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Sabato, 20 Aprile 2024
Le contraddizioni

Quante volte l'Italia ha armato altri Paesi senza che sapessimo nulla

S'infiamma il dibattito sull'invio di armamenti militari a Kiev ma vale la pena ricordare che l'Italia ha spedito armi anche in Yemen, Siria e Nigeria

Mentre l'aumento delle spese militari al 2% del Pil ha rischiato di far saltare la maggioranza di governo, il dibattito politico si spacca tra chi è favorevole alla decisione di fornire armi all'Ucraina e chi è contrario. Secondo Amnesty International, negli ultimi 25 anni i sistemi militari italiani sono stati esportati in ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di regimi autoritari di diversi paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Eritrea, Libia, Turchia, Kazakistan e Turkmenistan, così come a paesi ove sono in corso conflitti come India, Israele, Nigeria, Pakistan e Siria. Quante volte l'Italia ha armato altri Paesi senza che sapessimo nulla? Facciamo insieme un salto nel passato per rispondere a questa interessante domanda.

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Aiuti militari all'Ucraina dagli Stati Uniti e dall'Ue

No della Nato alla no fly zone sull'Ucraina per evitare di entrare militarmente nel conflitto, sì invece all'invio di aiuti militari a Kiev. Questa la scelta fatta dall'Alleanza Atlantica per sostenere l'Ucraina contro l'avanzata russa, senza che il tutto possa degenerare in una terza guerra mondiale. Il 2 marzo scorso 22 Paesi della Nato (20 dell'Ue) più la Svezia, che per questa occasione ha deciso di abbandonare la sua storica neutralità, hanno scelto di inviare armi a Kiev. Molti paesi stanno offrendo aiuti militari al presidente ucraino Zelensky ma con modalità diverse da nazione a nazione. Austria e Irlanda, ad esempio, hanno spedito solo dotazioni difensive (giubbotti antiproiettile ed elmetti) mentre Stati Uniti, Francia, Germania, Olanda e Italia anche dotazioni da combattimento (missili terra-aria, armi anti-carro e mitragliatrici). Gli Usa hanno stanziato 2 miliardi di dollari per gli aiuti a Kiev, l'Unione europea 900 milioni di dollari. Nessun aiuto dall'Ungheria di Viktor Orbán, che ha vietato persino il transito delle dotazioni estere attraverso i propri confini.

Armi a Kiev, s'infiamma il dibattito

Il via libera all'invio di armi a Kiev ha suscitato un ampio dibattito sul nostro territorio nazionale, con una profonda spaccatura tra chi è a favore e chi è contrario a questa decisione, con voci dissonanti anche all'interno di uno stesso partito. L'Anpi - Associazione nazionale partigiani italiani - ha deciso di scaricare il Partito democratico (Pd) accusandolo di aver dimenticato le sue origini pacifiste, sostenendo che "il riarmo ci porta al disastro”. Non la pensano così le più alte cariche del Pd. In una lunga lettera al giornalista Michele Santoro, il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha rivendicato la sua scelta di fornire armi all'Ucraina, sostenendo che "se per il popolo ucraino oggi oppresso sotto le bombe e i missili c’è anche solo una possibilità di negoziato, lo si deve a un atto di resistenza fiera e senza compromesso. Lo si deve alla ribellione di chi non si consegna, non si arrende, non si inginocchia. Chi siamo noi per dire loro di inginocchiarsi?”. Ad infiammare ancora di più il dibattito ci ha pensato il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, ex europarlamentare di Forza Italia, con questa dichiarazione: "Chi critica la fornitura di armi ai combattenti ucraini e l’aumento delle spese militari per difendere le nostre democrazie, allora non festeggi il 25 aprile". Appurato che sarà difficile trovare una linea comune sull'invio delle armi all'Ucraina, anche all'interno di uno stesso partito, vale la pena sottolineare una notizia che sembra aver fatto poco scalpore e che invece sarebbe degna di un ampio dibattito. Nel 2020 l'export di armi italiane è risultato pari a 4 miliardi di euro e ha interessato soprattutto l'Egitto, nonostante la non collaborazione nei casi Regeni e Zaki e la violazione dei diritti umani da parte del governo autoritario di al-Sisi, segno che quando di parla di armi tutto è lecito.

Quante altre volte abbiamo donato armi 

Mentre in tv e sui social non si fa altro che parlare di filorussi e filoucraini, ci viene in mente una domanda: Quante volte l'Italia ha armato altri Paesi senza che sapessimo nulla e quante altre volte ancora lo faremo? Andando a ritroso nel tempo l'ultima volta che l'Italia ha fornito armi e munizioni ad una popolazione durante un conflitto risale al 2014, alla guerra in Siria, quando a guidare il nostro Paese c'era Matteo Renzi. In quell'occasione il Senato autorizzò il governo a trasferire armi e munizioni alle autorità irachene per bloccare le violenze dei miliziani dell'Isis. Non furono spediti solo aiuti umanitari alla popolazione ma anche aiuti militari per la formazione di un nuovo governo inclusivo in Iraq capace di contrastare l'azione terroristica di Isis e di proteggere le minoranze religiose e i civili. Il sostegno al popolo curdo così pensato ha trovato d'accordo un po' tutte le forze politiche. Gli esponenti di Sinistra Ecologia Libertà (Sel), pur sostenendo l'invio di armi in Iraq, ritennero però "incredibile" che il governo avesse preso decisioni di questo tipo senza che il Parlamento nella sua interezza ne aesse discusso prima. E allora perché le armi ai curdi sì e agli ucraini no? Secondo Amnesty International, negli ultimi 25 anni, i sistemi militari italiani sono stati esportati in ben 123 nazioni, tra cui alle forze amate di regimi autoritari di diversi paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Eritrea, Libia, Turchia, Kazakistan e Turkmenistan, così come a paesi ove sono in corso conflitti come India, Israele, Nigeria, Pakistan e Siria. Nessuno ha avuto niente a che ridire sulla guerra in Yemen, scoppiata nel 2015, e sul fatto che l'Italia abbia rifornito di armi l'Arabia Saudita, Stato alla guida dei paesi che hanno bombardato lo Yemen. Idem per la cessione a titolo gratuito di materiale di armamento obsoleto e vetusto a favore delle forze armate della Repubblica del Niger, decisa a giugno 2021, alleato strategico nella lotta al terrorismo internazionale.

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Le contraddizioni

Provando a spiegare cosa sta succedendo a livello politico sulla decisione di appoggiare o meno l'invio di armi a Kiev, il sottosegretario del Pd Giuseppe Provenzano ha dichiarato: "Il problema di filo-putinismo ce l'ha la destra. In particolare quella italiana. Il silenzio di Berlusconi, i legami consolidati della Lega di Salvini con il partito di Putin, ma anche Giorgia Meloni, che ancora guarda a Trump, l'altro polo del vento conservatore e reazionario che non a caso definisce Putin 'un genio'. Poi c'è qualche 'cretino di sinistra', avrebbe detto Leonardo Sciascia. Quelli che sono talmente complessi da ignorare anche la verità più banale: al Cremlino non sventola bandiera rossa, sventola bandiera nera". I talk show si riempiono di pacifisti, interventisti e interventisti moderati, ma anche di rossobruni che hanno fatto diventare il Donbass la terra dei sovranisti di sinistra. Si tratta di nazionalcomunisti che tifano Putin, un perfetto mix tra estremisti di destra ed estremisti di sinistra. Marco Ferrando, fondatore del trozkista Partito comunista dei lavoratori sostiene che "il presidente russo ha presentato il conflitto in chiave anticomunista, contro i bolscevichi. È curioso che oggi un comunista possa appoggiarlo", eppure succede anche questo.

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I foreign fighters italiani filorussi e filoucraini

Le contraddizioni a livello ideologico-politico sulla guerra in Ucraina appaiono molto più evidenti tra i foreign fighters italiani, ossia tra coloro che scelgono liberamente di andare a combattere in un paese straniero in cui si è originato un conflitto. Ad esempio, ci sono volontari che hanno deciso di andare a combattere al fianco dei russi per difendere il Donbass. Sono ragazzi e ragazze che abbracciano ideologie molto diverse, sono nazifascisti e comunisti, ma in questo conflitto si schierano entrambi con Putin. Tra questi combattenti citiamo Edy Ongaro, nome di battaglia Bozambo. È morto il 30 marzo scorso colpito da una bomba a mano, aveva 46 anni. Ongaro si era definito "un combattente comunista" venuto "a combattere contro il fascismo". Dalla stessa parte troviamo però anche l'ex militante di Forza Nuova, Andrea Palmieri e l'estremista di destra Riccardo Emidio Cocco. Secondo l’Antiterrorismo italiano, in Ucraina ci sarebbero circa 17mila foreign fighters provenienti da 50 paesi, 60 dei quali italiani, buona parte dei quali connessi all’ultranazionalismo.

Parlando di foreign fighters filorussi e di partiti vale la pena segnalare l'increscioso accaduto del 24 febbraio 2022, primo giorno di invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito russo. Il think tank fondato dall’europarlamentare di Fratelli d'Italia (Fdi) Vincenzo Sofo ha condiviso il post inneggiante all'invasione russa di Riccardo Emidio Cocco, estremista di destra che vive in Donbass, mettendo in imbarazzo il partito visto che sin dalle primissime ore dell'attacco Giorgia Meloni aveva duramente condannato l'accaduto definendolo "semplicemente inaccettabile. La comunità internazionale deve rispondere compatta a difesa del diritto internazionale”, aveva dichiarato la leader di Fdi. Peccato però che spesso persino le visioni all'interno dei vari partiti italiani non siano le stesse.

La precisazione di Riccardo Emidio Cocco

"Non faccio parte e non ho mai fatto parte di nessun gruppo militare o paramilitare, di nessuna milizia o esercito, non ho mai partecipato a scontri armati, non ho mai impugnato un'arma né in Italia né altrove. Le ragioni della mia presenza a Lugansk sono esclusivamente umanitarie, finalizzate ad aiutare la popolazione civile e documentare le condizioni di vita durante un conflitto che ha avuto pochissima copertura da parte dei media. Animato da mero spirito di solidarietà e corretta informazione ho realizzato i video da Voi citati. Inoltre, è assolutamente falsa la mia etichettatura di essere di “estrema destra”", replica l'attivista a Today.it.

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