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Venerdì, 29 Marzo 2024
Il compromesso

Quelli che rinunciano al lavoro pur di non fare il vaccino (o tamponi ogni due giorni)

Negli Usa le compagnie aeree si preparano a licenziare i dipendenti no vax, in Italia scattano le sospensioni per i lavoratori senza Green pass, mentre c'è chi è pronto a rinunciare al posto pur di portare avanti la propria battaglia

Dal prossimo 15 ottobre il Green pass diventerà obbligatorio per i lavoratori, sia pubblici che privati. Dagli dipendenti d'ufficio a colf e badanti, la certificazione diventerà necessaria per svolgere la propria attività lavorativa, anche se con qualche piccola eccezione per i liberi professionisti, come idraulici ed elettricisti, che non saranno obbligati a mostrare il pass. Anche i lavoratori in smart working non saranno tenuti ad avere il Green pass ma, come precisato anche da Palazzo Chigi, il ricorso al ''lavoro agile'' non deve essere un trucco per eludere l'obbligo. 

Un obbligo che già prima della sua entrata in vigore è scatenato un'ondata di polemiche, dando vita ad un fronte contrario, ai vaccini e alla certificazione verde. Infatti, la prima prerogativa per ottenere il pass è essersi sottoposti alla vaccinazione contro il coronavirus, una richiesta ''inaccettabile'' per la fronda no vax, che di conseguenza percepisce l'obbligo di Green pass come una velata costrizione al vaccino. L'alternativa per ottenere la certificazione verde senza sottoporsi alla vaccinazione è quella di effettuare tamponi praticamente ogni 48 ore, una strategia che alla lunga potrebbe rivelarsi a dir poco dispendiosa. Per questo motivo, tra no vax e no green pass, esiste una fazione di lavoratori pronta a tutto per far valere le proprie ragioni e il proprio pensiero, anche a perdere il posto di lavoro. 

United Airlines licenzia 593 dipendenti no vax

Uscendo per un attimo dai nostri confini, sta facendo molto discutere la decisione della United Airlines di licenziare 593 dipendenti che hanno rifiutato il vaccino anti Covid-19. I lavoratori erano stati invitati a sottoporsi alla vaccinazione nel mese di agosto, con il 99% dei dipendenti statunitensi che aveva accettato di buon grado il compromesso, esclusa una piccola percentuale di lavoratori esentati per motivi religiosi o sanitari, che invece verranno messi in congedo temporaneo dal 2 ottobre. I 593 a rischio avranno adesso cinque settimane di tempo per sottoporsi al vaccino, altrimenti perderanno il posto di lavoro. Negli Stati Uniti non si tratta dell'unico caso di compagnie aeree che impongono la vaccinazione al personale: la Delta prevede di iniziare a far pagare i dipendenti non vaccinati sul piano sanitario della società un supplemento di 200 dollari ogni mese, a partire dal 1 novembre, mentre American Airlines e Southwest Airline hanno esplicitamente invitato i lavoratori a vaccinarsi. 

Cosa succede in Italia

Nonostante il caso della United Airlines possa sembrarci lontano geograficamente, la vaccinazione come requisito per lavorare, seppur non esplicito, ha scatenato i primi casi di lavoratori preferiscono diventare disoccupati piuttosto che sottostare a questo ''ricatto''. In prima battuta va chiarita una cosa: in Italia, non essendoci l'obbligo vaccinale, non può scattare il licenziamento automatico per chi rifiuta il vaccino, come confermato da Rosario De Luca, presidente di Fondazione studi dei consulenti del lavoro: "Nell'attuale sistema giuridico italiano, non è possibile individuare una norma che faccia scattare il licenziamento automatico in caso di mancata vaccinazione. Per ottenere questo risultato, è dunque necessario un intervento normativo ad hoc, che innovi la materia, superando anche i vincoli della tutela della privacy da più parti invocata". 

Un discorso a parte lo meritano medici, infermieri e sanitari, per cui il ministero della Salute è stato piuttosto chiaro: ''La vaccinazione anti-Covid degli operatori sanitari è un requisito imprescindibile per svolgere l'attività professionale. È necessaria per le nuove iscrizioni all'albo, e deve permanere nel tempo, in ogni fase, pena la sospensione dall'esercizio della professione. Pertanto, la sospensione ex lege dall'esercizio dell'attività professionale per la mancata vaccinazione non può che considerarsi come sospensione tout court, e non limitata alle attività a contatto con le persone". E non solo, il Ministero ha sottolineato anche che per i non vaccinati sospesi, "un eventuale ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (Cceps) non potrà avere, in nessun caso, effetto impeditivo dell'applicazione di questa sospensione, che non è una sanzione disciplinare''.

Le sentenze: "Sospensione legittima"

Un chiarimento reso necessario dopo i numerosi casi arrivati, un po' da tutto lo Stivale, di sanitari sospesi dopo aver rifiutato il vaccino. Molti di loro si sono rivolti alla giustizia per ottenere nuovamente il posto, ma con scarsi risultati. Ad esempio, è dello scorso 2 agosto la sentenza del Tribunale di Terni, sezione Lavoro, che ha respinto il ricorso di una operatrice sanitaria, dipendente di una cooperativa locale, che era stata sospesa dal servizio, senza stipendio, per aver deciso di non vaccinarsi nel febbraio scorso. Una sospensione e non licenziamento, ritenuta legittima dai giudici, che non sono entrati nel merito delle valutazioni personali del lavoratore sui vaccini: la decisione è infatti prettamente tecnica e collegabile alla necessità, in un periodo di pandemia, di garantire la sicurezza del servizio rivolto agli anziani affidati alla cooperativa. 

Un esito simile a quello contenuto nell'ordinanza del 28 luglio scorso del Tribunale di Roma, che ha chiarito ''che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, fino a eventuale revisione del giudizio di idoneità o cessazione delle limitazioni, non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi al vaccino da parte del lavoratore impiegato in attività per le quali non sussiste l’obbligo della vaccinazione. Al contrario, è un legittimo provvedimento che il datore di lavoro può adottare, nel caso in cui un medico competente abbia rilevato delle limitazioni nell’esecuzione della prestazione lavorativa e non ci siano altre attività da poter assegnare al lavoratore''. 

Tradotto: secondo il Tribunale di Roma, il datore può sospendere il lavoratore non vaccinato e la sua retribuzione fino ad un nuovo giudizio o fino al termine delle limitazioni, a meno che non abbia altre attività da potergli assegnare che siano compatibili con la sua condizione. Nel caso in oggetto si trattava di un lavoratore che non svolgeva una professione sanitaria, le cui mansioni prevedevano però il contatto con gli ospiti fragili di una residenza assistenziale: per questo motivo la mancata vaccinazione comportava dei rischi per gli utenti tali da rendere legittima la limitazione del dipendente non vaccinato. C'è un aspetto che va chiarito e che le sentenze tengono a sottolineare con fermezza: il provvedimento di sospensione non è una sanzione disciplinare per il rifiuto a vaccinarsi, ma una misura che il datore di lavoro è obbligato ad adottare per garantire la protezione della salute rientra tra gli obblighi previsti dall’art. 2087 c.c. e dal D.Lgs. n. 81/2008. 
Due esempi recenti che fanno seguito ad altre sentenze sulla medesima linea.

Chi rinuncia al lavoro

Oltre a chi rischia la sospensione, c'è poi chi decide di sua spontanea volontà di rinunciare al lavoro, come successo per l'insegnante originaria di Pordenone che dopo 17 anni di lavoro nel mondo della scuola ha deciso di rinunciare alla cattedra e di licenziarsi perché contraria al vaccino e al green pass, adesso obbligatorio per docenti e personale Ata: ''La coerenza è virtù - ha spiegato - Non navigo nell’oro e non ho rendite. Mi mancheranno molto gli studenti ma la priorità è quella di una scelta etica. Credo fermamente che debba essere garantita la libertà di opinione e scelta''.

Una storia molto simile a quella della maestra di Cesena che ha lasciato il suo posto nella scuola elementare con una lettera per i suoi studenti, in cui ha spiegato le motivazioni della sua scelta. La docente, contraria al Green pass, ha inviato il messaggio nella chat dei genitori ma rivolgendosi ai bimbi, definendosi ''ribelle'' e citando una favola raccontata in classe: ''Non accetto di esibire nessuna certificazione - ha scritto - e se lo facessi non avrei più il coraggio di guardarvi negli occhi''. La lettera della maestra ha immeiatamente fatto il giro dei quotidiani e dei social provocando critiche, polemiche e reazioni, fino a quella dell'Ordine dei medici di Forlì-Cesena, che lo ha definito ''un messaggio pessimo''.

I Green pass che scadono e i controlli 

Come detto però, si può ottenere il Green pass evitando il vaccino, effettuando i tamponi ogni volta che ci si reca sul posto lavoro. Un'alternativa osteggiata per i suoi costi e che rischia anche di provocare dei cortocircuiti dovuti alla durata di 48 ore della sua validità. A Riccione e in provincia di Viterbo due insegnanti sono state allontanate dalla classe durante la lezione perché il Green pass era scaduto. 

In questo contesto di incertezza si inserisce anche il tema tema dei controlli, nel privato e nel pubblico, con la certificazione che, come chiarito dal Dl 127/2021, deve essere verificata ogni giorno, visto che per tutelare la privacy il datore di lavoro non può tenere un registro nel quale sia indicato quanti dipendenti siano vaccinati e quale sia la scadenza del green pass. 

Cosa rischia un lavoratore senza Green pass?

Ma quindi cosa succede ad un lavoratore senza Green pass? Come chiarito dal decreto, il dipendente sprovvisto del certificato verde non potrà accedere al luogo di lavoro, con l'assenza che verrà considerata ingiustificata, senza compenso o retribuzione. Come specificato anche in precedenza, si tratta di sospensione e non di licenziamento, il decreto chiarisce l'assenza di conseguenze disciplinari e il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro: una misura che rimane quindi temporanea ma che non potrà certo protrarsi all'infinito. Invece, i lavoratori senza Green pass che accedono comunque al posto di lavoro rischiano una sanzione amministrativa da 600 a 1.5000 euro e possibilità, in questo caso, di subire le conseguenze disciplinari previste dai rispettivi ordinamenti di appartenenza. 

Come testimoniato dai casi delle due insegnanti, in assenza dell'obbligo vaccinale o di una norma ad hoc, la perdita definitiva del posto di lavoro avviene soltanto in seguito ad una decisione dello stesso dipendente. Per gli altri il rischio è quello di una sospensione senza stipendio, una condizione che non tutti possono permettersi, così come l'acquisto sistematico di tamponi. L'intenzione del Governo sembra quella di cercare di convincere ''con le buone'' gli indecisi sull'efficacia dei vaccini, i cui effetti benevoli sulla pandemia sono sotto gli occhi di tutti, ma esisterà continuerà ad esistere una parte della popolazione che continuerà a non credere ai dati ufficiali in virtù di dubbi e convinzioni personali (che possono essere condivise o no), arrivando anche a rischiare di perdere il posto di lavoro pur di perseguire le proprie idee. Idee che però non devono, mai e in nessun modo, mettere a repentaglio la salute delle altre persone. 

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