"Papà ha ucciso mamma e nonna, la mia vita da orfana di femminicidio"
La testimonianza di Elisa, oggi studentessa universitaria, che da bambina ha perso mamma e nonna. Sono state uccise dal padre, che ha freddato anche il medico di famiglia. A Today.it dice: "Tutelate i bambini, sono vittime come chi non c'è più"
I "botti", il rumore "di una grossa scala di metallo che cade più volte" che proviene da casa, il tragitto in auto verso lo studio del medico di famiglia e le persone che scappano "con la faccia spaventata", la confusione, poi i poliziotti, gli zii che arrivano. È quello che Elisa (nome di fantasia, ndr) ricorda del giorno in cui il papà ha ucciso la sua mamma, sua nonna e anche il medico di famiglia. Elisa aveva sei anni, oggi è maggiorenne e frequenta l'università. Si racconta a Today.it: "Forse sono atipica, ma se posso essere d'aiuto a qualcuno è giusto farlo. Stare zitti non serve".
Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Elisa parla di sè e della sua storia. La storia di chi ha perso tanto e deve ricostruirsi tra difficoltà materiali ed "etichette" sociali. La storia di chi compie un cammino difficile che altri hanno imposto ma che vuole guardare al futuro con ottimismo e chiede "di essere vista per chi sono oggi. Sei sempre 'la figlia di... ' Io voglio essere me stessa, voglio una vita normale".
Quello che è successo alla famiglia di Elisa è cronaca. I suoi genitori sono prossimi al divorzio, un giorno il padre uccide a colpi di arma da fuoco - regolarmente detenuta perché appartenente a una forza di polizia - l'ex moglie e la ex suocera (che erano in casa) e il medico di famiglia (nel suo studio). Poi va in questura. Le figlie, mentre l'uomo compie il suo progetto omicida, sono in auto. Il padre le porta con sè quando raggiunge lo studio del medico e anche quando si consegna. L'uomo è stato condannato all'ergastolo. Il motivo di tanta violenza è nella convinzione che l'ex moglie lo tradisse con il medico. Le figlie sono state affidate alla zia materna.
"Della mia infanzia ricordo poco - dice Elisa -. I ricordi che ho non sono belli. Lui (il padre, ndr) era una persona violenta. Sono stata anche ricoverata più volte, ricordo i lividi. I suoi erano scatti: prima le botte fino a fare uscire il sangue, poi tutti insieme nel lettone a guardare i cartoni animati e mangiare pop corn. Ci è voluto tempo per capire che i lividi che avevo sempre non erano normali".
È primavera quando tutto cambia. "Quel giorno - prosegue - lo ricordo e lo ricorderò. Avevo sei anni, mia sorella solo diciotto mesi. Era un classico giorno in cui un padre separato va a casa della ex per prendere i figli. I miei genitori non stavano insieme da un po' e lui aveva una compagna che conoscevo. Ci ha messo in auto, ha assicurato i seggiolini, Poi è rientrato in casa e ricordo il rumore. Nella mia testa è quello di una pesante scala di metallo che cade, più volte. Ho sentito dei botti. Ha fatto quello che ha fatto a mia madre e mia nonna, che era a con lei. La casa è una villetta noi stavamo al piano terra, accanto al nostro appartamento c'era quello dei nonni materni e gli zii erano al piano di sopra. Nonna stava aiutando mamma a fare le borse proprio perché noi figlie dovevamo andare con lui. Poi siamo andate all'ambulatorio del medico di famiglia, ci ha lasciato in auto. Ricordo però il volto dei pazienti che fuggivano, il panico. Mia sorella piangeva, cercavo di consolarla ma non ci riuscivo. Io facevo domande, capivo che qualcosa non andava. Poi siamo andati in questura. Dopo un po' sono arrivati degli agenti che ci hanno preso con loro".
Elisa e la sorella vengono affidate prima al fratello della mamma, poi alla sorella. "Aveva già due figli - racconta - quindi adesso ho anche dei fratelli. I miei genitori, li chiamo così perché mi hanno cresciuto e per me questo sono, mi hanno subito detto la verità. Sono stati bravi a parlare di quello che è successo nè poco nè troppo. Ci hanno fatto vedere gli album di foto, ci hanno raccontato di mia mamma e mia nonna, di cosa combinavano da ragazze".
Da quel giorno a oggi c'è il cammino di una famiglia che ha dovuto rimettere insieme i pezzi. "All'inizio c'è stata grande attenzione, assistenti sociali e psicologi. Tutto è scemato nel breve periodo. Tante cose le abbiamo affrontate da sole, con la famiglia. Io sono seguita ancora oggi da una psicologa e non me ne vergogno". Elisa è rimasta nella sua città. Solo da poco si è trasferta altrove per frequentare l'università: "Mi è servito anche questo cambiamento. Ho avuto il tempo e il silenzio per maturare ancora l'accaduto".
Ricostruirsi significa anche confrontarsi con lo sguardo degli altri. "Mi è capitato di presentare dei documenti e di dovere spiegare come mai in casa ci sono tre cognomi diversi o perché io e mia sorella, nonostante la giovane età e il non avere un reddito, abbiamo già una casa intestata. Quello che tutti mi chiedono, sempre, è 'Perché l'ha fatto?'. Nessuno mi chiede 'Come hai vissuto tu questa cosa?'. Oppure mi chiedono 'Tua madre aveva denunciato?' Che domanda è? La risposta è sì, ma se anche non lo vesse fatto non cambia quello che è successo". L'attenzione degli altri è su cosa è stato, cosa è successo. L'attenzione è sugli altri. Noi figli non veniamo visti. Chi è rimasto non è considerato. Noi siamo vittime. Io, mia sorella, mia zia, mio nonno. Siamo vittime come chi non c'è più, forse anche di più".
Elisa non ha dubbi: "Lo stigma sociale c'è. Mio nonno aveva un'attività ed è colata a picco perché la gente si è allontanata. Quando ho avuto il primo fidanzatino la frase che sentivo era "Ma come... proprio lei... ?' Io sono vista come "la figlia del mostro' o 'la figlia della donna uccisa'. Nessuno ti vede per chi sei".
C'è poi l'ombra del padre. "Lui è vivo - dice Elisa -. Ha una condanna all'ergastolo, ma anche avuto dei permessi per buona condotta. Non so e non voglio sapere in cosa consistano di preciso. Sì, è andato in questura ma non so se si è costituito per reale convinzione. Ha sempre sostenuto la tesi del delitto d'onore. Lo ha fatto anche con me. Era convinto, lo è, che mia sorella non sia sua figlia. Le sue attenzioni infatti sono sempre state per me. Mi ha anche chiesto di farle fare un test di paternità. Quando ho compiuto 18 anni mi era venuta la curiosità di parlargli, ma esattamente nello stesso periodo mi sono arrivate delle lettere da parte sua in cui spiegava le sue ragioni. Dice che è stato lui a salvarci da mia madre. Ho anche ricevuto sue telefonate con la complicità di un mio zio paterno. Mi ha proposto di essere io suo tutore... Ovviamente ho rifiutato".
Da alcune settimane Elisa e la sua famiglia affidataria sono seguite dall'associazione Il giardino segreto onlus, dalla fondatrice Patrizia Schiarizza (avvocato) che ha al suo fianco le psicologhe Paola Medde ed Emanuela Iacchìa. "I contatti - dice Elisa - li ha presi mia madre. Siamo arrivate a Patrizia (Schiarizza ndr) parlando con altre persone. Celebre la frase "Dove sta la fregatura?' della mia madre affidataria. Di tanti aiuti non sapevamo l'esistenza. Mi sono sentita capita. Stiamo ragionando insieme anche su cosa posso fare riguardo mio padre".
"Io non voglio precludermi la vita per il mio passato - si sfoga Elisa -. Non voglio non vivere per quello che altri hanno fatto. Voglio una vita normale perché io sono una persona normale. Non è facile e ho ancora tante cose da risolvere, ma voglio guardare avanti con l'ottimismo. Respingi (i contatti col padre, ndr) e vai avanti. Ma non mi sento abbastanza tutelata adesso. Non voglio essere disturbata. Non può stare dove sto io, non può cercarmi. Lui faccia il suo corso con la giustizia e io faccio il mio".
Torna la parola paura. "Non per me - le parole di Elisa -. Per mia sorella, mia zia, i mei fratelli A me questa persona ha già tolto tutto... Voglio che loro siano protetti".
"Oggi - dice Elisa - parlo e racconto di me perché magari è di aiuto a chi vive una situazione difficile. C'è tanto da fare. Quando c'è un femminicidio, si deve prima di tutto tutelare i bambini. Sotto tutti gli aspetti. Poi le tutele non possono finire con i 18 anni. Cosa cambia con la maggiore età? Passa tutto? O le difficoltà delle famiglie scompaiono? Poi c'è da lavorare sulla coscienza delle persone. Serve un cambio di mentalità. Non si devono giustificare neppure le piccole violenze, a iniziare da uno schiaffo. Le donne non devono avere paura dell'abbandono. Le istituzioni non devono minimizzare. E anche il 25 novembre. Ok le giornate per sensibilizzare, ma non ci servono professori o esperti che parlano. Serve qualcuno che dia soluzioni, che proponga cose concrete".