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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Naufragio dei bambini, la prescrizione salva Marina e Guardia costiera

Così ha deciso il Tribunale di Roma nei confronti degli ufficiali. Le parti civili avevano chiesto la condanna, la Procura l'assoluzione. Nel disastro morirono 268 siriani, tra i quali 60 minori

Il Tribunale di Roma "dichiara di non doversi procedere nei confronti degli imputati Leopoldo Manna e Luca Licciardi in ordine ai reati rispettivamente ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione". Mancano pochi minuti alle 17 nell'aula della seconda sezione penale. È più o meno la stessa ora del naufragio dell'11 ottobre 2013, quando a una sessantina di miglia a sud di Lampedusa morirono annegati 268 siriani, tra i quali 60 bambini. La presidente Anna Maria Pazienza chiude così il lungo processo. Gli avvocati delle parti civili, tra i quali Emiliano Benzi e Alessandra Ballerini, avevano chiesto la condanna dei due ufficiali. La Procura aveva sostenuto la loro assoluzione.

Il capitano di vascello Leopoldo Manna, 61 anni, all'epoca dei fatti era capo della centrale operativa del comando generale delle capitanerie di porto, con compiti di coordinamento del soccorso marittimo. Il capitano di fregata Luca Licciardi, 52 anni, era quel pomeriggio il capo della sezione operazioni correnti del Cincnav, il comando della squadra navale della Marina. Erano accusati di omicidio colposo e rifiuto di atti d'ufficio.

"Aiuto, stiamo morendo", "Il Libra fuori dai c...": il video con le telefonate shock

 

Non sapremo mai, quindi, se la condotta dei due ufficiali - che riproponiamo qui sopra nelle chiamate shock di quel pomeriggio - abbia o no violato le norme che regolano il soccorso in mare. “Gli imputati vanno assolti perché il fatto non sussiste", avevano detto il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, e il pubblico ministero, Santina Lionetti, davanti alla seconda sezione penale del Tribunale.

LA STORIA - Perché i soccorsi arrivarono in ritardo 

IL PROCESSO - La Procura voleva l'assoluzione

“Non c'è stata alcuna volontà degli imputati nel volere la morte dei migranti – avevano dichiarato in aula i due pubblici ministeri -. Non c'è stato alcun dolo, le procedure sono state rispettate e la loro missione era salvare persone in mare. I due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all'epoca. Le modalità con cui è avvenuto il naufragio non hanno permesso di stabilire un bilancio ufficiale, c'è un deficit di conoscenza sul numero dei morti, sulle cause e sulla riconducibilità al presunto ritardo”.

I naufraghi in mare dopo il ribaltamento del loro peschereccio (foto Forze Armate di Malta)-4

Il peschereccio era partito la sera prima da Zuara in Libia con 480 persone e a poche miglia dalla costa era stato attaccato a colpi di mitra da una motovedetta libica. Le raffiche avevano ucciso due passeggeri, ferito due bambini e aperto falle nello scafo. Erano le 17.07 dell'11 ottobre 2013, quando a sessanta miglia a sud di Lampedusa si è ribaltato. Ma per quasi cinque ore, dalla prima di tante richieste di soccorso fino alla strage, il pattugliatore Libra della Marina era stato tenuto in attesa ad appena diciassette miglia: una distanza che i militari italiani avrebbero potuto coprire in sessanta minuti, o addirittura in un quarto d'ora con l'elicottero di bordo.

Le accuse erano state formulate dal giudice per le indagini preliminari, Giovanni Giorgianni, che aveva respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura. Il Gip aveva deciso di mandare a giudizio Manna e Licciardi sulla base di un'ampia documentazione depositata dagli avvocati Alessandra Ballerini di Genova e Emiliano Benzi di Roma, legali di alcuni medici che nella tragedia hanno perso mogli e figli, da allora dispersi in mare insieme a gran parte delle vittime. Soltanto dodici corpi sono stati recuperati.

All'indomani di questa ennesima strage nel Mediterraneo, avvenuta otto giorni dopo il naufragio del 3 ottobre a Lampedusa, il governo italiano diede il via all'operazione di salvataggio "Mare nostrum". La prescrizione oggi impedisce ai sopravvissuti di sapere se hanno subito o no una grave omissione di soccorso. E nega agli imputati il diritto di essere giudicati. Le parti attendono ora il deposito delle motivazioni. Il fatto che i due ufficiali non siano stati assolti espone comunque lo Stato all'eventualità di dover risarcire i familiari delle vittime.

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