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Sabato, 20 Aprile 2024
Il punto

Quanto dura l'efficacia dei vaccini e gli effetti della terza dose sulla variante Delta

Per tenere a bada la nuova mutazione sarà necessario un booster? I dati che arrivano da Israele suggeriscono di sì, la buona notizia è che le due dosi sembrano comunque funzionare bene contro la malattia grave

Partiamo dalle buone notizie: anche a distanza di molti mesi dalla somministrazione i vaccini sembrano mantenere un'efficacia piuttosto alta contro i casi di ospedalizzazione e di malattia grave: lo dicono i dati israeliani raccolti tra il 20 giugno e il 17 luglio che stimano, nella fattispecie per i vaccinati con Pfizer, una riduzione della possibilità di sviluppare il Covid in forma severa pari al 91.4%, mentre l'efficacia nel prevenire il ricovero in ospedale sarebbe dell’88%. Gli stessi dati suggeriscono però una sensibile riduzione dell'efficacia nei confronti della malattia lieve o moderata (che a più di sei mesi dall’inizio della campagna vaccinale si attesterebbe al 40.5%) nonché nel prevenire il contagio (39.0%).

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La terza dose in Israele

Proprio alla luce di questa diminuita efficacia (che secondo molti esperti dipende in parte anche dalla diffusione della variante Delta), il governo israeliano - primo fra tutti - ha deciso a partire dal 30 luglio di somministrare una terza dose di vaccino: prima agli over 60 e poi anche a tutti gli israeliani con più di 40 anni. 

I risultati non si sono fatti attendere: secondo il ministero della Salute la protezione contro l'infezione è aumentata di 4 volte tra gli over 60 che hanno fatto il booster rispetto a chi aveva ricevuto due dosi. Alcuni esperti hanno inoltre evidenziato un calo nella curva dei contagi tra gli ultrasessantenni: come si può osservare nel grafico in basso, se la curva dei non vaccinati prosegue nella sua impennata, nell’ultima settimana quella dei vaccinati ha ripreso a calare. Un effetto del richiamo? Per ora è presto per avere certezze, ma si tratta di un indizio importante.  

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Negli Stati Uniti terza dose dopo otto mesi. Anche Francia e Germania pensano ai richiami

Dobbiamo rassegnarci a fare la terza dose? E quanto durerà l'effetto di un eventuale booster? Se a quest’ultima domanda è per ora impossibile dare una risposta, sulla terza dose varie alcuni Stati si sono già portati avanti. Gli Stati Uniti hanno ad esempio annunciato che a partire dal 20 settembre inizieranno le somministrazioni dei richiami per tutti coloro che hanno fatto la seconda dose da più di otto mesi.

"I dati disponibili - si legge in una nota firmata dalla direttrice dei centri per la Prevenzione delle malattie (Cdc), Rochelle Wakensky, e dal capo della Food and drug administration (Fda), Janet Woodcock - mostrano chiaramente che la protezione contro l'infezione da coronavirus diminuisce con il tempo, e in coincidenza con la variante Delta, iniziamo a vedere una protezione ridotta contro la malattia in forma moderata e lieve. Abbiamo concluso che un richiamo sia necessario per massimizzare la protezione da vaccino e prolungare la sua durata".

In Germania e in Francia la terza dose verrà offerta agli anziani e ai giovani più fragili, mentre nel Regno Unito ne avranno diritto tutti gli over 50 nonché le persone a rischio. L'Italia non ha ancora preso una decisione: probabilmente gli esperti aspettano che arrivino dati più solidi a certificare (o meno) la necessità di un booster. Anche perché, stando all'ultimo report dell'Istituto superiore di sanità, nel nostro Paese l'efficacia dei vaccini è ancora molto elevata e risulta pari all'82,5% rispetto all’infezione e al 94,9% nel prevenire le ospedalizzazioni. 

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La protezione di AstraZeneca dura più a lungo?

Cosa dobbiamo aspettarci? Uno studio pubblicato il 16 agosto dall’Università di Oxford ha confermato una riduzione dell’efficacia dei vaccini nel tempo, ma ha anche suggerito che il calo potrebbe essere più marcato nel caso dei vaccini a mRNA. Se Pfizer offre una protezione iniziale superiore al 90% che si dimezza quasi dopo 4 mesi (un dato tutto sommato in linea con i numeri riportati dal governo israeliano) AstraZeneca offre una protezione inizialmente meno robusta (pari ad oltre il 70%) che però è più costante nel tempo e decade meno velocemente. Alla riduzione di efficacia dei vaccini contro infezione e malattia lieve potrebbe aver contribuito anche il diffondersi della variante Delta.

Del resto, come ha spiegato Natalie Dean, professore di biostatistica alla Emory University, la nuova mutazione ha reso "molto più difficile" fermare la trasmissione. Secondo l'esperto con Delta "la situazione è cambiata" e l'obiettivo più alla portata oggi è quello di "prevenire malattie gravi, ricoveri e decessi".

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Guardando al caso del Regno Unito emeregono altri elementi interessanti. Lo scienziato Eric Topol ha ad esempio fatto notare che oltremanica la curva dei ricoveri è molto meno ripida rispetto a quella riscontrata in Israele. Nello specifico, la percentuale di ospedalizzati rispetto ai casi di Sars-Cov-2  si attesterebbe al 2,4% in Gran Bretagna e al 3,3% in Israele.

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A cosa è dovuta questa differenza? Giacomo Gorini, uno dei ricercatori che ha lavorato al vaccino AstraZeneca, ha provato a fare qualche ipotesi.

  • In Israele la campagna vaccinale è iniziata prima e la variante Delta si è diffusa dopo;
  • Il Regno Unito ha utilizzato anche vaccini a vettore adenovirale, laddove in Israele sono stati usati solo vaccini a mRNA;
  • Nel Regno Unito prima e seconda dose sono state somminstrate ad un intervallo di tempo più lungo, mentre le autorità israeliane si sono attenute alle 'canoniche' tre settimane.   

A questo proposito, lo stesso Eric Topol ha evidenziato che la curva dei ricoveri negli States sembra seguire lo stesso andamento di quella israeliana. Il che, a suo giudizio, lascia presuppore che un ruolo possa averlo avuto anche il distanziamento tra le due dosi.

Ma siamo nel campo delle ipotesi. Certo è che inizia ad esserci più di qualche indizio sul calo di efficacia dei vaccini e nel caso specifico di Pfizer. Del resto la stessa azienda americana ha da tempo fatto presente che "per ristabilire la massima efficacia protettiva" un booster si sarebbe reso necessario probabilmente a 8-10 mesi dalla seconda dose. Ma se la stessa Pfizer spinge per il richiamo, molti esperti continuano a ritenere che parlare di terza dose è ancora prematuro. Per Matteo Bassetti ad esempio il booster si renderà necessario solo per le persone più fragili come per gli immunodepressi o i malati oncologici. "Non si farà una terza dose di massa, ma una terza dose selettiva" ha affermato l’infettivologo del San Martino di Genova precisando che "anche definire il 'quando' è importante. Una terza dose a un anno di distanza sarebbe un 'richiamo', come quello che facciamo per l'influenza".

Guido Forni, già professore ordinario di Immunologia all'Università di Torino e accademico dei Lincei, ha osservato che "potrebbe diventare necessario partire con la terza dose a gennaio-febbraio". Per quali categorie? "Alcuni dati preliminari suggeriscono che, specialmente dopo i 60-65 anni, la memoria immunitaria potrebbe durare meno di un anno". Insomma, sulla durata dell’immunità, per ora, si naviga a vista.   

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