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Giovedì, 25 Aprile 2024
Fine vita

Gloria, malata terminale, ha ricevuto l'ok al suicidio assistito: "Dirò che sono stata libera fino alla fine"

La donna, 78 anni, ha un tumore non curabile. L'azienda sanitaria del Veneto, sua Regione di residenza, ha stabilito che ha preso la decisione in autonomia e che la patologia "produce sofferenza che lei stessa reputa intollerabile"

"Ho vissuto periodi pesanti con forza e volontà per affrontarli, fin dall'inizio ero informata che si prospettava un periodo difficile e così è andata, ed ecco la motivazione della mia richiesta di fine vita dignitosa. Ho avuto una vita libera, bella, quando deciderò di procedere con l'aiuto al suicidio per porre fine alle mie sofferenze nonostante tutto l'ultima parola per me sarà 'la vita è bella' e sono stata libera fino alla fine".

A parlare è Gloria, (nome di fantasia), una donna di 78 anni, malata oncologica veneta che potrà accedere al suicidio assistito dopo il nulla osta da parte dell'azienda sanitaria del Veneto. La donna, assistita dai legali dell’Associazione Luca Coscioni cui si era rivolta, aveva infatti iniziato la procedura a novembre 2022, con una richiesta all’azienda sanitaria competente di effettuare tutte le verifiche per accedere all’aiuto alla morte volontaria, come previsto dalla sentenza "Cappato" della Corte costituzionale.

In Italia,  per quanto se ne abbia notizia, è la quarta volta che viene applicata la sentenza della Consulta sul fine vita. Nelle Marche, Federico Carboni, tetraplegico da 12 anni, era stato il primo italiano ad aver avuto accesso al suicidio medicalmente assistito quasi un anno fa. L'uomo aveva dovuto farsi carico dei costi per il farmaco e gli strumenti di somministrazione, acquistati poi grazie a una raccolta fondi aperta dall'Associazione Luca Coscioni.

La storia di Gloria

La stessa associazione ha reso noto la notizia del "via libera" da parte dell'azienda sanitaria regionale e dal Comitato etico a una richiesta di verifica delle condizioni per poter accedere al "suicidio medicalmente assistito" della 78enne veneta, dopo circa 6 mesi dall'avvio dell'iter. 

L'azienda sanitaria, dopo la richiesta della paziente, ha stabilito che ci sono tutti i requisiti previsti dalla sentenza della Consulta per procedere con il suicidio assistito. In particolare è stato accertato che la paziente, affetta da patologia oncologica irreversibile, ha deciso di procedere con l'aiuto alla morte assistita in maniera autonoma e consapevole. È stato inoltre accertato che la malattia di cui soffre "produce sofferenza che lei stessa reputa intollerabile".

Già a fine marzo la paziente era stata informata che era arrivato anche il via libera del Comitato etico. Nell'aprile 2023 l'azienda sanitaria ha quindi comunicato la tipologia di farmaco idoneo per poter procedere con il suicidio assistito e le modalità di assunzione. Secondo quanto riferisce l'associazione Coscioni, nei giorni scorsi l'azienda ha infine fatto sapere che fornirà la strumentazione necessaria all'autosomministrazione del farmaco letale "e ha confermato che il Servizio sanitario regionale fornirà tutto quanto occorre nell'immediatezza dell'evento". 

Cosa prevede la "sentenza Cappato" della Corte Costituzionale

La sentenza n. 242 del 2019 della Consulta è più comunemente conosciuta con l'espressione "sentenza Cappato", dal nome del tesoriere dell'associazione Luca Coscioni rinviato a giudizio (e poi assolto) per aver accompagnato dj Fabo in Svizzera perché si sottoponesse alla morte volontaria assistita. Cappato era stato accusato di istigazione e aiuto al suicidio in base a quanto previsto dall'articolo 580 del codice penale: "Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni". 

Con la sentenza n. 242 del 2019, la Corte aveva dichiarato la parziale illegittimità dell'articolo 580 escludendo la punibilità di chi "agevola l'esecuzione del proposito di suicidio" di "una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili". In questi casi dunque non c'è reato a patto che la persona sia "pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". La stessa Corte aveva chiesto alla politica di colmare il vuoto normativo sul suicidio assistito, ma con scarsi risultati. 

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