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Venerdì, 29 Marzo 2024
Buco nero sanità

Siamo il Paese del G7 che spende meno per la sanità

I dati della Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale: "Poco è cambiato rispetto all'era pre Covid" Le risorse stanziate sono state assorbite dalla pandemia e un lungo elenco di problemi sono rimasti irrisolti

Nel 2021 la spesa pubblica pro capite per la sanità in Italia è stata notevolmente sotto la media europea. Con 3.052 dollari per cittadino rispetto a 3.488 della media dei Paesi Ocse (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) siamo, infatti, al sedicesimo posto. Siamo ultimi tra i Paesi del G7. Il dato emerge dal quinto rapporto Gimbe sul Servizio sanitario nazionale. "Poco è cambiato rispetto all'era pre Covid. Impietoso il confronto con i Paesi del G7 sulla spesa pubblica: dal 2008 siamo fanalino di coda con gap sempre più ampi e oggi divenuti incolmabili", sottolinea Nino Cartabellotta, presidente Gimbe.

Soldi pubblici assorbiti dal Covid

Rispetto agli 8,2 miliardi del decennio 2010-2019, il finanziamento pubblico per la sanità dal 2020 a oggi è passato da 113.810 miliardi a 124.960 miliardi, un aumento di ben 11,2 miliardi di cui 5,3
miliardi assegnati con decreti Covid. "Se formalmente la stagione dei tagli alla sanità può
ritenersi conclusa – precisa Cartabellotta – è evidente che il netto rilancio del finanziamento pubblico è stato imposto dall’emergenza pandemica e non dalla volontà politica di rafforzare in maniera strutturale il Sistema sanitario nazionale". Le previsioni del DEF 2022 e della NaDef 2022 per il triennio 2023-2025 indicano una riduzione della spesa sanitaria media del’1,13% per anno e un rapporto spesa sanitaria/pil che nel 2025 precipita al 6,1%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. spesa ocse-2

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Problemi irrisolti

Nonostante le maggiori risorse investite, il confronto internazionale restituisce risultati simili
a quelli dell’era pre-Covid. Nel 2021 la spesa sanitaria totale in Italia è sostanzialmente pari alla media Ocse in termini di percentuale di pil (9,5% vs 9,6%), ma inferiore come spesa pro-capite (4.038 dollari contro 4.435 dollari).

La pandemia ha confermato il cagionevole stato di salute del sistema sanitario "Tuttavia se nel pieno
dell’emergenza tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare e rilanciare il sistema sanitario nazionale – dice Cartabellotta – progressivamente la sanità è stata nuovamente messa all’angolo, come emerge anche dalla recente analisi Gimbe sui programmi elettorali".

Patologie e fattori ambientali che condizionavano lo stato di salute del sistema nell’era pre Covid sono rimasti sostanzialmente irrisolti, fatta eccezione per il netto rilancio del finanziamento pubblico, che l’emergenza sanitaria ha al tempo stesso imposto ed eroso. "Peraltro, se oggi la pandemia non ha ancora mollato la presa – precisa Cartabellotta – presenta già il conto dei suoi effetti a medio-lungo termine": dal ritardo nell’erogazione di prestazioni chirurgiche, ambulatoriali e di screening che hanno ulteriormente allungato le liste di attesa, all’impatto sul sistema sanitario di nuovi bisogni di salute, in particolare long Covid e salute mentale. C'è poi l'indebolimento del personale sanitario: pensionamenti anticipati, burnout e demotivazione, licenziamenti volontari e fuga verso il privato lasciano sempre più scoperti settori chiave del sistema, in particolare i pronto soccorso, e deserti i numerosi concorsi. "Per far fronte alla domanda di personale si ricorre così ad insolite modalità: cooperative di servizi, reclutamento di medici in pensione e chiamate di medici dall’estero", si legge nel report. "Considerato che i consistenti investimenti per nuovi specialisti e medici di famiglia daranno i loro frutti non prima rispettivamente di 5 e 3 anni – spiega il presidente – il nodo del personale sanitario è entrato nella sua fase più critica che richiede soluzioni straordinarie in tempi brevi".

I livelli essenziali di assistenza

Un tasto dolente sono i Lea: ovvero i livelli essenziali di assistenza. Sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso le tasse. Per Gimbe "non si è mai concretizzato il loro aggiornamento continuo per mantenere allineate le prestazioni all’evoluzione delle conoscenze scientifiche". Non solo. Le nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica non sono esigibili su tutto il territorio nazionale perché il cosiddetto "decreto Tariffe" non è mai stato approvato per carenza di risorse economiche. Per Gimbe poi il nuovo sistema di garanzia, la "pagella" con cui lo Stato darà i "voti" alle Regioni, "non è affatto uno specchio fedele per valutare la qualità dell’assistenza". 

"A quasi sei anni dal decreto che ha istituito i nuovi Lea – precisa Cartabellotta – le diseguaglianze regionali, in termini di esigibilità di prestazioni e servizi a carico del servizio sanitario nazionale, non dipendono solo dalle capacità di erogazione delle Regioni, ma affondano nell’impianto istituzionale di aggiornamento e verifica dei Lea. Un impianto che richiede una profonda revisione di responsabilità, metodi e strumenti, perché l’esigibilità di servizi e prestazioni sanitarie in tutto il territorio nazionale non rimanga solo sulla carta".

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Regione che vai sanità che trovi

Uno dei temi al centro dell'attenzione è l'autonomia regionale. "La Fondazione Gimbe invita il nuovo Esecutivo a maneggiare con cura il regionalismo differenziato in sanità – puntualizza Cartabellotta – perché l’attuazione tout court delle maggiori autonomie richieste non potrà che esasperare le diseguaglianze regionali, ampliando il divario tra Nord e Sud del Paese".

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Gimbe chiede al prossimo Esecutivo non una "manutenzione ordinaria per una stentata sopravvivenza" del sistema sanitario, ma "riforme e innovazioni di rottura per il rilancio definitivo di un pilastro fondante della nostra democrazia". 

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