore faccia dei binge watching, cioè delle abbuffate di televisione, serie tv, filmati su youtube e videogiochi. E’ compito del genitore vigilare su questo atteggiamento. Se diamo delle regole occorre poi anche dare l’esempio evitando di stare noi per primi troppo al cellulare o davanti alla tv. E se mettiamo dei limiti dobbiamo saper proporre delle attività alternative, stimolare altri interessi, che esulino dalle tecnologie, magari riscoprendo alcune attività da fare a casa insieme come il cucinare in modo creativo e divertente, fare altre attività ludiche insieme o condividere altri hobbies".

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