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Martedì, 28 Marzo 2023
Le motivazioni della Cassazione

Regeni, stop al processo: "Un procedimento giusto, anche se crimine efferato"

I giudici della Cassazione hanno reso note le motivazioni della sentenza con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro lo stop del processo sulla morte del giovane italiano, torturato e ucciso in Egitto nel 2016

Il caso Regeni merita un "processo giusto". Ne sono convinti i giudici della prima sezione penale della Cassazione, che sottolineano l'importanza di un corretto procedimento nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 15 luglio è stato dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Roma contro lo stop del processo sul caso Regeni, deciso dal gup (e prima ancora dalla Corte di Assise di Roma), nei confronti dei quattro 007 egiziani imputati per l’omicidio del ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso in Egitto nel 2016: ''Il perseguimento delle condotte criminose, anche se efferate e ignominiose quali quelle oggetto di imputazione, devono passare, in uno Stato di diritto, attraverso il rispetto delle regole del giusto processo regolato dalla legge, che si svolga nel pieno ed effettivo contraddittorio tra le parti". "Quanto precede - spiegano i supremi giudici - consente dunque di escludere che nel caso di specie possa ipotizzarsi, e comunque ritenersi sussistente, la dedotta abnormità dell'ordinanza impugnata e dei provvedimenti che ne costituiscono il presupposto, che risultano pertanto insuscettibili di impugnazione".

La mancata collaborazione tra Italia ed Egitto

Uno dei nodi chiave, secondo i giudici, riguarda i difficili rapporti tra Italia ed Egitto: "La problematica che incide sulla cooperazione tra Stati e sulla ingiustificata mancanza di collaborazione dell'Autorità giudiziaria egiziana, che fa da sfondo alle censure svolte, è estranea all'esercizio dell'attività giudiziaria che si esplica applicando correttamente il diritto positivo sulla base di una interpretazione conforme a diritto e vincolante, quale è quella espressa dalla Corte di cassazione italiana nella sua più alta formazione. Il superamento della rappresentata situazione, impeditiva della partecipazione degli imputati al processo, per il cui svolgimento sussiste la giurisdizione italiana, tenuta ad applicare senza strappi il tessuto normativo, garantista e rispettoso dei diritti di tutte le parti processuali secondo le coordinate interpretative consegnate, in tema di giudizio in assenza, dalle Sezioni Unite, appartiene alle competenti Autorità di governo – sottolineano i supremi giudici - anche alla luce degli obblighi di assistenza e cooperazione per le stesse discendenti dalle Convenzioni internazionali, e, tra queste più specificamente, da quella contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, conclusa a New York il 10 dicembre 1984, ratificata dall'Italia con legge del 3 novembre 1988, e dall'Egitto il 25 gennaio 1986".

Gli imputati e il processo

Inoltre, sempre secondo le motivazioni della Cassazione, esiste la possibilità che gli imputati non siano a conoscenza di un procedimento a loro carico, anche se di rilevanza internazionale: ''Immune da vizi logici o giuridici deve ritenersi la valutazione, giustificata in modo assai ampio e articolato dalla Corte di assise, secondo la quale le qualifiche soggettive degli imputati all'interno delle forze di polizia o degli apparati di sicurezza egiziani, la partecipazione di alcuni di essi al team egiziano incaricato di collaborare con gli inquirenti italiani nel caso Regeni, il fatto che alcuni di loro siano stati in quella sede sentiti quali persone informate dei fatti circa le indagini svolte in Egitto, e la rilevanza mediatica, anche internazionale, del processo italiano non sono concludenti al fine di ritenere raggiunta la certezza della conoscenza da parte degli imputati del processo a loro carico"

"Corretta, congrua e priva di profili di illogicità - proseguono i supremi giudici - appare al riguardo la motivazione di detti provvedimenti là dove, tra l'altro, indica che i primi elementi sono precedenti all'esercizio dell'azione penale in Italia a carico degli imputati e ritiene congetturali e basate su indimostrate presunzioni le opposte valutazioni del Pubblico ministero circa una necessaria e generalizzata osmosi informativa all'interno dei servizi di sicurezza egiziani, ovvero in ordine alla necessaria conoscenza che gli stessi imputati avrebbero in ogni caso tratto dai media internazionali, in particolare da quelli in lingua inglese o araba, circa le precise cadenze del processo instaurato in Italia nei loro confronti. Specularmente - concludono i giudici della Cassazione - non può in alcun modo ritenersi che la certa conoscenza delle accuse e della vocatio in iudicium possa annettersi a quegli stessi dati fattuali, che l'ordinanza del 25 maggio 2021 del Gup di Roma aveva posto a base della dichiarata assenza degli imputati ai fini del loro rinvio a giudizio".

"Paralisi processuale a causa di fattori esterni"

La "pretesa ‘paralisi processuale" sul caso Regeni "non deriva dai provvedimenti giudiziari esaminati ma da fattori esterni al processo - scrivono i giudici - Deve ritenersi non rilevante e manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità proposto dal Procuratore generale requirente in riferimento agli artt, 420-bis, comma 2, ultimo periodo, e 420-quater codice di procedura penale, nella parte in cui prevede la sospensione del processo, si sostiene, anche in caso di impossibilità non reversibile di notificare l'avviso dell'udienza all'imputato, che abbia comunque acquisito conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo, cui consegue una situazione di paralisi processuale per un tempo indefinito - scrivono i supremi giudici - La questione, infatti, da un lato presuppone che gli imputati abbiano comunque acquisito conoscenza del procedimento o si siano sottratti alla conoscenza dello stesso procedimento o di suoi atti, dato questo escluso nel presente giudizio''.

''D'altro lato, tende a provocare il superamento dell'attuale sistema, frutto di lunga e progressiva elaborazione normativa e di consolidata interpretazione giurisprudenziale, anche in sede europea, maturate proprio al fine di renderlo conforme alle esigenze convenzionali e costituzionali. Così facendo – concludono i giudici della Cassazione - prefigura il superamento, in via giudiziaria, di una pretesa ‘paralisi processuale’, che, nel caso di specie, non deriva dai provvedimenti giudiziari esaminati ma da fattori esterni al processo".

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