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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Futuro incerto

La scomparsa degli italiani: chi abiterà l'Italia dopo di noi?

Cosa accade a pensioni e sanità. Persi cinque milioni di bambini: mezzo milione dal 2017 a oggi. A rischio 25mila classi nelle scuole. Le case svendute a un euro

La domanda non è più fantascienza: chi abiterà l'Italia dopo di noi? L'inverno demografico comincia a gelare le nostre attività. Prima fra tutte, di solito, chiude la banca del paese, perché non ha più abbastanza clienti. Poi se ne vanno la scuola, l'ufficio postale e l'unico benzinaio. Quindi addio al medico di famiglia, al salumiere, al cartolaio. I pochi giovani che c'erano sono già partiti da un pezzo. Restano gli anziani, ma senza più servizi a portata di mano e senza più bambini intorno. Al massimo, un setter per amico. Come accade a Celle di San Vito, cinquanta minuti da Foggia: cento cani registrati all'anagrafe su centoquaranta abitanti.

Vediamo da anni la nostra provincia svuotarsi. E i paesi spegnersi con i loro ultimi residenti. Ma nessun nipote tornerà a riempire le case dei nonni. Anche perché spesso quei nipoti non sono mai nati. L'Istat calcola in Italia dieci milioni di abitazioni non occupate, quasi il trenta per cento del patrimonio immobiliare nazionale. Non tutte sono però destinate alle vacanze, o frutto della speculazione edilizia. Sono vuote, perché non c'è più nessuno che le possa abitare.

Un'immagine di Adamo, il documentario prodotto da Plasmon

Siamo come un foglio di carta tra le forbici. Da una parte il calo delle nascite, che dal 2015 corre ancor più veloce. Dall'altra l'aumento vertiginoso della popolazione anziana. E in mezzo la lama dello squilibrio demografico. Plasmon, l'azienda fondata a Milano nel 1902 che produce alimenti per bambini, pubblica sul suo sito i dati di questo tsunami, il più devastante tra i Paesi occidentali. Ogni quattro minuti nascono mille bambini nel mondo: solo lo 0,3 per cento è in Italia, mentre Francia e Germania corrono al doppio della velocità con lo 0,6 e India e Cina guidano la classifica con il 17 e il 10 per cento. Anche per questo gli italiani sono oggi 58,9 milioni: in soli otto anni è scomparso l'equivalente di una città di 1,36 milioni di abitanti. Praticamente Milano.

Il crollo delle nascite

Poi c'è la sproporzione di età, che è il problema più difficile da risolvere. Nel 2021 per ogni bambino si contavano 5,4 anziani: erano 3,8 nel 2011, contro un rapporto di uno a uno nel 1951. Siamo così arrivati a seicento pensionati ogni mille lavoratori. Ma tra vent'anni, quando i pochi bimbi di oggi saranno adulti, i loro contributi da soli non basteranno più a tenere in piedi sistema previdenziale e sanità.

Plasmon, oltre ai dati, ha messo in rete un breve documentario ambientato nel 2050. È la storia immaginaria di Adamo, l'ultimo bambino nato in Italia. Un corpicino che sgambetta in mezzo a una schiera di culle vuote. L'angoscia, alla fine, è la stessa che trasmette “Anna”, la mini serie apocalittica di Niccolò Ammaniti. Lo scopo del progetto è mobilitare aziende, imprenditori, associazioni, cittadini in vista degli Stati generali della natalità, in programma a Roma l'11 e 12 maggio. “Con meno nati e quindi con meno contribuenti – spiegano gli organizzatori del Forum delle famiglie – risulta facile prevedere il collasso di quei pilastri fondamentali su cui si regge il nostro Paese, come il sistema scolastico, la sanità pubblica, le pensioni”.

Nascite e morti in Italia per anno (fonte Istat)

La scuola sarà investita per prima. Bisogna fare qualche calcolo con i dati Istat. Gli alunni della primaria oggi (2.588.383 bimbi nati tra il 2012 e il 2016) sono suddivisi in 142.958 classi, per una media di diciotto scolari per classe. Ma fra quattro anni i bambini nati tra il 2017 e il 2021, che frequenteranno la primaria al posto loro, saranno 2.123.123. Sparirà quindi quasi mezzo milione di alunni (465.260): come conseguenza, 25.847 classi in tutta Italia resteranno vuote. Significa migliaia di insegnanti e assistenti senza più allievi e numerosi istituti che rischiano la chiusura. Tutto questo accadrà fra quattro anni.

I nati dal 1962 al 1971, che compongono la generazione che ora ha tra i 50 e i 60 anni, erano 9.414.065. I figli del decennio 2012-2021 sono invece 4.633.431. In circa cinquant'anni, abbiamo perso quasi cinque milioni di bambini (4.780.634). Una voragine per quello che sarà l'Italia. Le nascite sono in costante picchiata da otto anni. E, da come si è visto, la pandemia c'entra relativamente: 485.780 i bambini nati nel 2015, la prima volta dal boom economico sotto il mezzo milione; 420.084 nel 2019; 404.892 nel 2020; 400.249 nel 2021 (contro 709.035 decessi). E per il 2022 una stima, non ancora confermata dalle verifiche, di circa 390mila neonati. Erano 534.186 nel 2012 e 937.257 nel 1962.

Troppi single a Milano

Stili di vita, mancanza di tutele per mamme e papà, precarietà dei contratti di lavoro e degli stipendi rispetto ai costi di una famiglia sono i fattori che stanno spingendo gli italiani verso questa resa dei conti. Nemmeno Milano è indenne. Un'inchiesta di Dossier ha rivelato che il 47 per cento dei nuclei familiari residenti nella metropoli lombarda è composto da un'unica persona. Anziani rimasti soli. E, secondo l'anagrafe comunale, anche tanti single, cresciuti dai 300mila del 1999 agli oltre 400mila di oggi, in una metropoli di 1,35 milioni di abitanti.

MILANO, SINGLE E ANZIANI - di Marialaura Iazzetti 

MENO NATI, MENO ABITANTI - di Marialaura Iazzetti 

Il calo di nascite si scontra inevitabilmente con la mortalità. Una bilancia che in alcune città potrebbe portare verso una riduzione drastica della popolazione. È il caso di Arezzo, capoluogo di provincia con poco meno di centomila abitanti: i 1.755 cittadini deceduti nel 2022 non sono stati compensati dalle nascite, ferme a 582 bambini. È un circolo vizioso che sta già pesando sul mercato del lavoro. Aziende private e pubbliche sperimentano ogni giorno le difficoltà nel trovare dipendenti. Ma nei piccoli paesi la situazione è perfino peggiore: perché quando chiude un'attività, viene soppresso un servizio o un artigiano si ritira, nessuno va più a sostituirli. Oltre ai negozi, evaporano mestieri come idraulici, muratori, imbianchini, elettricisti. Così chiamarne uno oggi – per chi rimane – può costare molto di più, perché deve arrivare da lontano.

Luigi Cappella, 70 anni, medico volontario (foto RiminiToday)

Luigi Cappella, 70 anni, è un medico in pensione. Ma continua a visitare i pazienti, sparsi nei paesi tra Pennabilli e Casteldelci, nell'entroterra della provincia di Rimini. La capitale del divertimento estivo nasconde vallate ridotte al silenzio. Anche perché da queste parti non c'è soltanto la crisi demografica, ma perfino una migrazione interna verso le cittadine della costa, dove la vita è meno solitaria. D'inverno, quando sulle alture della Romagna cadono fino a due metri di neve in poche ore, capita di trovare l'auto del dottor Cappella parcheggiata lungo la strada bloccata. E di vedere le impronte delle sue ciaspole che salgono verso i borghi isolati. Come è successo a fine gennaio.

I paesi senza medico

“Erano persone con reali problemi di salute – racconta – e sono andato a sincerarmi che tutto andasse per il meglio. Leggo i giornali e vedo come ciclicamente si tratta il tema della carenza di medici di famiglia. È un problema reale. Ma bisogna consentire ai medici di fare i medici. Di curare, visitare e prescrivere le cure. Invece non è più così: i medici di famiglia sono oggi oberati dalla burocrazia, passano più tempo al pc che non a visitare”. Una soluzione, secondo il dottore volontario, ci sarebbe: “È necessario che a ogni medico di famiglia venga assegnato un assistente, un segretario retribuito dall'azienda sanitaria, che svolga la parte di attività burocratica. Se questo non accade, saremo destinati a vedere un aumento di chiamate al 118 e di pazienti costretti alle visite a pagamento”.

LA "RESTANZA" CHE SALVA IL SALENTO - di Valentina Murrieri

COSI' L'INFLAZIONE COLPISCE IL SUD - di Mario Parisi

Anche il Salento, che già prima della pandemia aveva perso 31mila abitanti in nove anni, prova a resistere mettendo in pratica il concetto di restanza: “Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di se stessi. Restanza – spiega nel suo omonimo libro Vito Teti, professore ordinario di Antropologia culturale all'Università della Calabria – significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente”.

Celle di San Vito, in provincia di Foggia (foto FoggiaToday)

Non è facile sopravvivere in un mondo che si svuota. A Botrugno, in provincia di Lecce, l'associazione “La scatola di latta” da qualche anno insegna a restare. Si iscrivono da tutta Italia per seguire i percorsi che coinvolgono Puglia, Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia.

LA LEZIONE DI PIERO ANGELA - di Fabrizio Gatti

I sindaci fanno quello che possono per richiamare con incentivi i nuovi residenti. Come a Martano, sempre in provincia di Lecce. Oppure nella vicina Caprarica, la città dell'olio, dove le case non più abitate vengono offerte a un euro. A Biccari, mezz'ora da Foggia, la vendita è stata un successo. I nuovi proprietari sono stranieri che amano l'Italia mediterranea. Ma poi ci sono le case della povera gente. E quelle sono molto più difficili da piazzare. “Proviamo a reagire al destino di tutti i borghi”, aveva detto il sindaco Gianfilippo Mignogna, quando nell'estate 2021 ha presentato il progetto.

La provincia foggiana che sale verso i monti Dauni è tra le più colpite nel Mezzogiorno. Le banche hanno già lasciato molti paesi. Altri sono alle prese con la chiusura o il ridimensionamento delle scuole. Carlantino, Celenza Valfortore, San Marco La Catola e giù fino a Lucera: la geografia dell'erosione demografica, che copre il trentuno per cento della superficie della provincia e l'undici per cento di tutta la Puglia, non arriva a ottantamila abitanti. Come ha calcolato FoggiaToday, potrebbero sedersi tutt'insieme nello stadio di San Siro.

Venezia cerca bambini

Stessi scenari in Abruzzo e Sardegna. Ma nemmeno il Nord sfugge alla decrescita infelice. A Venezia sono a rischio le iscrizioni alla scuola primaria Duca d'Aosta alla Giudecca: non si riescono a trovare quindici bambini, il numero minimo previsto dal ministero per la formazione di una classe. A Torino la città metropolitana organizza corsi per quanti vogliono andare a ripopolare le valli. La scorsa primavera sono partiti in trecento da Piemonte, Liguria e Lombardia, grazie a un bando di dieci milioni, stanziati dalla Regione per contributi compresi tra i diecimila e i quarantamila euro.

Far nascere per decreto cinquecentomila bambini in pochi mesi è ovviamente impossibile. Tra incentivi alle famiglie per gli anni futuri e permessi di soggiorno mirati alle necessità urgenti, al governo non restano molte alternative, se si vuole evitare che l'inverno dei bebè congeli anche l'economia. Già ora, senza i 5,2 milioni di immigrati che vivono e lavorano regolarmente in Italia, la popolazione scenderebbe sotto i 54 milioni di abitanti e il prodotto interno lordo perderebbe il nove per cento del suo valore. Perfino la stima di mezzo milione di stranieri da far entrare legalmente, sfuggita qualche giorno fa al ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, di fronte a questo scenario epocale potrebbe essere addirittura insufficiente.

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