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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Le altre sette Regioni che rischiano la zona rossa o arancione

Ci sono altri territori classificati come a rischio alto nel report dell'Istituto Superiore di Sanità e del ministero della Salute. Queste aree potrebbero finire in una stretta se i numeri peggiorano. O se il governo rende più stringenti i parametri che decidono le restrizioni

Oltre a Lombardia, Calabria, Veneto, Emilia-Romagna e Sicilia ci sono altre sette regioni classificate a rischio alto nel report dell'Istituto Superiore di Sanità e del ministero della Salute. Questi territori potrebbero trovarsi in zona arancione la prossima settimana dopo il nuovo monitoraggio o in conseguenza del nuovo Dpcm e del decreto legge che cambieranno le regole sulle aree rosse, arancioni e gialle. Mentre quelle passate in area arancione potrebbero subire un peggioramento delle restrizioni se i dati della prossima settimana, che includeranno i contagi delle festività, registrassero un aumento dell'Rt oltre la soglia di 1,25 e il peggioramento degli altri parametri.

Le altre sette Regioni che rischiano la zona rossa o arancione

Le altre sette regioni che rischiano la zona rossa o arancione sono quelle che nel monitoraggio della fase 2 dell'Iss hanno un classificazione complessiva di rischio alta. E sono Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia e Umbria. Anche la provincia autonoma di Trento e quella di Bolzano sono classificate come zona di rischio alta, mentre il Molise è considerato "ad alto rischio di progressione" e in area "moderata" ci sono Abruzzo, Basilicata, Campania, Sardegna e Valle d'Aosta. L'unica regione con un'area classificata come "bassa" è la Toscana. I punti-chiave del report dell'Istituto, che hanno come periodo di riferimento la settimana tra il 28 dicembre e il 3 gennaio, dicono che la situazione epidemiologica del paese è in peggioramento, l’incidenza a 14 giorni torna a crescere dopo alcune settimane di decrescita, aumenta anche l’impatto della pandemia sui servizi assistenziali e questo si traduce in un aumento generale del rischio. In particolare:

  • l’indice di trasmissione nazionale è in aumento per la quarta settimana consecutiva e, per la prima volta dopo sei settimane, sopra uno. Tre regioni hanno un Rt puntuale significativamente maggiore di 1 (Calabria, Emilia Romagna e Lombardia), altre 6 lo superano nel valore medio (Liguria, Molise, Sardegna, Sicilia, Umbria, Valle d’Aosta), altre 4 hanno un valore uguale (Puglia) o che lo sfiora (Lazio, Piemonte, Veneto). Una regione (Veneto) mostra un tasso di incidenza particolarmente elevato, rispetto al contesto nazionale;
  • si osserva, dopo alcune settimane di diminuzione, nuovamente un aumento dell’incidenza a livello nazionale negli ultimi 14 gg (313,28 per 100.000 abitanti (21/12/2020-03/01/2021) vs 305,47 per 100.000 abitanti (14/12/2020 – 27/12/2020), dati flusso ISS). Si evidenzia, in particolare, il persistente valore elevato di questo indicatore nella Regione del Veneto (927,36 per 100.000 abitanti negli ultimi 14 gg);
  • l’incidenza su tutto il territorio è ancora lontana da livelli che permetterebbero il completo ripristino sull’intero territorio nazionale dell’identificazione dei casi e tracciamento dei loro contatti. Il servizio sanitario ha mostrato i primi segni di criticità quando il valore a livello nazionale ha superato i 50 casi per 100.000 in sette giorni e una criticità di tenuta dei servizi con incidenze elevate; 
  • nel periodo 15 – 28 dicembre 2020, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 1,03 (range 0,98 – 1,13) in aumento da quattro settimane e per la prima volta, dopo sei settimane, sopra uno.

Tutto questo, secondo l'Iss, si traduce in "un aumento complessivo del rischio di un’epidemia non controllata e non gestibile dovuto ad un aumento diffuso della probabilità di trasmissione di SARS-CoV-2 sul territorio nazionale in un contesto in cui l’impatto sui servizi assistenziali è ancora alto nella maggior parte delle Regioni/PPAA". E questo nonostante la settimana sia stata caratterizzata da un numero basso di tamponi a causa dei giorni festivi. 

Come il nuovo Dpcm e il decreto in arrivo cambieranno le regole per le regioni in zona rossa e arancione

Le "misure più stringenti" in arrivo nelle regioni 

Per questo l'Iss nota che l’epidemia si trova "in una fase delicata che sembra preludere a un nuovo rapido aumento nel numero di casi nelle prossime settimane, qualora non venissero definite ed implementate rigorosamente misure di mitigazione più stringenti". Quali? In primo luogo è probabile che il governo, nel nuovo Dpcm o nel prossimo decreto legge che sostituirà le norme in scadenza il 15 gennaio, cambi ulteriormente i parametri per le zone gialle, arancioni e rosse. In particolare potrebbe arrivare un cambiamento legato all’incidenza di casi per centomila abitanti: quando una Regione avrà più di 250 casi alla settimana ogni centomila abitanti entrerà direttamente in zona rossa. In più, potrebbero cambiare le regole interne delle zone, in particolare per quella gialla che in Veneto (e anche in altre regioni) non ha evidentemente funzionato a dovere. Una delle idee sul tavolo del governo è anche quella di cancellare la deroga per le visite agli amici e ai parenti nelle zone arancioni o rosse. A chiedere maggiori restrizioni è anche l'epidemiologo e oggi assessore alla Sanità in Puglia Pier Luigi Lopalco: "In molte regioni italiane il colore arancione ha funzionato in autunno. Coprifuoco, chiusura al pubblico di bar e ristoranti e limitazioni allo spostamento fra comuni ha sortito il positivo effetto di limitare i contatti sociali non essenziali. Siamo in piena seconda ondata. Il virus circola in tutto il Paese più o meno con la stessa intensità. Non sarebbe stato meglio fissare un bel colore arancione omogeneo in tutto il Paese senza tanti arzigogoli, almeno fino ad ottenere una stabilizzazione della fase discendente della curva epidemica in tutte le regioni?". 

E anche Alessio D'Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio, mette in guardia: "Il Lazio è l'unica delle grandi regioni ad essere rimasta sempre gialla. È un buon risultato, ma vorrei che fosse chiaro che non è un liberi tutti, visto che oggi siamo gialli, ma la prossima volta potremmo già essere arancioni", afferma in una intervista a Il Messaggero affermando che "servono comportamenti molto rigorosi, la situazione è seria". "Questo giallo - continua D'Amato - non è un liberi tutti, ma paradossalmente ci impone ancora più rigore, più attenzione. Essendo rimasti sempre in fascia gialla non abbiamo beneficiato, paradossalmente, delle limitazioni che hanno aiutato altre regioni arancioni o rosse". Secondo l'assessore, "la curva dei contagi ha una direzione verso l'alto, ma può essere ancora gestita. Dipende molto dal rigore dei comportamenti. C'è sempre da considerare il difficile equilibrio tra le garanzie della salute e tutto ciò che comportano in termini economici e sociali nuove chiusure". 

D'altro canto è proprio la regione di Luca Zaia a costituire la case history più interessante. Dopo aver vissuto la prima ondata in maniera migliore rispetto ai territori vicini, è stato travolto dalla seconda ondata tanto che il governatore immaginava un immediato futuro in zona rossa e non in arancione come alla fine ha deciso ieri il ministro della Salute Roberto Speranza. I numeri, riepilogati da Repubblica oggi, sono impressionanti: 2.549 ricoverati con sintomi, 357 in terapia intensiva, l’incidenza schizzata nelle ultime due settimane a 927 positivi ogni 100 mila abitanti (la media nazionale è 313), l’indice Rt che sfiora l’1, l’aumento record dei decessi arrivati a 7.263 (erano 2.075 a luglio). Nell’indagarne le cause Luciano Flor, direttore generale della Sanità veneta, individua un arco di tempo di trenta giorni, dal 20 ottobre al 20 novembre, in cui la curva del contagio si è impennata. E sotto accusa, spiega il quotidiano, ci sarebbero le otto mutazioni del virus di cui cinque sono comuni al resto d’Italia, due di entità minore sono “autoctone”, una è la variante inglese. "Ne dobbiamo concludere che la carica virale, almeno da queste parti, è più forte che altrove", chiosa Flor. "Se a questo si aggiungono gli effetti collaterali dell’apertura delle scuole, una spiegazione ce l’abbiamo".

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