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Giovedì, 25 Aprile 2024
Il referendum sull'aborto legale / San Marino

Perché il referendum sull'aborto a San Marino riguarda tutti noi

Promosso dall'Unione Donne Sammarinesi, potrebbe rivoluzionare il modo in cui le donne possono accedere all'interruzione volontaria di gravidanza dopo 150 anni

Il giorno in cui San Marino potrebbe rivoluzionare il modo in cui le donne possono accedere all’interruzione volontaria di gravidanza si avvicina. Domenica 26 settembre i cittadini del Titano sono chiamati a votare il referendum storico sulla depenalizzazione dell’aborto, e se vincesse il sì, per la prima volta dopo 150 anni le donne sammarinesi avranno la possibilità (con una legge adeguata) di interrompere volontariamente una gravidanza entro la dodicesima settimana di gestazione, e anche successivamente, in caso di pericolo di vita per la donna o in caso di anomalie e malformazioni del feto che ne metterebbero a rischio la salute, senza rischiare il carcere.

San Marino e l'aborto punito col carcere

A San Marino, infatti, l’aborto è illegale e viene punito con la prigionia di secondo grado (da sei mesi a tre anni) sia per la donna che si procura l’aborto, sia per chi vi concorre o chi lo procura senza il suo consenso (all’articolo 153). L’articolo 154 disciplina invece l’aborto “per motivo d’onore”, che viene punito con la prigionia di primo grado (da tre mesi ad un anno), e che riguarda la donna libera dal vincolo matrimoniale. Queste leggi risalgono al 1865, e sono arrivate più o meno invariate sino a oggi, passando relativamente “sotto traccia” visto che le donne di San Marino, microstato incuneato tra le Marche e l’Emilia Romagna, in caso di necessità hanno superato i confini rivolgendosi a ospedali vicini in cui viene applicata la legge italiana e non quella di San Marino.

Il fatto che le donne siano riuscite ad aggirare in qualche modo il codice penale di San Marino non cambia però la realtà dei fatti: a oggi la donna che ricorre all’interruzione volontaria di gravidanza nel territorio rischia il carcere. E come spesso accade proprio le donne hanno portato avanti una battaglia che dura ormai da anni per cambiare le cose. Sono state le attiviste dell’Unione Donne Sammarinesi, associazione femminista nata negli anni ’70, a raccogliere le firme necessarie a proporre il referendum, e sempre loro hanno condotto una campagna informativa e di sensibilizzazione per spiegare l’importanza del referendum e della vittoria del sì.

La battaglia dell'Unione Donne Sammarinesi

L’Unione Donne Sammarinesi aveva intrapreso a inizio anno un percorso per arrivare alla legalizzazione e depenalizzazione dell’aborto, deliberando il 7 gennaio in favore del referendum. A marzo del 2021 il Collegio Garante di San Marino aveva emesso la sentenza di ammissibilità del quesito referendario, e a maggio erano state consegnate le firme: il bilancio è stato di 3.028 firme autenticate e 251 firme di residenti e sostenitori.

“L’aborto deve essere l’ultima scelta, ma deve essere sicuro, legale e accessibile - spiegano le attiviste dell'Uds - Rimanendo reato penale, l’aborto non sparirà, la storia lo dimostra. Nessun contraccettivo è efficace al 100% e le donne affrontano gravidanze indesiderate ogni giorno. Le coppie divorziano, esiste la violenza domestica e sessuale, gli uomini a volte spariscono. Possono presentarsi problemi di salute inaspettati o problemi economici. Può succedere di tutto. Quando queste cose succedono in un Paese dove l’aborto è illegale, le donne troveranno il modo di abortire. Alcune andranno all’estero dove l’aborto è legalizzato. Altre meno abbienti e minorenni cercheranno di assumere farmaci per indurre un aborto spontaneo, proveranno a farlo da sole, cercheranno servizi illegali a basso costo, sempre disponibili a soddisfare la domanda. Altre acquisteranno sul mercato nero la pillola abortiva RU486, come avviene a Malta, dove l’aborto è illegale. Nel 2021 gli aborti clandestini in Italia sono ancora 10.000-13.000 all’anno, complice un sistema che permette troppi obiettori negli ospedali. Le donne troveranno sempre un modo per abortire. Una donna è disposta a rischiare la vita per non avere un figlio, così come è disposta a rischiare la vita per avere un figlio. Non c’è alcuna differenza”.

La campagna referendaria è partita qualche settimana fa, e ha visto da un lato l’Unione Donne Sammarinesi, impegnate a portare avanti la loro causa (e quella di tutte le donne) con incontri, dibattiti e manifesti, dall’altro i comitati anti-aborto, che hanno risposto in maniera molto simile. Non sono mancati momenti di tensione, ma le attiviste dell’Uds, ormai vicine al primo traguardo - il voto in sé - non hanno mollato. E guardano avanti, illustrando nel dettaglio il progetto di legge di iniziativa popolare già presentato nel 2019.

Ciò che vogliono, spiegano, è una legge che “attui nella maniera più efficace ed estesa la prevenzione delle gravidanze indesiderate, per ridurre quanto più possibile il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza”, con “accesso facile e gratuito ai più moderni contraccettivi femminili e maschili, anche quelli d’emergenza, la spirale gratuita, l’educazione sessuale nelle scuole, campagne informative anche per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili”, una legge che preveda una regolamentazione precisa dell’interruzione volontaria della gravidanza chiedendo la piena collaborazione della classe medica nella stesura del testo e che preveda sì l’obiezione di coscienza, a patto però che non ostacoli l’accesso all’aborto “a chi faccia richiesta nei termini previsti dalla legge, evitando le storture che si verificano oggi in Italia e che hanno reintrodotto l’aborto clandestino”.

Perché il referendum di San Marino riguarda tutti

La campagna per il sì si è chiusa venerdì, e prima di entrare in silenzio elettorale l’Uds ha voluto fare un bilancio non dei mesi, ma degli anni intensi e complessi che hanno portato al 26 settembre: “È stata per noi un’esperienza ricca di momenti di condivisione con la cittadinanza, anche commoventi. Abbiamo raccolto le storie di donne, coppie e famiglie lasciate sole in un momento difficile della loro vita. Il silenzio, l’indifferenza, l’abbandono e l’ipocrisia non giovano ad un Paese moderno, democratico e responsabile. Con questo Referendum stiamo provando a cambiare le cose perché pensiamo sia giunto il momento, anche se con molto ritardo - spiegano - L’interruzione volontaria di gravidanza è un fenomeno reale e solo con la gestione, la conoscenza, la tutela e la prevenzione è possibile accogliere le donne e le coppie e fornire loro tutti gli strumenti per una scelta consapevole e responsabile da cittadini meritevoli di diritti e non di criminalizzazione. La galera non è una risposta, e sicuramente non è stata una risposta efficace visto che i dati parlano di una media di 100 aborti ogni 5 anni. Non è più possibile girare la testa dall’altra parte. Per noi non è più accettabile”.

La mobilitazione delle attiviste di San Marino, insomma, ha fatto la differenza. Quantomeno per dare una scelta ai cittadini, e consentire loro - alle donne in primis - di decidere se cambiare o meno lo status quo. E anche se San Marino è abitato da poco più di 33.000 persone, l’esito di questo referendum contribuirà a fare la storia, come già accaduto in Argentina, dove la “marea verde femminista” nel dicembre del 2020 si è riversata in piazza durante la discussione e il voto al Senato della legge per legalizzare l’aborto, festeggiandone l’approvazione.

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