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Giovedì, 18 Aprile 2024

Fabrizio Gatti

Direttore editoriale per gli approfondimenti

Potevamo ridurre gli sbarchi del 40%. E non l'abbiamo fatto

Matteo Salvini o Carlo Nordio? Gli sbarchi dividono già il prossimo governo, se il centrodestra dovesse vincere le elezioni. Quello che non viene detto è che una corretta gestione dei flussi migratori, adeguandoli alle necessità di manodopera per realizzare i bonus edilizi, avrebbe ridotto l'immigrazione irregolare già quest'anno di almeno il 40 per cento. Quanto è accaduto nei primi otto mesi del 2022 lo dimostra. Ma, ancora una volta, abbiamo perso l'occasione. E molte imprese si sono dovute rivolgere al lavoro nero.

Nordio, ex magistrato candidato per FdI alla carica di ministro della Giustizia e quindi voce autorevole nel suo schieramento, ripropone la soluzione sperimentata dai governi di centrosinistra: fare accordi con gli Stati di partenza dei barconi. Un blocco navale militare davanti a Libia e Tunisia, come annunciato dalla leader della sua stessa coalizione, Giorgia Meloni, è infatti un piano irrealizzabile per varie ragioni, che renderebbe ancor più isolata la già debole politica estera italiana. 

Gli accordi con la Libia

Mantenere buoni rapporti con Tripoli e Tunisi è doveroso. Oggi però la Libia è sull'orlo di un nuovo conflitto armato tra milizie e la Tunisia è impoverita da una grave crisi economica e politica. Un nostro intervento diplomatico richiederebbe lucidità, strategia di lungo periodo e capacità di investimento umano ed economico.

C'è poi un capitolo di cui si parla di meno. Gli accordi libici dei governi di centrosinistra hanno nascosto un patto meno politico e più pragmatico, tanto che per metterlo in pratica sono stati incaricati i nostri servizi segreti: l'Italia avrebbe infatti pagato sottobanco milioni di euro alle organizzazioni di trafficanti più potenti, affinché fermassero le partenze, senza preoccuparsi troppo delle condizioni delle migliaia di persone rimaste nel frattempo bloccate al di là del mare. Con estrema semplificazione, è un po' come versare il pizzo al gangster del quartiere perché stia lontano dal negozio.

Anni fa, durante una lunga inchiesta sul campo, mi sono ritrovato a fare da autista per alcuni giorni a uno dei gangster tunisini che allora riempivano i barconi. E ho visto da vicino gli enormi interessi economici che ruotavano intorno alla sua attività criminale rispetto all'economia del luogo, un paese di pescatori a sud di Sfax. Pagare i trafficanti significa esporsi al loro ricatto ogni volta che in Italia cambia un governo (presto avremo il quarto in poco più di quattro anni). Oppure ogni volta che si incrina l'equilibrio in Libia e altre milizie armate pretendono la loro quota di denaro, facendo così partire nuove ondate di barconi. Due condizioni che, da quando Cinque Stelle, Forza Italia e Lega hanno fatto cadere il governo di Mario Draghi, si stanno verificando proprio in queste settimane.

Il blocco dei porti

L'unica soluzione alternativa finora immaginata dall'Italia è il metodo adottato da Matteo Salvini, nel suo precedente incarico di ministro dell'Interno: chiudere i porti italiani alle navi di soccorso, per rallentare le partenze dei barconi e indurre altri Stati europei a farsi carico dell'accoglienza. Nazioni come la Spagna, che ha una densità abitativa di 94 persone per chilometro quadrato, o la Francia con 103 abitanti per chilometro quadrato, contro i 196 abitanti dell'Italia e i 232 della Germania. È una soluzione semplificata che, come quella praticata dal centrosinistra, non tiene conto delle migliaia di persone bloccate in Libia in condizioni disumane, ma nemmeno ha bisogno di accordi internazionali o patti segreti.

La sfida di Salvini, anche in questa campagna elettorale, ha due punti di forza davanti ai suoi elettori. Il 2018 e il 2019, che in parte coincidono con il suo incarico di ministro, hanno registrato il minor numero di sbarchi rispetto agli anni precedenti e successivi: 23.370 persone nel 2018, di cui solo 12.977 provenienti dalla Libia e 11.471 nel 2019. Meno delle 181mila del 2016, delle 119mila del 2017, delle 34mila del 2020 e delle 67mila del 2021. Al primo settembre del 2022, sempre secondo i dati pubblicati dal ministero dell'Interno, siamo a 58.451 persone.

Gli schiavi del superbonus

I numeri degli arrivi non sono soltanto il risultato delle scelte di un governo. Dipendono anche dalla periodica gravità delle crisi che si affacciano sul Mediterraneo. Ma esistono soluzioni praticabili che tengano conto delle condizioni umane e non soltanto della statistica, oltre a quelle immaginate da Meloni, Nordio e Salvini?

Un suggerimento ci viene dalla nazionalità delle persone sbarcate quest'anno: oltre dodicimila sono cittadini tunisini e oltre undicimila egiziani. Sono soprattutto ragazzi e uomini che nel giro di qualche settimana dallo sbarco, come hanno rivelato alcuni casi di cronaca, vengono ingaggiati nei cantieri dei bonus edilizi. Il primo lavoro più richiesto riguarda i ponteggi: servono migliaia di braccia in tutta Italia per montare e smontare le impalcature in tempi rapidi. Poi viene il resto della filiera, dal manovale all'imbianchino.

L'occasione persa

Allora un Paese davvero legale, dopo aver approvato gli incentivi all'edilizia, avrebbe dovuto porsi un'altra domanda: se non troviamo nemmeno camerieri per i ristoranti, come è possibile che siano stati aperti cantieri ovunque? Da dove arrivano muratori, carpentieri, stuccatori? Quello che nessuno ammette è che ce li hanno forniti i trafficanti libici.

Gran parte di quei cittadini egiziani e tunisini - ventitremila su cinquantottomila - sarebbe potuta entrare legalmente, se fossero stati previsti permessi di soggiorno stagionali e a lungo termine adeguati alle necessità, all'urgenza e all'opportunità data dai lavori per i bonus edilizi. Insomma, se la politica e lo Stato avessero trovato risposte ai problemi. Già così avremmo ridotto del quaranta per cento l'immigrazione irregolare di quest'anno. E, al costo di circa 700 euro a traversata, avremmo sottratto oltre quindici milioni di euro ai gangster dei barconi.

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